Trudi Birger è una sopravvissuta alla Shoah. Si è improvvisata scrittrice e, con l’aiuto di Jeffrey Green, ha scritto “Ho sognato la cioccolata per anni”: il racconto della sua esperienza di ebrea deportata ed internata in un campo di sterminio. Il suo intento è chiaro e dichiarato: “Mi sento in dovere di trasmettere la storia dell’Olocausto alla nuova generazione, ed è giusto che sia così visto che c’è ancora chi la può raccontare“.
E’ necessario dire, fin da subito, che la scrittura della Birger non è elegante né ricercata. Un libro semplice, non c’è stile né arte perché esso vuole essere, e lo è, essenzialmente una testimonianza.
Trudi apparteneva ad una ricca famiglia ebrea di Francoforte. Ha vissuto una vita agiata fino al momento in cui, con l’avvento al potere di Hitler, suo padre decise di trasferirsi a Memel, in Lituania. Nel 1939, però, i tedeschi raggiunsero anche questa città per cui la famiglia si spostò a Kovno, conquistata dai russi nel 1940. Ai sovietici si sostituirono i partigiani lituani con le loro violenze e le loro razzie e poco dopo arrivarono le persecuzioni antisemite dei nazisti. Nel 1941 tutti gli ebrei del luogo furono rinchiusi nel ghetto di Kovno. E qui ebbe inizio il periodo più tormentato e difficile della vita di Trudi e di migliaia di ebrei.
Trudi e sua madre Rosel, già molto legate l’una all’altra, qui condivisero l’esperienza di un lavoro umiliante. Offese, schiavizzate e private di ogni diritto. Il padre di Trudi venne trucidato insieme a duemila bambini che aveva tentato disperatamente di nascondere. Nel ghetto la giovane protagonista rimase tre anni fino a quando, l’8 luglio del 1944, i nazisti radunarono tutti gli ebrei e li fecero salire sui treni. Destinazione: campo di concentramento di Stutthof, dotato di un forno crematorio perennemente in funzione.
Trudi racconta di aver scampato la morte decine di volte. Lei lo chiama miracolo. E’ stata di certo estremamente fortunata poiché, a differenza di molti altri prigionieri, è riuscita ad evitare di essere uccisa e lo ha fatto in modi quasi inverosimili. La donna descrive l’umiliazione, gli insulti, il freddo, il lavoro, la fatica, il dolore, la malattia vissuti durante l’internamento a Stutthof. Ritorna spesso la descrizione dell’indifferenza totale dei nazisti e le violenze gratuite nei confronti dei prigionieri ebrei. Madre e figlia riescono a non essere separate l’una dall’altra e quando accade, incredibilmente, riescono sempre a ritrovarsi all’interno di quell’inferno.
Trudi appare come una sorta di eroina, si descrive come una ragazzina piena di sogni e di speranze anche quando ormai è evidente che non c’è nessuno spazio logico né per i sogni né tanto meno per le speranze.
Il ritorno alla libertà avviene di nuovo in maniera fortuita. E’ impressionante leggere quanto sia stato faticoso e doloroso tornare ad una vita normale dopo aver vissuto sulla propria pelle l’esperienza dilaniante della Shoah e, soprattutto, essere coscienti di essere tra i pochi sopravvissuti. Difficile recuperare un equilibrio, difficile riappropiarsi di una dignità cancellata, difficile tornare a credere nel genere umano. Trudi Simon, sposata Birger, come molti superstiti, è delegata a testimoniare l’orrore generato dalla follia nazista. Lei ha raggiunto Israele. Lì ha vissuto con la sua famiglia occupandosi a tempo pieno di famiglie e bambini in difficoltà. Nell’ultima parte del libro Trudi racconta anche di questo suo impegno e si abbandono ad una sorta di sfogo che ritengo legittimo ed accorato: Nessuno, eccetto un altro sopravvissuto allìOlocausto, può pienamente comprendere quello che ci è successo. Questi ricordi non sono come degli indumenti, qualcosa di cui ci si può spogliare e mettere nell’armadio. Sono incisi sulla nostra pelle! Non possiamo liberarcene.
Edizione esaminata e brevi note
Trudi Birger, “Ho sognato la cioccolata per anni”, Piemme. Traduzione Maria Luisa Cesa Bianchi.
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