Appena due anni fa Giulio Mozzi, proprio quello del “postino” edito da Arkadia, pubblicando “Fiction 2.0.” ha mostrato cosa vuol dire in particolare autofiction. Secondo Cristina Scaletti, Mozzi, già scopritore di talenti come la stiratrice Giovanna Melliconi, il perito chimico Carlo Dalcielo, la poetessa erotica Mariella Prestante ed altri personaggi dall’esistenza molto dubbia, ha così inteso abbattere “il confine tra vero e falso, tra letteratura e vita, tra artificio e cosmologia”, giocando sul paradosso e sull’equivoco. E di grandi equivoci, nonché di una sorta di contrappasso truffaldino, si parla nel libro d’esordio del misterioso Fernando Guglielmo Castanar, per lungo tempo aspirante scrittore e poi costretto a ripiegare su un lavoro all’estrema periferia della filiera letteraria, che non crea scritti ma li porta (o li sottrae): il postino. Un lavoro che però ha permesso al nostro Fernando Guglielmo di vendicarsi dei silenzi di Giulio Mozzi, il talent scout e scrittore al quale aveva inviato i suoi scritti, senza mai ricevere uno straccio di riposta. Guarda caso in quel di Padova vivono sia Mozzi che Fernando Guglielmo e quindi per almeno trent’anni il postino vendicatore ha avuto modo di fregare l’insensibile “geniaccio della letteratura”. La confessione, documentata in questa multiforme opera d’esordio e permeata da un chiaro amore-odio, è arrivata il giorno prima del pensionamento di Castanar postino: scopriamo che il diabolico personaggio ne ha combinate di ogni, sottraendo parte della corrispondenza inviata all’inconsapevole Mozzi da parte di ansiosi e poi incazzatissimi letterati, per lo più in cerca di editore. Non facendosi mancare nemmeno un’intrusione e conseguente furto nell’appartamento del geniaccio.
Quello che a noi interessa, a parte questa impudica confessione di reati – ci penserà semmai un magistrato una volta individuata la vera identità di Fernando Guglielmo – , è che il “Postino” costituisce sia una sorta di antologia di autori italiani emergenti, emersi e comunque ben conosciuti da Mozzi – non dal postino scrittore che in un’intervista ad Agnoloni ha ammesso che i selezionati dovevano soltanto rappresentarlo durante le presentazioni del libro – sia una sferzante riflessione su come funziona l’editoria, popolata di scout ammorbati da scritti illeggibili; di strategie per raggiungere il successo, pur con la consapevolezza che di scrittura non si vive; di pagine dove sono messe nero su bianco le speranze e le delusioni di scrittori, forse anche di tutto rispetto, che appunto per questo non capiscono i silenzi del loro potenziale mentore. In realtà il gelido e inavvicinabile Mozzi la sua, su vibrisse, l’ha detta e anche con molta chiarezza: “Se scrivessi quindi una lettera per ogni testo che trovo privo o scarso d’interesse, ossia se scrivessi 1.400 lettere (circa) e altre 1.400 risposte alla risposta, impiegherei 14.000 minuti l’anno, ossia circa 230 ore l’anno. Un mese e dieci giorni di lavoro” (pp.48).
Oltre alla principale vittima del reato, ovvero Giulio Mozzi, ventinove gli autori, professionisti della parola e non proprio dilettanti allo sbaraglio, che, loro malgrado, hanno contribuito a questa antologia molto poco ortodossa ed autentico monumento alla violazione della privacy (parliamo di corrispondenza sottratta, mail rubate e altra refurtiva): Giovanni Agnoloni, Franco Arminio, Mauro Baldrati, Mario Bianco, Valter Binaghi, Adrián N. Bravi, Marco Candida, Riccardo de Gennaro, Arianna Destito, Valentina Di Cesare, Marco Drago, Riccardo Ferrazzi, Nunzio Festa, Francesco Forlani, Sergio Garufi, Alessandro Gianetti, Carlo Grande, Franz Krauspenhaar, Marino Magliani, Emilia Marasco, Claudio Morandini, Paolo Morelli, Giacomo Sartori, Beppe Sebaste, Giorgio Vasta, Alessandro Zaccuri, Stefano Zangrando. Ognuno con la sua impronta stilistica, a volte espressa in non più di una pagina e mezzo; chi più timido e riservato, più pensoso e meno aggressivo di fronte a risposte che non sono mai arrivate; altri decisamente più arrabbiati e disincantati.
Evitando citare ad uno ad uno gli scrittori “oggetto di sottrazione” – ventotto, ventinove, veri o falsi che siano, sono davvero tanti – possiamo ricordare Giovanni Agnoloni che, in “Corpo 5”, si fa riconoscere con la sua fantascienza morale e con uno sguardo all’infinito, rarefatto e nel contempo inquietante. Oppure il sarcasmo e la vena surreale di Franz Krauspenhaar, ed ancora Marino Magliani col suo “universo domestico e simbolico” (cit. G. Agnoloni). Antologia molto originale non fosse altro per l’assemblaggio quasi dadaista di scritti stilisticamente molto diversi, costituita da quanto sottratto dalla buca delle lettere di Mozzi; e quindi ritagli di conversazioni, mail personali, invettive, patetiche recriminazioni, brani di presunti romanzi in costruzione, brevi racconti probabilmente autoconclusivi, esplicitamente trasformati in “corpi” sottratti alla pubblicazione ed ora riesumati come fosse l’epilogo di un cold case: e di conseguenza l’idea di una sorta di romanzo, surreale ed ironico, a sessanta mani non è poi così peregrina.
Vista una costruzione letteraria del genere, fatta di dialoghi sarcastici e recuperi di refurtiva molto dubbia, questo “postino di Mozzi” potremmo definirlo anche qualcosa di più di un’antologia, seppur originale: ogni pagina, tra “corpi” apparentemente incompatibili, apparentati dalle delusioni degli autori e dal loro distratto e imperturbabile destinatario, sostanzialmente tacciato di grandissima stronzaggine, è una scoperta e spesso una sorpresa. Lo stesso Fernando Guglielmo, per anni intento nella sua metodica opera di sottrazione, potrebbe alla fine scoprire che c’è un altro stronzo più stronzo di lui che lo ha fregato. Il contrappasso implacabile dell’autofiction.
Edizione esaminata e brevi note
Fernando Guglielmo Castanar, scrittore italiano, ex postino. Sappiamo che il padre è triestino, la madre toscana e “dopo l’adolescenza vorrebbe vedere anche come si vive nel Nord Ovest ma si ferma prima, sulle colline del pavese”.
Fernando Guglielmo Castanar, “Il postino di Mozzi”, Arkadia (collana “Senza rotta”), Cagliari 2019, pp. 136.
Luca Menichetti. Lankenauta, maggio 2019
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