Liliana Segre è una Senatrice della Repubblica Italiana. Lo è diventata il 19 gennaio del 2018 grazie al presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ne ha riconosciuti gli “altissimi meriti nel campo sociale“. Questo libro, pubblicato nel 2005, quindi molto prima che la Segre divenisse Senatrice, descrive, tra le altre cose, quali siano gli altissimi meriti che alla Segre tutti riconosciamo. Nel 1990, infatti, Liliana Segre sente l’urgenza di divenire una testimone della sua esperienza di sopravvissuta: “… ho iniziato a testimoniare per un debito non pagato. Lo dovevo a tutte le vite che ho visto spezzare intorno a me, ai giovani che non sono mai diventati adulti. […] Sono sempre stata convinta che, se per un caso mio papà fosse tornato vivo al posto mio, non ci sarebbe stato più un minuto della sua vita disponibile ad altro che non fosse ricordare. È in nome dei miei che sono diventata una testimone. Sarebbe molto più comodo non parlare più di quel periodo, starsene a casa propria senza mettersi davanti a una telecamera o a una folla di ragazzi“. Ecco, dunque, i meriti sociali della Segre: aver scelto, a un certo punto della sua vita, di dedicarsi al racconto, alla testimonianza, all’educazione alla memoria. Chi meglio di lei, uscita viva da Auschwitz, può permettersi di spiegare, soprattutto ai più giovani, l’orrore della deportazione, della vita nel lager, del lavoro forzato e del destino che non l’ha voluta morta?
La storia di Liliana Segre si trova qui raccontata con delicatezza, attenzione e pacatezza. Quattro capitoli attraverso i quali è possibile conoscere quattro fasi salienti dell’esistenza passata e presente della Senatrice: una bambina catapultata ad Auschwitz, la scelta della testimonianza arrivata in età matura, la libertà riconquistata con la conseguente volontà di vivere e le attestazioni di affetto e riconoscenza da parte di chi ha avuto modo di ascoltarla raccontare. Ovviamente le pagine più toccanti e dolorose, sono quelle che riguardano l’infanzia di Liliana Segre con l’amara scoperta, a soli 8 anni, di non poter più andare a scuola a causa delle leggi razziali emanate da Mussolini. “Non avevo mai sentito parlare di ebraismo quando, una sera di fine estate, mi sentii dire dai miei familiari che non avrei più potuto andare a scuola“. Liliana è ancora piccola ma sente addosso il peso di una colpa che non comprende e che nessuno le sa spiegare. “Solo negli anni capii che era la colpa di essere nata ebrea: colpa inesistente, paradosso artificiale ma allora spaventosamente reale“. La Segre è diventata una “diversa”, collocata in una posizione di inferiorità e di umiliazione. Ed è solo l’inizio perché, come viene lucidamente spiegato attraverso questo libro, Liliana e suo padre (la madre è morta qualche anno prima), non riescono a sfuggire alla perversione di un sistema messo a punto per lo sterminio.
Nel dicembre del 1943 tentano la fuga verso la Svizzera ma sono rintracciati, fermati e rispediti in Italia. Vengono arrestati. Liliana ha solo tredici anni e dopo aver trascorso sei giorni in carcere a Varese, viene trasferita prima a Como e poi nella sua città natale, Milano, dove resta per altri quaranta giorni. Il 30 gennaio 1944 Liliana e suo padre partono dal Binario 21 della stazione di Milano Centrale destinati al campo di Auschwitz-Birkenau. “I vagoni venivano riempiti fino a scoppiare, cinquanta-sessanta persone per ognuno. Come ci si guarda, in quei momenti? Cosa si dice? Che silenzio spaventoso li paralizza?“. Servono sei giorni di viaggio poi l’arrivo, il 6 febbraio 1944. “La visione che si aprì davanti ai nostri occhi era tremenda: una spianata di neve nell’inverno polacco, le SS con i loro cani al guinzaglio, e poi i fischi, latrati comandi“. Liliana viene condotta con le altre donne, separata dal padre che resta nel gruppo degli uomini. Durante la selezione Liliana, forse perché più alta della norma, viene ritenuta abile al lavoro e quindi le viene risparmiato il gas e il forno crematorio come accade di solito alle persone troppo giovani. “Diventavamo stücke, pezzi. La parola donna non esisteva più. Il concetto di persona spariva per sempre“. Liliana, come tutti i prigionieri, riceve il suo tatuaggio. Da questo momento è il numero 75190.
