Leggo sul dizionario Treccani la definizione di apocrifo: “ [dal lat. tardo apocry̆phus, gr. ἀπόκρυϕος «occulto, segreto», der. di ἀποκρύπτω «nascondere»]. – Di libro, scritto, o documento non autentico, non genuino. “ Così in questo libro di poesie, “L’apocrifo nel baule”, opera di Michele Brancale, edita nell’aprile 2019 da Passigli, l’autore sembra riconnettersi all’etimo, libro “occulto, segreto” che egli immagina essere stato scritto e poi abbandonato in un baule da una misteriosa figura che però è legata a lui intimamente, come si capisce dalla nota iniziale. È un parente, un amico, il padre? Michele Brancale non svela altro se non che la sua è una riscrittura fatta partendo da questo testo ritrovato.
Nel corso della lettura scopriamo che il fantomatico autore o coautore di questi versi ha partecipato alla seconda guerra mondiale. Ci si ritrova così davanti a uno stratagemma retorico, per porre la poesia in una dimensione storica, per velare di mistero questi versi, per allontanarli dalla biografia e rivelarne la natura segretamente universale.
Questo stratagemma serve forse a Michele Brancale per indossare una maschera, per rivelarsi a noi come maschera, che nel gran teatro della vita compie il suo percorso. La mistificazione qui serve l’enigma: il gioco rivela l’autore come creatura scissa, da un lato il soggetto che opera e vive nel mondo, dove lavora come maestro, dall’altro lato lo scrittore, colui che scrive.
Qui non si sa più a chi appartengano alcuni di questi ricordi, se al poeta Michel Brancale o se all’autore di questo apocrifo, che durante la lettura da finzione acquista giocoforza la consistenza di persona. Non si sa se i ricordi narrati siano reali o appartengano al regno dell’immaginazione. Quest’ambiguità non è risolta da Michele Brancale e tutto sommato inquieta ma in una maniera sobria. I luoghi sono gli stessi dell’infanzia del poeta, che condivide con l’autore dell’apocrifo le origini potentine, descritte con vivo realismo. Quindi le due figure sfumano l’una nell’altra e si confondono.
È questa una poesia intima, delicata, profonda a tratti anche ironica e svagata, altrove potentemente visiva e concreta, dove il ricordo mescola suoni e immagini, le grida dei bambini, il canto delle rondini e dei grilli, come nella bella poesia Sentiero di Spadarea, dove a questo concerto naturale mancano oggi “il sibilare della bora” e “la nenia dei mulattieri”. Così la nostalgia si rivela la sostanza di un ricordare che rende presenti luoghi ormai profondamente mutati.
Dalla descrizione di un amico ciabattino al ricordo commosso della nonna, dal racconto della guerra in mare all’episodio di un matrimonio povero, emergono anche figure archetipiche, la pettegola di paese, l’uomo d’affari, la moglie bisbetica…
Il tutto reso con un tono sommesso, con assonanze e rime interne al verso, prevalentemente modulato sul metro dell’endecasillabo; emerge così la modernità dell’operazione stilistica non disgiunta da riferimenti tradizionali.
La vera guerra si combatte per “essere umani”, il vero naufragio è interiore, il destino vaga sull’acqua, il male deflagra, esplode e ogni giorno è un difendersi da esso, questo libro si rivela pian piano una lettura che va oltre l’istante della sua decifrazione e perdura nella memoria. È nel complesso un libro di sensazioni fluttuanti, se l’abbaiare di un cane rende intenso il momento in cui il giorno finisce, in un paese in cui la gente non spera più in niente, scopriamo la pesantezza che viene dal buio, dalle notti in bianco, assistiamo a un incontro fra dei della mitologia greca, in una trattoria dove essi sono restituiti alla quotidianità, scesi dall’Olimpo per diventare umani troppo umani, viviamo con il poeta la fatica di vendere i propri libri in una mostra libraria e infine troviamo una dimensione metafisica nel “tarlo dell’incompiuto” dove “emerge il sentimento di Dio”.
“L’apocrifo nel baule” si rivela, dunque, testo misterioso, un ordigno linguistico ben calibrato in cui una musicalità tenue, scritta sul “pentagramma del vivere”, si allea con le immagini, con i ricordi, con il silenzio ”fiorito di pensieri”.
Edizione esaminata e brevi note
Michele Brancale è nato in Basilicata nel 1966. Collaboratore di giornali e periodici come “La Nazione” e “Avvenire”, redattore della rivista “Gradiva”, ha pubblicato diverse raccolte di poesie, fra le quali: “La fontana di acciaio” (Polistampa, 2007), “Salmi metropolitani” (Edizioni del Leone, 2009), “Rosa dei Tempi” (Passigli, 2014). Ha pubblicato fra l’altro il romanzo “Esodo in ombra” (Giuliano Ladolfi, 2016). Vive e lavora a Firenze.
Michele Brancale, L’apocrifo nel baule, prefazione di Roberto R. Corsi, Passigli Poesia aprile 2019
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