Apro l’uscio del pub ed è come attraversare un portale dimensionale: mi lascio alle spalle la strada trafficata, la pioggia, i passanti con gli ombrelli e atterro in un nuovo mondo. I miei sensi vengono colpiti all’improvviso: nelle narici penetra l’effluvio di decine di pinte misto all’umido dei vestiti bagnati dalla pioggia e condito da un pizzico, per fortuna leggero, di sudore, gli occhi non sono ancora del tutto abituati alla poca luce e per un attimo tutto è sfocato, il pensiero di una pinta fresca mi colpisce la lingua che già pregusta la schiuma fresca e le mie dita toccano il bancone che ormai è formato più da molecole di malto che di legno. Tuttavia sono le orecchie le più colpite da questo viaggio dimensionale, non appena la porta si chiude vengono infatti sommerse da una musica allegra, spontanea, leggera, arriva da un angolo del pub ed è suonata da pugno di persone.
Questa è la ragione per la quale vengo qui ogni domenica: mi trovo a Cork, nel sud ovest della verde Irlanda, sono arrivato due mesi fa e finora ogni domenica sera sono sempre qui, al pub Sin è. Perché? Beh all’inizio perché abitavo a cinquanta metri e non avevo di meglio da fare la domenica sera. Adesso però abito a mezz’ora a piedi, chi me lo fa fare a venire qui ogni settimana? In effetti c’è la musica, ma non solo; c’è anche l’atmosfera, i personaggi, il fascino di essere in un vero pub irlandese e il non trascurabile fatto che ho sempre segretamente voluto avere un pub di fiducia dove il barista mi chieda “il solito?” non appena varco la soglia.
Sin è significa “tutto qui” e la ragione di questo nome è tra il macabro e il sarcastico: deriva infatti dall’impresa di onoranze funebri che si trova proprio di fianco. Si tratta di uno dei pub storici di Cork e, secondo le informazioni facilmente reperibili proprio nel sito dei Cork Heritage Pubs (https://www.corkheritagepubs.com/pubs/sin-e/), ha aperto i battenti per la prima volta nel 1889, ma l’edificio era preesistente: questa zona della città allora fungeva da punto di sosta per gli animali che dovevano essere trasportati in Inghilterra, ci troviamo infatti a poche decine di metri dalle sponde del fiume Lee, intorno al quale è nata Cork. Prima di essere un pub quest’edificio ospitava la bottega di un mastro carraio al piano terra e quella di un fabbricante di selle al primo piano. Successivamente il piano superiore venne preso in gestione da un barbiere e infatti alcune poltrone e specchi sono ancora là in ricordo di questa parentesi.
Il pub offre musica sette sere su sette, niente palco, niente amplificatori, luci, fumogeni o quant’altro. C’è solo un tavolo rotondo, in un angolo al piano terra, riservato ai musicisti, questi altro non sono che clienti che si mettono d’accordo e si ritrovano qui per passare la serata.
Non si tratta di un locale spazioso, al piano terra ci saranno una trentina di posti a sedere tra tavoli, sgabelli e bancone, altrettanti al piano di sopra. Le pareti sono tappezzate di ogni sorta di oggetto: magliette di squadre di sport vari, immancabili banconote di paesi lontani, cartoline, post-it dei clienti, c’è addirittura una sciarpa che ricorda una partita di rugby tra Italia e Irlanda allo stadio San Nicola di Bari.
Come detto qui c’è musica tutte le sere e se vogliamo fidarci sempre del sito di cui sopra, fin dal 1978 non c’è stata nemmeno una serata senza qualcuno che suonasse. Forse il giorno migliore in cui venire è proprio la domenica, a partire dalle 17:30 fino a tarda serata. Solitamente non c’è troppa gente ma meglio arrivare per tempo se si vuole trovare posto al piano terra e osservare i musicisti.
Non si tratta di un concerto, non c’è una scaletta fissa, è più jam session, uno comincia a suonare e poi gli altri si attaccano et voilà! Nei miei due mesi di osservazione ho potuto notare come la composizione del gruppo varia da settimana a settimana, ma alcuni membri sono ricorrenti: il primo, e pure il più riconoscibile, è un tizio calvo, porta sempre una maglietta da rugby e suona un numero imprecisato di strumenti. Finora gli ho visto suonare: banjo, flauto traverso, una sorta di cornamusa, flauto dolce e armonica, tuttavia sono ragionevolmente sicuro che non siano gli unici che sa suonare.
