Montanelli Indro

Cialtroni

Pubblicato il: 22 Aprile 2019

Il “Cialtroni” del titolo non va proprio preso alla lettera, come se Montanelli avesse attribuito questa qualifica, non proprio indulgente, ad uno ad uno dei personaggi presenti nelle pagine del libro: innanzitutto si sta parlando di una raccolta postuma di articoli – la Rizzoli ne ha già sfornati parecchi – e poi il sottotitolo “Da Garibaldi a Grillo, gli italiani che disfecero l’Italia” non apparirebbe molto coerente con la postfazione affettuosa scritta proprio dal “cialtrone” Grillo. Come chiarisce subito Paolo Di Paolo, autore di “Una commedia umana” e da tempo  esegeta di diverse opere montanelliane, più facile rintracciare tra gli innumerevoli articoli del giornalista toscano un “cialtrone” rivolto a qualche disonesto dopatore (si parla di ciclismo), oppure una “patria cialtrona” riferita a quell’Umberto Bossi al quale – secondo Montanelli – paradossalmente andrebbe eretto un monumento per averci ricordato “che quella patria, appunto ‘ladrona, zozza, disordinata, di gamba lesta e facili, anzi facilissimi costumi’, è pur sempre la nostra mamma”. Premessa ad una considerazione sconsolata del 2001, in risposta ad un lettore: “unica vera vocazione di questo nostro popolo di cialtroni che non vedono al di là del proprio naso: l’autodistruzione” (pp.5). Un Montanelli quindi sempre più in sintonia col suo amico Prezzolini che, in tempi non sospetti, si era dimesso da italiano. Da questo punto di vista allora il “cialtroni” può essere meglio compreso alla luce di una domanda – probabilmente del tutto retorica – che ritroviamo in un editoriale del 1995 (Corriere della Sera): “Ma il Paese è meglio della classe politica?”.

Un dubbio, forse una certezza, sicuramente un cruccio che aleggia tra le righe dell’ultimo Montanelli; per intenderci dagli editoriali della Voce 1994 – 1995 ai colloqui con i lettori nella ritrovata “Stanza” del Corriere. La raccolta di scritti di “Cialtroni”, interpretata come una sorta di “commedia umana” (si veda appunto la prefazione di Di Paolo), non potrà non richiamare alla memoria i celeberrimi “Incontri” degli anni cinquanta, questa volta magari col carico da novanta di ulteriori delusioni e disillusioni; oltretutto in un mondo che nei fatti non conosceva più il dramma della contrapposizione ideologica est-ovest, ma a cui gli eredi di ideologie fallite – e i sempiterni ladroni – sembravano ancora legatissimi, molto più del granitico anticomunista Montanelli.

Editoriali che peraltro risultavano poco compatibili con altre note firme del Corriere – ci riferiamo ai soliti Battista, Panebianco e compagnia –  e colloqui con lettori spesso incapaci di mettersi nei panni di chi viveva e si formava una coscienza decenni fa, ovvero durante una dittatura che si stava scavando la fossa con la sua retorica fasulla, e poi nel corso di una democrazia incompiuta, presidiata a malincuore, col disagio di doversi perennemente turare il naso. Considerazioni e malinconie che per lo più scaturivano da fulminanti ritratti di personaggi storici e contemporanei – da Garibaldi, “onesto pasticcione”, a Mussolini, passando per Craxi, D’Alema, La Malfa, Moro, Spadolini, Francesco Crispi, Saragat, Nenni, Prodi -, nei quali, volendo ricordare le parole del curatore sugli “Incontri”, “si mescolano il verissimo e il molto verosimile, ma soprattutto si controbilanciano il miele e il fiele” (pp.8).

Ritratti che evidentemente per Montanelli non hanno voluto dire soltanto dei pezzi di colore, al di là del fatto che appaiano sempre impeccabili in quanto a lucidità e capacità di sintesi. Lo scrive a chiare lettere riguardo Salvemini, uomo pieno di contraddizioni: “probabilmente, si obietterà che queste mie poche parole, se aiutano a capire un po’ meglio il carattere dell’uomo, non aiutano a capirne il pensiero. E qui ci si sbaglia: il pensiero di un uomo non si può capirlo che alla luce del suo carattere. È il carattere che determina le idee, non viceversa” (pp.63).

