“La minaccia del cambiamento” non rappresenta un vero e proprio sequel di “Finzione infinita” – altri protagonisti, (in parte) altra vicenda – ma lo scenario è sempre lo stesso: un mondo “distopico”, messo in crisi da un’economia di guerra e da un nemico alieno che i terrestri conoscono solo per sentito dire. Un mondo in cui gli eserciti sono stati privatizzati, in mano a due grandi corporation e ad altre società satelliti di più modeste dimensioni, ma soprattutto un pianeta ormai alterato da crudelissimi e insanabili divari sociali: il sistema appare incapace di riformarsi a causa di una classe subalterna che non contempla alcuna volontà di riscatto e guarda al “cambiamento” come minaccia.
È in questo contesto di precarietà e assoluto condizionamento sociale che vive Crenn, il senza fissa dimora protagonista dell’ultimo romanzo di Silvio Valpreda: un uomo, probabilmente ancora giovane, che si guadagna da vivere dormendo nelle case sfitte per conto delle agenzie immobiliari. Sostanzialmente un espediente economico – e in forma umana – per impedire occupazioni da parte di altri disgraziati e così ovviare a costose recinzioni e a sistemi d’allarme. Crenn sopravvive barcamenandosi in una perenne precarietà, nutrito esclusivamente da cibi precotti (“manzo strogonoff con prugne e ananas”) e presumibilmente artificiali, coinvolto senza troppe smanie dai veri divi dell’era della “Stabilità”: gli chef creativi e soprattutto televisivi come Tomb Steward e Abel Scandic.
“Sopravvivenza” è la parola forse più adatta per descrivere i rapporti sociali in una società che non conosce morale ma moralismo, e in cui lo scandalo e la riprovazione dei benpensanti si scatenano nel vedere un uomo e una donna pericolosamente vicini e in sintonia; mentre intanto impazzano i videogiochi pornografico-commerciali: “consisteva nel far scorrere dei filmati censurati di ballerine nude, poi, quando all’improvviso apparivano delle immagini di prodotti commerciali sui seni o sulle gambe delle ragazze, ai primi che indovinavano i marchi dei prodotti era concesso di guardare il filmato senza censura per pochi minuti” (pp.112).
“Sopravvivenza”, nel mondo abbruttito dei senza fissa dimora-guardiani di case, fa il paio sempre con precarietà e vuol dire puntare tutta la propria esistenza su una lotteria istituzionalizzata costosissima, che come premio può mantenerti a vita, ma nel contempo desertifica i rapporti umani e non fa sperare in niente altro: “Crenn avrebbe voluto trovare dentro di sé l’affetto per perdonare i genitori di aver interrotto il pagamento delle quote della lotteria M4L, tuttavia non riusciva a non pensare a quanto la sua vita sarebbe stata differente se avesse fatto parte degli otto sorteggiati” (pp.44).
Le consolazioni dei singoli sostanzialmente si riducono alla volontà di proteggersi da tutto quello che appare negativo: dopo l’Epoca Pre-Stabilità, ovvero dopo le Ere del Disordine e del Cambiamento, funestate da violenze e disastri ambientali, coloro che vivono ai margini della società si ritrovano a temere appunto il “cambiamento”, ben indottrinati da religioni che non conoscono divinità. È uno scenario decisamente terrificante in cui Crenn si mostra protagonista riluttante, coinvolto in vicende ai suoi occhi poco comprensibili e che soprattutto, in preda a sensi di colpa, rischiano di far vacillare le sue granitiche certezze sulla “minaccia del cambiamento”. Il finale a sorpresa, espressione di una realtà che probabilmente in gran parte è soltanto contraffatta, proprio come tutto quello che si mangia e si immagina, di fatto non aggiunge molto alla raffigurazione di un mondo in tutto e per tutto distopico.
Se quindi non ci sono dubbi nell’attribuire a “La minaccia del cambiamento” la definizione di distopia, conviene precisare le particolarità del romanzo di Silvio Valpreda, un’apprezzabile “via italiana ai mondi indesiderabili”, non fosse altro in anni in cui un gran numero di opere, soprattutto straniere, imperniate su “anti-utopie” di ogni genere, stanno riscuotendo un grande successo editoriale. Mentre i romanzi di Suzanne Collins, per fare un esempio, hanno comunque molto a che fare con l’eroismo e con scenari spettacolari, la distopia di Valpreda, nonostante la collocazione temporale in un probabile futuro, non racconta di strumentazioni e di eclatanti vicende fantascientifiche (gli alieni di altri pianeti non si vedono proprio, ammesso esistano, ma sono in primo piano soltanto gli “alieni” terrestri), è semmai immersa nel grigiore e nella sporcizia delle periferie, dei cenciosi ipnotizzati dalla propaganda. Una percezione di disagio peraltro resa ancor più palpabile grazie agli ottimi disegni in bianco e nero di Andrea Bruno. Da questo punto di vista più che mai l’elemento “anti-utopico” del romanzo, coerentemente con quanto evidenziato dalla migliore critica in merito a gran parte delle opere “distopiche”, si risolve nell’estremizzazione delle distorsioni, dei pericoli e dei malesseri del tempo presente. Anche lo stile, il linguaggio, non appare ricercato, non si concede a virtuosismi, si abbandona piuttosto ad atmosfere dimesse che però risultano del tutto coerenti con la rappresentazione di miseri automi in carne ed ossa. O per meglio dire: in carne, ossa e cibi precotti.
Edizione esaminata e brevi note
Silvio Valpreda, nato a Torino nel 1964, ha vissuto in Italia, Messico e Germania. Laureato in ingegneria meccanica si è specializzato nel campo del design industriale.
Ha pubblicato Finzione infinita (2015, Eris edizioni), Tacere (2007, ed. Il molo), Circo Inferno (2012, ed. Gaffi) e Il rancore della vita normale (2014, nella raccolta Appuntamento con il male, ed. Novecento). Nel 2017 il suo racconto “Imparare a leggere” è stato finalista al concorso Scrivere Altrove ed è stato pubblicato in antologia (ed. Primalpe).
Silvio Valpreda, “La minaccia del cambiamento”, Eris edizioni (collana: Atropo narrativa), Torino 2018, pp. 224. Illustrazioni di Andrea Bruno.
Luca Menichetti. Lankenauta, gennaio 2019
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