Quello che colpisce fin da subito in questo libro, è la sintassi. Frasi minime che diventano paragrafi, poche parole ma scelte bene, numero adeguato d’informazioni fornite in uno spazio limitato. Le pagine assomigliano così a una sorta di lista della spesa che scorre velocemente sotto gli occhi e che si rivela molto efficace.
Come il titolo suggerisce, trattasi di un racconto prevalentemente autobiografico: Cristiano Ferrarese è un espatriato, lavora a Bristol in Inghilterra, come portiere notturno in un hotel di lusso e ci vuole offrire il suo punto di vista sia sul paese che lo ospita, ma soprattutto su quello che ha lasciato.
Chiunque abbia vissuto all’estero, per studio, lavoro o qualsiasi altro motivo, sicuramente troverà degli spunti familiari nei capitoli dove si parla di padroni di casa dalle regole assurde, confronto con la burocrazia e la cultura locale e coinquilini a loro volta stranieri che generano situazioni simili alle barzellette dall’incipit tipo, “ci sono uno spagnolo, un tedesco ed un italiano”.
Molto familiari saranno pure i capitoli dedicati alla beneamata patria e qui si rende necessaria una breve premessa: a scrivere questa recensione è una persona che ha vissuto e attualmente vive all’estero, in paesi anche molto diversi tra loro (Inghilterra, Egitto, Tunisia, Azerbaigian, Senegal, Irlanda). Poche cose li accomunano tutti, una di queste però è la presenza di espatriati italiani spesso proni a filippiche proprio contro l’Italia: “l’Italia fa schifo”, “non c’è futuro”, “paese malato”, “ti spremono di tasse”, “non ci sono prospettive” e mille altre varianti sul tema.
Si può essere d’accordo oppure no, e non sta a noi giudicare le ragioni che ognuno ha per lasciare casa, quello che posso dire però è che solitamente quelli che più se la prendono con la madrepatria sono quelli più arrabbiati per aver dovuto lasciarla e magari lo considerano pure una sconfitta personale.
Ferrarese ci racconta come è giunto alla sua scelta di andarsene, anni di lavoro nel mondo dei sindacati che poi non hanno portato alla realizzazione professionale che sognava, mancate risposte, persone incompetenti al potere perché compiacenti e tutto il catalogo di problematiche italiane che conosciamo bene.
Ecco allora che quando si trova a commentare i fatti italiani dall’Inghilterra, non risparmia critiche pesanti ed una visione assolutamente negativa del Belpaese. Non si tratta di una scelta originale e forse qualche pagina in meno su questo tema sarebbe stata una buona scelta, da apprezzare però è il livello culturale, Alda Merini, Pier Paolo Pasolini, Fabrizio de André e molti altri trovano spazio nelle sue pagine e sicuramente gli danno lo spessore necessario per elevarsi oltre la banale lamentela da espatriato. Ogni capitolo inoltre riporta all’inizio un titolo di una canzone, forse un suggerimento dell’autore per leggerlo ascoltando quel brano particolare.
Interessanti e ben scritti sono i capitoli dove Ferrarese ci racconta dei suoi lavori, presenti e passati e della sua vita quotidiana. Crude e brutali sono le pagine dedicate alla sua esperienza come care taker, assistente sanitario per persone anziane e malati terminali in difficoltà economiche. Sempre seguendo questa sintassi spezzata fatta di frasi brevi e parole scelte bene, entriamo nel mondo delle cosiddette “fasce deboli”: “Vive in uno di quei mostruosi casermoni che gli inglesi chiamano “council houses”, le nostre case popolari. Sono alveari di dimensioni enormi dove spesso le uniche occupazioni sono spacciare droga, ubriacarsi fino alla morte e fare figli all’età di tredici anni”.
Alla critica verso l’Italia, si affianca quindi una visione realistica del paese ospitante, che ha sicuramente il merito di avere un mercato del lavoro più solido e rispettoso, ma che ha comunque i suoi problemi, non sono quindi solo rose e fiori. Come dice il titolo però, alla fine il nostro protagonista trova il suo equilibrio, vive la sua vita, persegue i suoi obiettivi e in generale, nonostante tutto, si considera una persona fortunata.
Si tratta in conclusione di un libro piacevole, figlio dei nostri tempi, di un’Europa dove è facile spostarsi e crearsi una vita in un altro paese e in cui l’Italia è tornata ad essere un paese di emigranti. Contiene al suo interno una serie di problematiche attuali, aiuta a comprendere il mondo sempre più numeroso degli espatriati e ci dà un punto di vista esterno sul nostro paese. Lo consiglio a tutti coloro che hanno vissuto o vivono all’estero e a tutti coloro che magari hanno amici o parenti con la passione per la lamentela nei confronti dell’Italia.
Edizione esaminata e brevi note
Cristiano Ferrarese, è stato operaio in diverse aziende, professore alle superiori, libraio e sindacalista finché non ha deciso di lasciare l’Italia. Lo ritroviamo che pedala verso il suo nuovo lavoro: portiere di notte in un grande e lussuoso hotel di Bristol. Pedala e comincia a raccontare: la partenza dall’Italia due mesi prima, l’arrivo in Inghilterra e la sua nuova vita. Scrive in prima persona: dell’indignazione per l’Italia, paese piccolo piccolo, che lo ha costretto ad andarsene, della gioia e del dolore, dell’amore e del rifiuto. Senza autocompiacimento senza autoassolversi.
Cristiano Ferrarese, “Mi Chiamo Cristiano Ferrarese, Ho 44 Anni e Mi Sento Una Persona Fortunata”, Edizioni Il Galeone, 2017, Roma.
Follow Us