Pare che Mazie sia esistita davvero. Pare che non fosse una Santa in senso canonico ma che sia stata per anni una presenza benevola e caritatevole. Pare che all’inizio a raccontare la storia di Mazie dovesse essere un certo Phillip Tekwerk ma, alla fine, un articolo su Mazie uscì sul New Yorker e venne scritto da Joseph Mitchell. In che modo, dunque, Jami Attenberg è incappata in Mazie? Lei lo spiega così: “Questo libro ha tratto la sua ispirazione dalla vita di una donna che fu descritta nel saggio «Mazie» che apparve nella brillante e fondamentale raccolta di saggi Up in the Old Hotel di Joseph Mitchell“. Mazie ha solo dieci anni quando, nel 1907, arriva a New York insieme alla sorella minore Jeanie. A trascinarle via da un padre fin troppo violento e una madre fin troppo sottomessa è Rosie, la sorella più grande, accompagnata dal grosso marito Louis. Mazie inizia così a scrivere il suo diario: “Oggi è il mio compleanno. Ho dieci anni. Tu sei il mio regalo. Sono la figlia di Ada e Horvath Phillips. Ma loro vivono molto lontano, a Boston. Non li vedo più. Saranno ancora i miei genitori? Non me ne importa. Mio padre è una carogna e mia madre una sciocca. Ora abito a New York. Rosie dice che sono una newyorchese. Tu sei il mio diario di New York“.
Jami Attenberg è dunque incappata nel ricordo sbiadito di una donna che, negli anni della Grande Depressione, si dà da fare aiutando chiunque ne abbia bisogno. Mazie conosce la strada perché per anni l’ha frequentata e amata, per questo quando New York, a causa della profonda crisi del 1929, inizia a riempirsi di barboni e disperati di ogni genere, Mazie Phillips-Gordon, spinta da un istinto innato e ostinato, soccorre e aiuta chi soffre la fame, il freddo, le botte. Eppure di Mazie, a parte un vecchio articolo sul New Yorker, non sembrano essere rimaste molte tracce. Ebbene, in mancanza di documenti originali, la Attemberg ha provveduto a immaginare quello che di Mazie non è mai stato scritto o raccontato. Si è inventata un’autobiografia inedita, un diario sopravvissuto nel tempo e persino i ricordi di chi, ormai molto anziano, ha incontrato Mazie, l’ha amata o l’ha solo sentita nominare. Mazie è esistita, così come sono esistite ed esistono le strade e i quartieri che frequentava e, soprattutto, come è esistito il leggendario cinema Venice che Mazie ha gestito per decenni, staccando biglietti rinchiusa in un gabbiotto tappezzato di cartoline.
Un romanzo storico? Una biografia? Un diario? Una fiction? “Santa Mazie” è tutto questo e anche di più. È una commistione intricata e coinvolgente di voci, di storie e di ritratti. Potrebbe sembrare un puzzle caotico e vorticoso, e per certi versi lo è, ma “Santa Mazie” è soprattutto un libro diverso dal solito, un affresco della New York di inizio Novecento in cui una donna di nome Mazie è considerata dai più come spudorata, anticonvenzionale e oltraggiosa. Una donna libera che ama fare sesso e scolarsi qualche goccetto proibito per legge, una donna che dal suo cinema non ha mai smesso di osservare e cercare di capire la gente e il mondo che scivolano lungo le strade della sua città. “Santa Mazie” è anche un inno alla generosità e all’altruismo incondizionato, la spinta tutta femminile a proteggere e sostenere chi è stato sovrastato dalla vita e annientato. “Cosa mi fa molto male, pensando a questi barboni, è che loro muoiono, e che una volta morti è come se non fossero mai esistiti sulla verde terra di Dio. Qualcuno li ha conosciuti un tempo, una madre, un padre, un medico, un compagno, qualcuno sapeva come si chiamavano. Ma ora si conoscono solo fra loro e un po’ per volta verranno dimenticati, più velocemente di quanto avrebbero voluto, forse. E ognuno desidera essere ricordato, vero? Ognuno desidera che anche una piccola parte di sé resti dopo la morte. Beh, io li ricordo, li ricordo tutti. Forse, quasi per tutti saranno nessuno, ma per me sono stati qualcuno. Io conoscevo tutti i loro nomi. I nomi di ciascuno. Li conoscevo“.
La Attenberg ha studiato e rintracciato le storie del tempo così da poterle affondare tra le pagine di questo libro straordinario. La sua scrittura sa essere lieve, empatica e affascinante. Ogni voce, e di voci in questo libro ce ne sono davvero parecchie, diventa uno sguardo, una narrazione a sé, un microscopico romanzo dentro al romanzo. La New York di Mazie è una metropoli che sta germinando ma è anche la città dell’attentato a Wall Street, del proibizionismo, di poliziotti onnipotenti e del crollo del ’29. Mazie è lì in mezzo e, attraverso le pagine del suo diario, ce la racconta in presa diretta. In “Santa Mazie”, come intuibile, c’è tanta New York così come c’è tanta Mazie. Le due entità, quella cittadina e quella femminile, si intersecano e si fondono costantemente. Mazie è un personaggio d’eccezione perché è stata realmente una donna d’eccezione: carnale, eccessiva, anticonformista e molto altruista. La sua umanità assume forme disparate: pochi spiccioli per pagare il ricovero, una saponetta per lavarsi, una sigaretta o un goccio di liquore che male non fa. Mazie è morta nel 1964 e il New York Times le ha dedicato un singolare necrologio: “La bionda platino dalla voce roca che per oltre 65 anni, dall’angusto gabbiotto del Cinema Venice, ha elargito consigli, soldi ed amicizia a ogni derelitto della Bowery“.
Edizione esaminata e brevi note
Jami Attenberg è nata in Illinois nel 1971. Laureata alla John Hopkins University, collabora con diverse riviste e quotidiani tra cui il New York Times e Nerve. Prima di dedicarsi completamente alla scrittura, la Attenberg ha lavorato presso la TV americana HBO. I suoi primi lavori sono stati dei racconti ma il vero successo è arrivato grazie al romanzo “I Middlesteins” tradotto in molte lingue e apprezzato in tutto il mondo. A seguire ha scritto e pubblicato “Santa Mazie” e il più recente “Da grande”.
Jami Attenberg, “Santa Mazie“, Giuntina, Firenze, 2016. Traduzione di Paola Buscaglione Candela. Titolo originale “Saint Mazie” (2015).
Pagine Internet su Jami Attenberg: Sito ufficiale / Wikipedia
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