Sole, Luna e Talia.
Talia morì, o per meglio dire si addormentò, punta da una spina di lino. Venne posta in un palazzo dove un giorno capitò un re. Il re cercò di svegliarla, ma vedendola esanime “l’adagiò sul letto e ne colse i frutti dell’amore. Poi lasciatala così com’era, bella e addormentata, se ne tornò nel suo regno, dove per gran tempo non si ricordò più quello che era successo.
Talia, dopo nove mesi, sgravò una coppia di creature” che scambiarono il suo dito per un capezzolo e lo succhiarono fino a estrarre la spina di lino, riportandola in vita.
Intanto il re — che per giunta era pure sposato — a un certo punto si ricordò di lei e decise che sarebbe andato a rivederla. Questa volta, la trovò viva e con prole.
“Dopo aver raccontato chi fosse lui e come erano andati i fatti, si legarono di immensa amicizia”.
Uno sviluppo, questo, che potrebbe assai perplimere il lettore.
Così inizia una delle tre fiabe di Giambattista Basile (1566-1632) raccolte nel volumetto Pinto Smalto e altre fiabe dal Pentamerone (edito da Marietti). Si tratta di tre racconti in napoletano, tratti dalla più ampia raccolta di racconti il Pentamerone, e tradotti in questa edizione da Gennaro Matino.
Queste fiabe hanno attraversato una lunga e complessa storia di riscritture, traduzioni, adattamenti. Tra le più antiche e influenti del nostro patrimonio letterario nazionale, le fiabe di Basile rappresentano l’archetipo di alcuni dei grandi classici della fiaba moderna.
La stessa Talia, ricorda per similitudine la bella addormentata nel bosco, specie nella versione di Perrault. Segue, infatti, pressoché lo stesso copione: la regina ordina al cuoco di scannare i figli di Talia e cucinarli al posto di due caprette, così da vendicarsi del marito traditore.
Ma “il cuoco, che era tenero di polmone, appena vide queste due creature belle come piume d’oro ne ebbe compassione”.
Nella versione originale il cuoco era “teneriello de permone” e i bambini “pumme d’oro”.
Il testo in napoletano a fronte, permette di comparare la traduzione di Matino con l’originale. È un’esplorazione interessante, anche per chi come me non sia esperto, né pratico, di dialetto napoletano. Già a colpo d’occhio, infatti, è possibile avvertire che l’approdo in italiano profuma ancora del suo originale, per metrica, ritmo, per estro e invenzione lessicale.
Nella fiaba I tre cedri, il principe Ciommetiello non vuol prender moglie. Ma, un giorno si ferisce un dito tagliando una ricotta. E mentre il sangue stilla sul latte della ricotta, lo coglie il desiderio di una donna rossa e bianca, come la ricotta insanguinata. Decide, così, di andare a cercarla pellegrino per il mondo.
Dopo alterne vicende, “ecco tra le sue mani una ragazza tenera e bianca come una giuncata con venature di rosso che sembrava un prosciutto d’Abruzzo”.
Dovendo egli regolare delle questioni al suo paese e non volendo portarla con sé prima di sposarla, si congedò rassicurandola: “prima che secchi questo mio sputo verrò a riprenderti”.
La coloritura comica, l’ironia, la parodia sottile creano un’atmosfera leggera e gioiosa, nondimeno talvolta si inaspriscono ed eccedono fino a sconfinare in scatti di disinvolta crudeltà.
“Corri, rompiti il collo” – urla la padrona alla “schiava nera”, che era stata mandata a prendere l’acqua – “schiava pezzente, salta come un grillo, rottainculo! […] altrimenti ti sbatto come un polpo”.
Nella storia di Ciommetiello, il punto di svolta avviene quando, in sua assenza, questa “schiava nera” si sostituisce con l’inganno alla bella ragazza tenera e bianca. Ciommetiello, tornato in gran galoppo, trova “una botte di caviale, là dove aveva lasciato una tinozza di latte” e resta disorientato.
“Non meravigliarti, mio principe” – lo rassicura la schiava – “un anno faccia bianca, un anno culo nero”.
Insomma, un re che ha un rapporto sessuale con una morta, una donna di colore messa a paragone con una ragazza bianca. Chiaramente, non si tratta di racconti che vogliono essere edificanti. Ma piuttosto di storie che attingono alla tradizione orale popolare del tempo e puntano sugli aspetti ludici, stupefacenti, talvolta grotteschi. Erano destinate, infatti, all’intrattenimento nelle piccole corti seicentesche, quando le tavole venivano sparecchiate e iniziavano i divertimenti del dopo pranzo.
Nella fiaba Pinto Smalto, che dà il titolo al libro, anche Betta all’inizio non vuole sposarsi. Ma poi si convince a impastarsi un marito con le proprie mani:
zucchero di Palermo – 50 kl
mandorle ambrosiane – 50 kl
acqua di rosa – 6 fiaschi
muschio, ambra, granatini e rubini
filato d’oro, 40 perle e 2 zaffiri.
Questi sono gli ingredienti per prepararsi un marito in casa. Impastato il tutto e modellata una statua con la pasta, Betta tanto pregò la dea dell’amore, che la statua prese vita e divenne un bellissimo ragazzo, ma ahimè, tremendamente ingenuo. Pinto Smalto — così gli aveva dato nome Betta — era ingenuo a tal punto, che durante i festeggiamenti del matrimonio si fece portar via dalla prima donna che di lui si incapricciò.
Uomini di pasta di mandorle, donne come ricotte, un immaginario variopinto e mangereccio, costellato di metafore, elenchi fantasiosi, attraversato dall’elemento della magia.
La grandezza di queste fiabe, tuttavia, non sta tanto nella pregnanza delle trame, quanto proprio nelle allitterazioni, nell’estro lessicale, quindi nell’uso della lingua. Tant’è che questo volumetto, dopo la breve introduzione di Enzo Decaro, lascia il lettore senza commenti, né note al testo, unicamente alle prese con l’inventiva linguistica di Basile e l’abilità stilistica di Matino.
Una sorta di passo a due, come lo definisce Decaro, che sancisce tra i due autori un sodalizio intellettuale al di fuori dello spazio e del tempo.
Edizione esaminata e brevi note
Giambattista Basile (1566-1632) è autore de Lo cunto de li cunti (ovvero il Pentamerone) prima raccolta europea di fiabe popolari. Molte delle sue fiabe, tutte scritte in napoletano, hanno fatto da modello ad alcuni dei grandi classici della fiaba, come Cenerentola e Il gatto con gli stivali di Perrault.
Gennaro Matino, parroco napoletano e scrittore, è editorialista di Avvenire, Il Mattino e La Repubblica.
Enzo Decaro, attore e sceneggiatore, ha fatto parte del gruppo teatrale La Smorfia assieme a Massimo Troisi.
Giambattista Basile, Pinto Smalto e altre fiabe dal Pentamerone.
Testo originale a fronte. Traduzione di Gennaro Matino. Introduzione di Enzo Decaro.
Marietti 1820, 2019
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