Come ogni racconto in prima persona delle atrocità perpetrate ad Auschwitz, le parole della Segre sanno trafiggere e ammutolire. Lei ha visto, lei ha vissuto, lei ha conosciuto quella dannazione e, senza sapere esattamente come, è sopravvissuta. “Più di 6.000 ebrei italiani furono deportati ad Auschwitz. Siamo tornati in 363“. Un fardello, quello di chi sopravvive, che non tutti i sopravvissuti hanno saputo reggere allo stesso modo. Liliana Segre, dopo superato anche le devastanti “marce della morte”, è riuscita a riconquistare la libertà. All’inizio è disorientata e confusa. “Avvertivo lo sbandamento di un mondo che crollava pezzo per pezzo, minuto dopo minuto, stanca di una stanchezza che era la somma di tutte le stanchezze. Mi trascinavo senza sapere dove andare, cosa fare di me, a chi chiedere indicazioni“. Liliana è libera ma è sola. Si aggrega a delle ex prigioniere francesi che aveva conosciuto a Machow, l’ultimo lager in cui è stata rinchiusa. Il rientro a Milano non è immediato e nemmeno indolore. Suo padre e i suoi nonni paterni sono stati sterminati dai nazisti. Le restano gli zii e i nonni materni che sono riusciti a nascondersi e a sfuggire alla deportazione. Liliana prova a ripartire da qui ma è tutt’altro che semplice. Il ritorno alla normalità è costellato da incomprensioni, da una voracità che non trova limiti, da silenzi troppo pesanti, da assenze che è complicato accettare.
Scrive Emanuela Zuccalà nell’introduzione “Liliana Segre è una delle ultime testimoni della Shoah ancora in vita e ancora con la tenacia di testimoniare, la cui voce è in grado di guidarci attraverso un universo nero di emozioni e paure ai limiti che i libri di storia difficilmente ci rimandano“. Liliana Segre è la testimone preziosissima di una fase storica che molti, oggi, tentano di rinnegare o insabbiare o rimuovere. È la stessa Senatrice che, di recente, ha denunciato di essere stata pesantemente e ripetutamente insultata su Internet dai negazionisti. Anche alla luce di questi eventi, la sua è stata e continua a essere una battaglia in prima linea contro l’ignoranza, l’inciviltà e le menzogne di chi si ostina a non voler riconoscere il peso di un passato che ha generato lo sterminio di milioni di individui. La sua opera testimoniale rimane indispensabile e il libro della Zuccalà è utilissimo a questo scopo.
Edizione esaminata e brevi note
Emanuela Zuccalà lavora come giornalista indipendente, scrittrice e film-maker specializzata in diritti delle donne. I suoi lavori sono stati premiati anche dalla Commissione europea e da Reporters sans Frontières con il Press Freedom Award. Tra i suoi libri, tradotti anche all’estero: “Sopravvissuta ad Auschwitz” (Paoline) e “Donne che vorresti conoscere” (Infinito edizioni). Il film “Solo per farti sapere che sono viva”, co-diretto insieme a Simona Ghizzoni, è stato proiettato in dodici Paesi del mondo e premiato in Francia e negli Usa. Ha lavorato anche al progetto che ha firmato e che si intitola “Uncut”, una inchiesta multimediale sulle mutilazioni genitali femminili (uncutproject.org).
Emanuela Zuccalà, “Sopravvissuta ad Auschwitz. Liliana Segre, una delle ultime testimoni della Shoah”, Edizioni Paoline, Torino, 2005. Presentazione di Carlo Maria Martini.
Pagine Internet su Emanuela Zuccalà: Blog personale / Festival del giornalismo / Scheda Zona.org / Twitter
Pagine Internet su Liliana Segre: Wikipedia / Senato della Repubblica / Treccani / Liliana Segre deportata (video TV2000) / Conferenza a Lugano (video)
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