Un romanzo breve, brevissimo. Un romanzo che attinge a tradizioni non canoniche della leggenda omerica. La Ciani scrive in Postfazione: “su Penelope e Ulisse si imbastiscono, dopo Omero, storie incredibili, vicende complicate e strane. I poeti non parlano, ma scoliasti, commentatori antichi e tardi, mitografi – dopo aver brevemente riassunto il contenuto dell’Odissea (spesso con vistose omissioni) – raccolgono devotamente i “si dice”“. Di Penelope, dunque, al di là dell’Odissea, “si dice” parecchio perché le leggende, passate da voce a voce, da tempo a tempo, trasfigurano e mutano la storia “ufficiale” per aggiunte o per sottrazioni. Tiresia, ad esempio, racconta che Ulisse ripartì poco dopo il suo ritorno a Itaca. Arrivò dai Tesproti, sposò la regina Callidice ed ebbe da lei un figlio a cui, dopo la morte della madre, lasciò il regno. Fece quindi ritorno a Itaca dove intanto Penelope aveva dato alla luce Poliporte, figlio di chissà quale padre. Ma sui tanti “si dice” che riguardano Penelope c’è anche quello che la racconta sedotta da Anfinomo, uno dei vari pretendenti e che, per questa ragione, Ulisse la ripudiò o, addirittura, la uccise. E nel caso in cui Penelope venisse solo ripudiata, “si dice” che andò fino a Mantinea, in Arcadia, dove si unì a Ermes generando Pan.
Insomma le vicende di Penelope, dalla sua creazione in poi, possono aver avuto sviluppi ed epiloghi molto diversi ed è proprio da una delle diverse varianti del destino di Penelope che Maria Grazia Ciani ha scelto di partire: “Raccogliendo uno dei “si dice” di Apollodoro, ho dato all’innamorato non il tràdito nome di Anfimaco ma quello di Antinoo – che rievoca la divina bellezza del giovane amante dell’imperatore Adriano“. Maria Grazia Ciani, grande studiosa e cultrice della tradizione classica, ha costruito ed elaborato un romanzo che è d’amore, d’attesa, di timori, di morte. Le premesse sono intoccabili: Penelope, non più giovane, attende ormai da venti anni il ritorno di suo marito Ulisse, il re di Itaca. Attorno a lei uno stuolo di pretendenti che, da regina, tiene a freno e in sospeso con austerità e intelligenza. Perché Penelope, pur non essendo bella come sua cugina Elena, è sempre stata saggia, scaltra e prudente.
Inizialmente sono solo due le voci che prendono la parola: Penelope e Antinoo. Con brevità solenne spiegano, come fossero personaggi su un proscenio, chi sono e cosa avviene. Ci introducono ai loro pensieri e alle loro ansie. Il volto di Penelope racchiude una perenne tristezza, i suoi occhi sono celati da un velo che confonde e nasconde. “Questa è la mia maschera. Maschera austera di sposa fedelissima. Io sono “colei che attende”. Io sono “colei che soffre”“. Penelope è sfinita da un’attesa che non sa finire, il vuoto lasciato da Ulisse, col tempo, è divenuto per lei una sorta di sepolcro: la racchiude e la sorveglia. È una regina e sa quale sia il suo posto. Eppure, dopo venti anni, il senso dell’attesa si fa più insostenibile. La sua non è una sorta di vuota stanchezza. Penelope osserva gli uomini che popolano il suo palazzo da tempo e nota che qualcosa, in lei, sta mutando.
Antinoo, da parte sua, considera chi era e cosa è diventato. “Con il passare degli anni eravamo diventati una banda di spensierati nullafacenti, intenti solo al gioco, al cibo, alle piccole avventure con le serve compiacenti. Quasi dimentichi del motivo che ci aveva riunito e spinto a sostare sull’isola in attesa: che Lui ritornasse, che Lei decidesse“. L’attesa è anche per lui un vuoto a cui ci si abbandona per abitudine o per negligenza. Eppure ricorda che il suo intento era uno solo: appropriarsi di Itaca, il regno di Ulisse, attraverso Penelope. Possedere lei avrebbe condotto a possedere un’isola. Era il solo, iniziale, primario obiettivo. Poi? Poi sembra che tutto si sia fatto assuefazione. Penelope tiene tutti in sospeso, appesi a un’indecisione che non vuole sciogliere. Ma anche Antinoo, dopo tanti anni, la guarda con occhi diversi e capisce che per lei prova un sentimento.
E il romanzo diventa d’amore. Nella sua concisione c’è spazio per qualche scintilla. Antinoo capisce le sue profondità: “Io questa donna velata l’amo davvero, questa donna che ci tiene in pugno. La misteriosa, l’inafferrabile. È lei il mio regno“. Penelope lo capirà a sua volta, con la coscienza di chi non può confessarlo a nessuno: “Nessuno sa che un pensiero, debole in principio e poi sempre più forte fino a diventare un’ossessione, mi tormenta giorno e notte: che questa malinconia, questa inquietudine, non sono per Lui. Non sono più per Lui“. La Ciani entra dentro quello che sembra solo un antico “pettegolezzo” letterario ma lo ampia e gli dà vigore, lo impreziosisce e lo nobilita. Lo scandalo non c’è, non fino al momento in cui Ulisse, travestito da mendicante, non torna alla sua isola e, con la sua “mente pari agli dèi” intuisce e agisce, come sempre.
Le parole che scorrono sono dialoghi d’anima, di chi parla con sé o, al più, con lo sguardo. Non si può dire perché c’è chi ascolta e chi ascolta non sa. Testi immediati, prosa secca e intrisa di una raffinatezza d’altri tempi. La Penelope raccontata dalla Ciani non appare impeccabile come la vuole la tradizione. Penelope è imperfetta, frangibile e insicura e, proprio per questo, molto più umana e amabile di quanto sia mai stata prima d’ora. La sua vicenda, infatti, ci conduce a una domanda davvero molto umana: si può rimanere fedeli anche nell’assenza?
Edizione esaminata e brevi note
Maria Grazia Ciani ha insegnato storia della tradizione classica all’Università di Padova. Presso la casa editrice Marsilio ha fondato e diretto fino al 2006 la collana di classici greci e latini «Il convivio» e fino al 2014 la collana «Variazioni sul mito», per la quale ha curato i volumi dedicati a Medea, Antigone, Fedra, Orfeo e Ulisse. Sempre per Marsilio, nel 2006 ha pubblicato il romanzo Storia di Argo e nel 2019 il suo primo romanzo “La morte di Penelope”.
Maria Grazia Ciani, “La morte di Penelope“, Marsilio Editori, Venezia, 2019.
Pagine Internet su Maria Grazia Ciani: Wikipedia / Scheda Marsilio / Istituto Veneto
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