Nessuno più di Bob Dylan incarna l’idea del cantautore, chi di voi almeno una volta nella vita non ha canticchiato “Like a Rolling Stone”, o “The Times They Are A-Changing”, o “Blowin’ In The Wind”? Ma siamo onesti, quanti si sono fermati un attimo ad ascoltare un intero album, magari cercando pure le traduzioni dei testi e leggendoli con attenzione? Chi scrive ci ha provato, ma con scarsi risultati e ha la presunzione che molti si trovino nella sua stessa situazione.
Il fatto è che per quanto molte delle sue canzoni siano giustamente famose, la narrativa di Bob Dylan è ben lontana dall’essere semplice. Troviamo conferma di questo anche nel libro, nella quale l’autore riporta le parole di Jeff Gold, uno storico che ha passato un numero imprecisato di ore ad analizzare i manoscritti originali di Dylan, e stiamo parlando di un intero archivio. Secondo Gold, la gente “interpreta in maniera del tutto errata un sacco di cose all’interno delle sue canzoni”, aggiungendo che “è un’impresa disperata cercare di entrare nella mente di Dylan”.
Se perfino uno storico di professione, che ha spulciato un intero archivio di materiale autografo, la pensa così, noi semplici ascoltatori dediti ad altre professioni, possiamo forse sentirci un po’ meno in colpa. Ed ecco a cosa serve questo libro: “Un Sottile Selvaggio Suono Mercuriale”, un’espressione che lo stesso Dylan utilizzò durante un’intervista, per definire il tipo di musica che andava cercando di realizzare e che ammise di essere riuscito a catturare proprio durante la registrazione di Blonde On Blonde, il suo settimo album, uscito nel 1966 e su cui si concentra questo libro.
La narrazione inizia subito dopo il famoso concerto al Newport Folk Festival del luglio 1965, dove Dylan venne sommerso di fischi a causa della ormai leggendaria “svolta elettrica”, ossia la scelta di passare dal folk acustico che l’aveva reso famoso, ad un suono più rock e blues, usando strumenti appunto elettrici e suonando con una band. Molti estimatori del folk non la presero bene, lo additarono come traditore, la vicenda ebbe molta risonanza mediatica e ovviamente ebbe un certo impatto sullo stesso Dylan.
Da qui le pagine proseguono come una sorta di fase di avvicinamento alla parte centrale, ossia la registrazione vera e propria dell’album. Queste ebbero luogo prima a New York e poi a Nashville, la cosiddetta “music city”, considerata il centro nevralgico della produzione musicale americana, folk in particolare.
Durante questa fase di avvicinamento, vediamo le canzoni del futuro album cominciare a germogliare e a prendere forma nella mente di Dylan. Sono pagine molto piacevoli da leggere perché è come essere catapultati nel mezzo della scena musicale statunitense degli anni ’60, seguendo da vicino uno dei suoi maggiori protagonisti.
Quando finalmente arriva il momento delle registrazioni invece, la stessa accuratezza dei dettagli e lo stesso stile scorrevole ci fanno entrare nello studio con la band per capire come, proprio a livello pratico e tecnico, nasce un album.
Il libro si focalizza soprattutto sulle sessions di Nashville, l’autore, il giornalista musicale Daryl Sanders, ci racconta brevemente la storia di ognuno dei musicisti che parteciparono con Dylan a quest’album, molti dei quali passarono alla storia come i “Nashville Cats” e sono ancora considerati tra i migliori “session men” della storia della musica.
Il lavoro di Sanders è veramente encomiabile, un’analisi certosina delle fonti e un lavoro quasi filologico sui testi, tutte le loro sfumature e tutti i cambi di parole fatti da Dylan tra una session e l’altra. Si tratta di dati veramente preziosi a livello biografico e per la quale i futuri studiosi di Dylan gli saranno grati. Però per noi poveri lettori comuni può risultare difficile leggere intere pagine dedicate e queste piccole variazioni, che forse avrebbero potuto essere spostate in un’appendice.
In generale quindi, si tratta di un bel libro che racconta una bella storia vera in maniera piacevole e divertente. Blonde On Blonde è da molti considerato uno dei migliori album mai scritti, contiene pezzi come “I Want You”, “Just Like a Woman” e “Visions Of Johanna”, spesso nominata per avere il miglior testo di sempre.
Come detto, lo stesso Dylan ha dichiarato che non è mai andato così vicino al suono che cercava come durante le sessioni di Nashville. Che piaccia o non piaccia quindi, quest’album resta un pezzo di storia della musica che gli appassionati dovrebbero ascoltare. Lo consiglio sia a fan di Dylan sia a coloro che invece lo conoscono poco e vogliono tentare di capire un po’ di più sulla sua narrativa.
Edizione esaminata e brevi note
Daryl Sanders, giornalista musicale di Nashville, è una vera autorità nel campo della storia e dell’anima della città. Fin dagli anni Settanta, ha diretto varie riviste che hanno raccontato “l’altro lato della Music City”. In quattro decenni di carriera giornalistica, ha incontrato e intervistato decine di musicisti leggendari, tra cui Frank Zappa, Tom Petty, Joan Baez e i Neville Brothers.
Daryl Sanders, “Un Sottile Selvaggio Suono Mercuriale”, traduzione di Alessandro Besselva Averame, Jimenez Edizioni, 2019, Roma.
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