La cosiddetta microstoria sul piano metodologico vuol dire indagini, in teoria minuziose e analitiche, che si concentrano su aree geografiche circoscritte e che investono piccole comunità locali. Proprio quello che ha fatto il giornalista Gianni Rivolta col suo “La tenuta delle Tre Fontane”, storia di un territorio di circa 500 ettari, un tempo campagna romana a tutti gli effetti, sormontato dalla millenaria abbazia cistercense, e oggi tra Eur, Montagnola e Serafico. In particolare: “Le Tre Fontane [ndr: già “Acque Salvie] è una località situata a tre chilometri da Porta San Paolo, nelle vicinanze dell’Eur, sulla sinistra della via Laurentina. L’abbazia omonima, circondata ancora oggi da boschi di eucalipto, per secoli è stato il centro religioso e produttivo di tutta la zona circostante” (pp.9). Un racconto, corredato da diverse foto d’epoca e da antiche mappe, che prende le mosse in particolare dall’alto medioevo, dai tempi dell’esarca Narsete, per poi proseguire, di secolo in secolo, con l’opera di Monsignor Nicolai, i saccheggi al tempo della Repubblica Romana, la giurisdizione della parrocchia di San Paolo, il XIX secolo della società agricola, della bonifica e della lotta contro la malaria, frutto del lavoro massacrante dei frati trappisti e di centinaia di forzati della colonia penale; fino ad approdare ai giorni nostri, dal periodo fascista, alla battaglia della Montagnola e alla figura dell’abate Leone Ehrard.
Rivolta, proprio in merito al risanamento del territorio e alla bonifica, ha giustamente scritto diverse pagine e difatti leggiamo pure dell’eucalipto, messo a dimora fin dal 1872 dai religiosi: “si era osservato che il livello dell’acqua era sceso a più di un metro e mezzo. Il risultato fu attribuito alle nuove piante e fece grande scalpore in Italia”. In realtà poi si scoprì “che la vera causa della febbre non erano l’umidità del terreno, lo scirocco o l’aria infetta, ma derivava dalle punture delle zanzare” (pp.49). Insomma, una cantonata dal punto di vista scientifico che ha permesso alla pianta australiana, ormai indispensabile per la produzione dell’elisir eucaliptino, di contribuire comunque al verde di un luogo destinato, da lì a pochi decenni, a essere in gran parte cementificato. Una storia che diventa stretta attualità, tanto più in presenza di una campagna romana che in questi ultimi decenni, complice il diffuso malaffare, è stata devastata dal cosiddetto urban sprawl e comunque da piani urbanistici a dir poco discutibili, ammesso e non concesso che si possa parlare di autentica programmazione. Leggiamo: “A seguito del piano regolatore del 1962 e del 2004 il territorio delle tenute storiche di Sant’Alessio, Grottaperfetta e Tre Fontane è stato quasi completamente edificato” (pp.83).
Se infatti alla fine del XIX secolo la riqualificazione di un ampia porzione di territorio era stata affidata ai detenuti, ai religiosi e ai coraggiosi contadini, sempre alle prese col pericolo mortale della malaria, adesso, con la città che si è letteralmente mangiata la campagna, è rimasto soltanto da salvaguardare un lembo di terra, ultima testimonianza di quella che fu la Tenuta delle Tre Fontane, e che da pochi anni un gruppo di cittadini ha recuperato dal degrado per farne i cosiddetti “orti urbani”: “rimasta intatta dall’aggressione della cementificazione, ma abbandonata da anni al degrado e invasa da quintali di rifiuti e da continui accampamenti abusivi. In poche settimane l’area di seimila metri quadrati è stata risanata e dissodata. Oggi, a due anni da quella bonifica, è stata ufficialmente concessa dal Comune di Roma all’Associazione Orti Urbani Tre Fontane” (pp.88). In particolare parliamo di sessantacinque orti coltivati biologicamente e in maniera condivisa,affidati a famiglie e associazioni, un orto didattico a disposizione delle scuole, alveari e un lombricaio. Un luogo ancora indenne dal cemento ma assediato sempre più dalla speculazione. L’insidia si chiama I60, piano edilizio che già ha danneggiato l’abitato dell’antico Fosso delle Tre Fontane, e che in un prossimo futuro prevede, tra le vie Grottaperfetta e via Ballarin, la realizzazione di 400 mila metri cubi di edilizia residenziale; come se in Italia ci fosse carenza di abitazioni. Come sempre succede quando scendono in campo le lobby dei costruttori, è già in atto il confronto tra coloro che intendono spacciare la cementificazione quale soluzione della crisi economica e i comitati in difesa del paesaggio, del verde urbano e delle testimonianze archeologiche.
Così le ultime parole di Gianni Rivolta ad epilogo della storia di una campagna che non sappiamo se davvero diventerà soltanto un lontano ricordo o riuscirà a sopravvivere pur in un lembo di poche centinaia di metri quadri: “Oggi gli Orti urbani, quest’ultima lingua di terra baciata dal sole e battuta dal vento che dai Colli Albani corre verso il mare, rappresentano l’unica e ultima realtà che ancora testimonia la vocazione agricola dell’antica Tenuta delle Tre Fontane” (pp.94).
Edizione esaminata e brevi note
Gianni Rivolta, è nato ad Abbiategrasso nel 1950 ma vive a Roma da oltre quarant’anni. Giornalista free-lance, ha collaborato con la cronaca romana de Il Messaggero e de La Repubblica e per vari programmi Rai. E’ stato direttore responsabile della Gazzetta dell’Undicesima, mensile dell’XI Municipio.E’ autore di numerose ricerche storiche a livello locale e di pubblicazioni, tra cui “Garbatella mia” (2003), “I Ribelli” (2006); e per Iacobelli editore “Garbatella tra storia e leggenda” (2010), “Dalla Villetta ai Gazometri” (2011) e “Le ragazze del ’58” (2011).
Gianni Rivolta, “La tenuta delle Tre Fontane. Dal Medioevo agli Orti Urbani” Iacobelli (collana Guide), Pavona di Albano Laziale 2015, pp.108.
Luca Menichetti. Lankelot, giugno 2015
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