“Il bambino di Noè” è un racconto tenero e drammatico, commovente ed intenso come solo le esperienze e le sensazioni dell’infanzia e dell’adolescenza sanno essere.
Joseph è un bambino ebreo di dieci anni che vive a Villa Gialla, in Belgio, e ogni domenica, col cuore in gola, partecipa a una specie di “sfilata” dei bambini sopravvissuti alla guerra e alla deportazione nazista e che ancora nessun genitore è venuto a prendere. Ogni domenica è per Joseph un’umiliazione, una preoccupazione e poi una delusione nell’attesa del beato giorno in cui qualcosa cambierà.
Joseph ci racconterà la sua storia, dal suo punto di vista: viveva tranquillo a Bruxelles con i suoi genitori – il padre faceva il sarto – finché le persecuzioni naziste costrinsero i suoi a fuggire e ad affidarlo a una nobile famiglia della città, che poi, quando la situazione peggiora ulteriormente, lo consegna a padre Pons, un sacerdote cattolico che nasconde, a Villa Gialla a Chembay, un paese di campagna, numerosi bambini ebrei e cristiani. Inizia così per Joseph un periodo di formazione – dai sette ai dieci anni – pieno di scoperte, di avventure, ma anche di fame e di paura, di terrorizzanti presenze naziste, un periodo in cui stringerà una profonda amicizia con un compagno, destinata a durare per la vita.
Joseph vive lì gli ultimi tre anni della guerra, i bombardamenti, la penuria di cibo, la Resistenza e le crudelissime fiammate finali del nazismo fino alla liberazione, che costa non poco sangue e violenza.
È una storia drammatica e bella, un romanzo di formazione narrato dal punto di vista di Joseph, un bambino che si pone molte domande e ha un grande coraggio nelle avversità, riesce a non abbattersi, trova sempre un aspetto positivo in ciò che accade e soprattutto scopre in padre Pons una guida spirituale.
Padre Pons è un personaggio davvero originale, un giusto, un sacerdote dal libero pensiero, un educatore che sa veramente esercitare l’arte della maieutica.
Aiuterà Joseph nella scoperta della propria diversità e originalità di ebreo e saprà orientarlo nelle sue scelte, senza cercare mai di convertirlo.
Padre Pons è particolare anche nell’aspetto: “Era lungo e stretto, e dava l’impressione di essere composto da due parti scollegate tra loro: la testa e il resto. Il suo corpo sembrava immateriale, una stoffa priva di rilievi, un abito nero che cadeva a piombo come se pendesse da una gruccia e da cui sbucavano degli stivaletti lucidi senza che si vedessero le caviglie in cui erano infilati. In compenso ne risaltava la testa, rosea, piena, viva, nuova, innocente, come quella di un neonato appena uscito dal bagno. Faceva venire voglia di baciarla, di abbracciarla”. Insieme a Joseph discuteranno sul Dio ebraico e sul Dio cristiano, sull’uomo e sulla sua natura, imparando l’uno dall’altro.
A Joseph, una volta entrato in collegio, viene cambiato il cognome per non farlo riconoscere, deve imparare a mentire, a nascondere le emozioni, a sopravvivere. Non è facile per lui accettare il proprio essere ebreo che, al momento, gli sembra solo svantaggioso: persecuzioni, separazione dai genitori, perdita del nome. Vede nel frattempo i riti dei cristiani, la loro chiesa, frequenta il catechismo per non destare sospetti, ma non viene battezzato, né riceverà la Comunione come i compagni cattolici (con un abile stratagemma lui e gli altri bambini ebrei verranno dati per malati in quel giorno, grazie all’aiuto della straordinaria farmacista del paese, detta Perdio a causa del suo anticlericalismo e del suo linguaggio colorito).
Padre Pons ha organizzato la vita nel collegio in modo che nessuno scopra la vera identità dei piccoli rifugiati e non ci siano fughe di notizie.
Soprattutto il sacerdote educa alla pace, alla tolleranza e a Joseph insegna l’appartenenza al popolo della Bibbia. Padre Pons ha anche una passione per le collezioni: a seconda dei periodi, colleziona oggetti e testimonianze su popoli a rischio d’estinzione. Durante la seconda guerra mondiale ovviamente raccoglie oggetti e testi ebraici e zingari, che segretamente conserva nella cripta di una cappella sconsacrata situata in fondo al parco della villa.
È proprio lì che Joseph lo scoprirà una notte e sarà l’inizio di una serie di impegnative conversazioni, che rimarranno per sempre nella memoria del bambino e saranno determinanti per la sua crescita.
Così Joseph apprenderà la storia di Noè, che salvò l’umanità raccogliendo gli animali nell’arca, allo stesso modo la cripta sarà l’arca di padre Pons e si dimostrerà fondamentale nel momento più buio della guerra, quando tutto sembrerà perduto e i bambini destinati alla deportazione e alla morte. La cripta-arca costituirà la salvezza ed è anche il luogo in cui Joseph si forma, quasi rinasce per avviarsi a diventare adolescente e poi uomo.
Padre Pons spiega il motivo del suo collezionismo: “se nell’universo non resta più un solo ebreo che parli l’ebraico, io te lo potrò insegnare. E tu lo potrai trasmettere”. Il prete cattolico spiega la storia ebraica al bambino ebreo, gli insegna il rispetto per l’essere umano, la grande libertà che Dio lascia agli uomini e riflette sulla sua stessa fede.
Joseph dal canto suo viene affascinato dai racconti della Torah, sente la sua vita, così movimentata, come somigliante a quella di certe figure bibliche, i suoi antenati (Mosè, Abramo, Davide, al limite Gesù).
La vicenda è sempre avvincente e viene narrata con la freschezza, la forza e la curiosità dell’infanzia, Joseph è un bambino costretto a maturare rapidamente e molto profondo nelle sue riflessioni. Diverrà un uomo giusto grazie agli insegnamenti che padre Pons gli ha trasmesso.
Infine una nota stilistica, ho trovato due sinestesie assai suggestive: “La voce era da nobile, di questo ero sicuro! Una voce solenne, spessa, profonda, color delle statue di bronzo illuminate dalle candele”.
“Il silenzio notturno crepitava da tutte le parti, come se la notte si consumasse in un fuoco d’angoscia”.
Tutta l’atmosfera del romanzo è storica e contemporaneamente fiabesca, per questo è adatto ad adulti e ragazzi, parla di un dramma senza violenza o crudeltà descrittive.
Il romanzo è ispirato a una storia vera.
A Francesca, che mi ha regalato questo libro
Edizione esaminata e brevi note
Schmitt Eric-Emmanuel, (Lione 1960) drammaturgo, scrittore, saggista, traduttore, regista e sceneggiatore francese, naturalizzato belga .
Schmitt Eric-Emmanuel, Il bambino di Noè, Milano, Rizzoli BUR 2004, traduzione di Alberto Bracci Testasecca.
Follow Us