C’è poi il chitarrista, un signore brizzolato e dal viso squadrato che ogni tanto si lancia in qualche pezzo solista. Non so se le canzoni che canta siano sue ma la sua voce è piuttosto buia e le rende struggenti, quasi ipnotiche. Alla fisarmonica c’è di solito un ragazzo dal viso paffuto e rubizzo che mi ricorda un vecchio amico, anche lui ogni tanto si lancia in improvvisazioni che poi diventano vere e proprie canzoni suonate da tutti. Sempre seduto di spalle rispetto al resto del pub, c’è il tizio del tamburo, non l’ho mai visto in faccia, sono sempre seduto dietro di lui, tuttavia so che il suo battere il piede a tempo fa tremare tutto il pavimento.
In mezzo a tutti questi omaccioni non si può non notare la ragazza del violino: alta e slanciata, capelli neri sempre raccolti in una coda, a vederla parrebbe timida ma quando comincia a muovere l’archetto sopra le corde del suo strumento perde ogni timidezza e le sue note condiscono di una leggera malinconia tutti i pezzi. Ogni volta che c’è lei perdo sempre di vista gli altri membri del complesso. Sempre in rappresentanza del gentil sesso c’è pure una signora sulla sessantina che dalla velocità con cui suona il suo banjo sembra avere più di due mani.
Oltre a loro ce ne sono altri che magari vengono occasionalmente ma i musicisti non sono i soli a frequentare questo pub abitualmente la domenica. Dalla prima sera per esempio ho notato un signore sulla settantina, alto, naso aquilino e occhiali molto sottili, porta sempre un cappello e sembra una versione meno eccentrica del professor Silente. Ha attirato la mia attenzione perché abbiamo la stessa abitudine: arrivare sulle 18:00, ordinare due pinte di Guinness e poi andarsene tra le 19:30 e le 20:00. Avere le stesse abitudini di un pensionato un po’ mi ha fatto sorridere, ma la verità è che mi piacerebbe scambiarci qualche parola, purtroppo però ogni volta non riesco a sedermi vicino a lui.
Altro cliente fisso della domenica è sempre un signore avanti con gli anni, penso ne abbia intorno agli ottanta: cammina con un bastone, anche lui ordina immancabilmente una pinta di Guinness e più di una volta l’ho visto mettersi a cantare con qualche altro avventore. L’ultima volta ha intonato “Field of Athenry”, una delle più famose canzoni folk irlandesi. Altro personaggio fisso della domenica è uno dei baristi, avrà circa trent’anni e sono convinto che abbia trovato il lavoro della sua vita: corpulento ma dall’espressione amichevole, capelli di media lunghezza, abbastanza stempiato, una voce roca e roboante perfetta per farsi sentire da dietro al bancone, conosce i nomi di tutti i clienti fissi e non è raro vederlo intrattenerli con qualche barzelletta il cui contenuto non ho mai compreso visto che di solito parla in irlandese stretto.
Il Sin è ha trovato spazio perfino nella celebre guida della Lonely Planet dedicata all’Irlanda. Questo in genere significa una grande fonte di pubblicità gratuita, ma l’incredibile aumento di affari che ne deriva di solito causa un inevitabile cambiamento nel luogo citato, che quindi perde il fascino che lo aveva reso famoso. Questo non sembra essere vero per il Sin è: certo la clientela non è solo composta di vecchi signori irlandesi, anzi direi che per la maggior parte si tratta di stranieri: spagnoli, italiani, tedeschi, francesi…una clientela eterogenea che riflette bene il momento storico che sta vivendo Cork, un periodo di espansione economica alimentato da molti arrivi di stranieri che si stabiliscono qui per lavorare o per studiare.
Praticamente in tutto il mondo esistono pub irlandesi e tutti cercano di imitare e di riprodurre l’atmosfera che si respira nei locali di questa piccola isola verde e piovosa. In questo il Sin è sembra essere una sorta di pub ideale, il modello che tutti hanno in mente quando pensano al pub irlandese e forse il suo segreto è che ha deciso di non cambiare: cascasse il mondo qui la sera qualcuno verrà a fare musica e qualcuno verrà a bersi una pinta, forse da solo, forse in compagnia, “sin è”, “tutto qui”.
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