Nel 1937 i nazisti realizzarono il campo di concentramento di Buchenwald, nei pressi di Weimar. Per costruirlo furono costretti a distruggere 150 ettari di bosco ma salvarono una quercia. Era l’albero che Weimar aveva dedicato a Johann Wolfgang Goethe, celebre poeta e scrittore tedesco, morto in quella città nel 1832. Le SS lasciarono la quercia, denominata “L’albero di Goethe”, all’interno del campo di concentramento di Buchenwald, luogo in cui morirono circa 50.000 esseri umani.
Quando pensiamo ai campi di sterminio nazisti, in genere, siamo portati a ricordare le vittime ebraiche. All’interno di quei luoghi spaventosi, però, vennero internati anche molti altri prigionieri ed è proprio ad alcuni di loro che la Schneider ha dedicato “L’albero di Goethe”.
I protagonisti della storia sono ragazzini, perché nei campi di concentramento, oltre agli adulti, arrivavano anche minorenni. Spesso erano catturati insieme ai genitori, in altri casi si erano resi colpevoli di atti che il regime giudicava reati. Tra i tanti giovanissimi c’erano folti gruppi di adolescenti tedeschi. Non erano giudei, ma venivano “marchiati” ugualmente: triangoli di tessuto rosso per i detenuti politici, rosa per gli omosessuali e i cosiddetti “ragazzi di vita”.
Willi ha 14 anni. Viene arrestato perché scoperto a distribuire dei volantini. Non sa neppure cosa ci sia scritto su quei fogli: sta tentando di diffonderli al posto di suo fratello. Senza volere consegna l’ultimo volantino a un uomo che ha l’aspetto di un tranquillo padre di famiglia, ma che si rivela essere un agente della Gestapo. La polizia nazista lo interroga, lo sevizia e, quindi, lo costringe a confessare. Willi viene considerato un sovversivo, nemico della patria, e condannato a due anni di rieducazione nel campo di concentramento di Buchenwald. Si aprono così le porte dell’inferno. A Buchenwald il giovane tedesco, sotto shock, perde temporaneamente la memoria. In quel luogo scopre un’infinita sequela di orrori, violenze e soprusi, ma è circondato dall’aiuto e dall’affetto di amici leali, capaci di fare qualunque cosa pur di aiutarlo.
Nel campo ci sono SS che abusano di ragazzini e ragazzini che, pur di avere qualcosa da mangiare, aspirine e qualche sigaretta, accettano di sottomettersi alla perversione e alla violenza degli adulti. Bubi è uno di loro. E’ l’amico forte ed astuto, ma anche il favorito di una guardia. Bubi e l’agente si incontrano di notte, tra gli alberi, a poca distanza dalla baracca e, in cambio del suo corpo, il giovane chiede “favori” per sé e per gli altri. Willi, nel campo, può contare anche su Alex, Raldy, il Conte, Arthur, Lilli, Wlady e Sven. Un gruppo solidale e compatto di adolescenti tedeschi che cerca di sopravvivere come può all’interno di Buchenwald. Willi è forse il più ingenuo e il più fragile. Viene notato da una SS, un medico, che vorrebbe approfittare di lui. Dalla scelta di Willi di accettare o meno tali attenzioni dipenderà la vita di uno dei suoi amici.
Il tema che la Schneider ha deciso di trattare ne “L’albero di Goethe” è delicato e aberrante, come lo sono tutte le storie legate agli stermini nazisti e tutte le storie che vedono dei giovanissimi abusati da adulti. Il suo libro parla di adolescenti e agli adolescenti è rivolto. Per questo motivo la scrittrice ha adottato un linguaggio semplicissimo, quasi infantile. La maggior parte della narrazione è affidata a dialoghi diretti fra i giovani protagonisti e poco è lo spazio riservato ad approfondimenti psicologici o riflessioni d’altro genere. In fondo non è necessario, per chi legge, avere riferimenti più espliciti di quelli che la scrittrice ha scelto di descrivere. I parametri narrativi sono misurati correttamente. Sentiamo parlare dei ragazzini non dei letterati, la loro espressività si manifesta attraverso discorsi spontanei ed essenziali, esattamente il tipo di linguaggio che un qualsiasi adolescente, oggi come allora, è in grado di afferrare e comprendere. “L’albero di Goethe”, in questo senso, può essere considerato quasi un testo formativo o pedagogico. Il merito sella Schneider sta nell’essere riuscita a raccontare un doppio abominio con coscienza, lucidità e materna delicatezza.
Edizione esaminata e brevi note
Helga Schneider è nata nel 1937 in Polonia. Poco più tardi i suoi genitori si trasferiscono a Berlino. Nel 1941, mentre suo padre era impegnato al fronte, la madre di Helga abbandona lei e suo fratello Peter per divenire membro delle SS, guardiana nel campo di Ravensbruck prima ed Auschwitz-Birkenau poi. Suo padre si risposa l’anno successivo ed Helga viene spedita dalla matrigna in istituti di rieducazione perché considerata una bambina problematica. Sua zia, nel 1944, porta Helga e Peter a visitare Hitler nel suo bunker. Più tardi la famiglia torna a vivere in Austria. L’esordio letterario di Helga Schneider avviene nel 1995 con “Il rogo di Berlino”. La scrittrice, cittadina italiana, vive a Bologna dal 1963.
Follow Us