Contraddizioni che nei suoi ritratti – anche quelli presenti in “Cialtroni” – Montanelli ha sempre evidenziato e che, forse, rappresentano la medicina più efficace per guarire da una delle peggiori malattie presenti in suolo italico: la retorica. Così Cesare in un colloquio con un giovane Di Paolo: fu “il più grande generale e statista, o la più grande canaglia di tutti i tempi? Fu, credi a me, entrambe le cose. Gli uomini, te ne accorgerai sono, anzi, siamo sempre un coacervo di contraddizioni” (pp.9). Pagine in cui proprio il “patriottico” Montanelli – la “patria”, uno dei motivi per cui è stato accusato di “fascismo” fino alla fine –  evidenzia la sua allergia ad un certo modo di intendere le celebrazioni, il ricordo dei grandi uomini. Pensiamo all’incipit di un editoriale apparso sulla Voce nel 1995 e significativamente intitolato “Il padre di nessuno”: “Poiché in Italia l’unica industria che non conosce crisi è lo sfruttamento dei cadaveri, di questi giorni eravamo un po’ in pensiero per quello di De Gasperi […] Di una cosa siamo sicuri: che se riaprisse gli occhi, De Gasperi non si riconoscerebbe padre di nessuno di coloro che da destra e da sinistra si proclamano suoi figli, e che sono invece figli del partito che lo tradì” (pp.105-107).

Allergia alla retorica anche nel caso di Pertini, amatissimo (dagli italiani), e fulminato col suo “Un patetico perbene”: “Non perdeva occasione di dare spettacolo seguendo in lacrime tutti i funerali, baciando torme di bambini, e insomma toccando sempre quel tasto del patetico a cui noi italiani siamo particolarmente sensibili […] Ce lo ricordiamo come un brav’uomo pittoresco e un po’ folcloristico, che seppe far credere alla gente di essere un diverso dagli uomini politici, mentre era sempre stato uno di loro e non aveva mai vissuto che di politica” (pp.160). Oppure Roberto Farinacci, “scellerato con gli attributi”:non aveva benemerenze da esibire. Se le procurò lì perché un giorno, lanciando bombe non contro gli abissini, ma in un laghetto per catturarne i pesci, una gli scoppiò in mano amputandogliela. Il che gli valse una medaglia d’argento e la qualifica di invalido di guerra, anche se la guerra l’aveva fatta ai pesci” (pp.79).

Miele e fiele, pessimismo e sarcasmo a fiumi sono a tutti gli effetti il leitmotiv di questa ennesima antologia di articoli scritti – possiamo dirlo – con uno stile che non sembra aver trovato eredi. E a proposito di eredi fasulli e di padri altrettanto fasulli, merita il ricordo di un più giovane Berlusconi, già in possesso di tutte le caratteristiche che lo hanno reso “cavaliere” e poi “ex cavaliere”: “Silvio soffrì moltissimo per la morte del padre. Lo vidi piangere come una vite tagliata, e quella volta erano lacrime vere. Qualche giorno dopo, parlando di lui, mi disse: ‘D’ora in poi mio padre sei tu’. Mi chiedo a quanti altri lo aveva già detto, o stava per dirlo. Ma sono arciconvinto che a tutti lo diceva con la stessa assoluta sincerità” (pp.188).

Edizione esaminata e brevi note

Indro Montanelli (Fucecchio 1909 – Milano 2001), giornalista. Laureato in Legge e Scienze politiche, inviato speciale del “Corriere della Sera”, fondatore del “Giornale nuovo” nel 1974 e della “Voce” nel 1994, è tornato nel 1995 al “Corriere” come editorialista. Ha scritto migliaia di articoli e oltre cinquanta libri fra i quali ricordiamo: XX Battaglione eritreo, I cento giorni della Finlandia, Qui non riposano, Le stanze, L’Italia del Novecento (con Mario Cervi), La stecca del coro, L’Italia del Millennio (con Mario Cervi), Le nuove stanze.

Paolo Di Paolo, (Roma 1983) scrittore. Nel 2003 entra in finale al Premio Italo Calvino per l’inedito, con i racconti “Nuovi cieli, nuove carte”. Ha pubblicato libri-intervista con scrittori italiani come Antonio Debenedetti, Raffaele La Capria e Dacia Maraini. È autore di “Ogni viaggio è un romanzo. Libri, partenze, arrivi” (2007) e di “Raccontami la notte in cui sono nato” (2008). Ha lavorato anche per la televisione e per il teatro: “Il respiro leggero dell’Abruzzo” (2001), scritto per Franca Valeri; “L’innocenza dei postini”, messo in scena al Napoli Teatro Festival Italia 2010. “Dove eravate tutti” è del 2011 (Feltrinelli) e “Mandami tanta vita”  del 2013.  Di Indro Montanelli ha curato per Rizzoli “La mia eredità sono io. Pagine da un secolo” (2008) e “Nella mia lunga e tormentata esistenza. Lettere da una vita” (2012).

Indro Montanelli,“Cialtroni. Da Garibaldi a Grillo gli italiani che disfecero l’Italia”, Rizzoli (Collana: Saggi italiani), Milano 2019, pp. 234. A cura di Paolo Di Paolo. Postfazione di Beppe Grillo.

Luca Menichetti. Lankenauta, aprile 2019