Al termine di questa raccolta di racconti, Il paradiso degli animali, che segna l’esordio dello scrittore americano David James Poissant, c’è la Nota del traduttore, Gioia Guerzoni (avrei preferito una Nota della traduttrice), che parla del titolo del libro: “Tra l’altro, il titolo inglese della raccolta, The heaven of animals, è preso da una famosa poesia di James Dickey, che parla di animali e finisce così: <<Under the tree / They fall, They are torn / They rise, They walk again>>. Gli animali cadono e si rialzano, spesso sconfitti ma pronti a riprovarci, proprio come noi.” (pag. 302). Un testo che parli di questi racconti potrebbe anche finire qui perché queste parole ne colgono a mio avviso l’essenza, ma vorrei provare a usarlo come punto di partenza dato che usa una espressione per me rivelatoria. Dice “Gli animali… proprio come noi.”, che è quello che tendiamo a dimenticarci più spesso, anche se rovesciato, perché non sono tanto gli animali ad essere come noi, ma noi che, prima di tutto, siamo animali. Questo mi ricorda, d’acchito, Ritratto dell’artista da cucciolo (in originale Portrait of the artist as a young dog) di Thomas, Mowgli il cucciolo d’uomo e persino una canzone di Bobo Rondelli, cantautore livornese, in cui paragona un bambino a un gattino, e sì, sono tutti esempi che parlano di bambini, forse perché è più facile vedere in quell’età l’appartenenza al mondo animale, ma questa appartenenza non cambia quando si è adulti, siamo forse noi, in un certo senso, a dimenticarla, nonostante tutto. Ciò che mi sembra fare Poissant è appunto ricordarlo e scriverlo in un modo che, grazie alla traduzione di Gioia Guerzoni, appare anche nella nostra lingua come “naturale”.
Arrivo così alla perizia tecnica dei racconti che, all’inizio, mi ha persino infastidito, dandomi l’impressione di star leggendo un manuale di scrittura creativa, ma con le pagine si è dissolta lasciando il posto alle emozioni. A mente fredda, di nuovo, si nota una costruzione certosina, un progetto di descrizione del mondo e delle esperienze umano-animali che cerca di occupare ogni casella: si parla di omosessualità, di malattia, mentale e non, di istruzione, dinamiche familiari, di assistenza, di animali domestici, e non, di bullismo, di morti, accettate o meno, e così via. Ci sono anche personaggi ricorrenti, con le loro porzioni di storie a distanza di tempo, come Dan e Jack, che dal primo racconto tornano nell’ultimo, che dà il titolo al libro, in un percorso circolare. Ci sono anche due racconti che sono uno solo, diviso in parti con sottotitoli diversi, e che ne hanno fatto nascere un terzo che sarà il primo romanzo di Poissant. Lo dice in un’intervista molto interessante su The Indianola Review a Geosi Gyasi, in cui racconta di sé come lettore e come scrittore, e di progetti futuri come raccolte di saggi e memoir sul suo crescere in una chiesa battista del Sud e sul suo rapporto con la fede. È un’intervista intensa e che vale la pena leggere, cercando di destreggiarsi con l’inglese, a mio avviso, e che dona una forma più precisa a certe intuizioni riguardo l’autore che possono venire durante la lettura. Ad un certo punto, tra le altre cose, parla degli animali e di come ne abbia sempre avuti per casa, fin da piccolo, e continui ad averne e gli sembri normale utilizzarli nelle sue storie. Forse per questo gli animali nei suoi racconti sono protagonisti, anche quando non lo sono, anche quando la loro presenza è appena accennata, perché rimangono una presenza fondante dell’esperienza della persona Poissant, che come scrittore riesce a trasferire sulla pagina, a trasferirla in modo da apparire, a chi legge, come universale, comune a tutti.
Lo stretto legame che frase dopo frase, racconto dopo racconto, l’autore statunitense riesce ad instaurare fra i protagonisti esseri umani e gli animali e fra i primi e il loro essere animali alla fine porta a considerare certi comportamenti più che dettati da una profonda umanità, da una profonda animalità. Il ragazzo che ha smesso di prendere le pasticche e che, accortosi di aver finito il miele, sfida la propria paura e allergia nei confronti delle api pur di tentare di prendere del miele per la sua ragazza; l’uomo che attraversa gli Stati Uniti con una macchina scassata perché non ha soldi e che poi ne ruba una, che riesce a oltrepassare posti di blocco, pur di raggiungere il capezzale del figlio omosessuale che aveva, letteralmente, spinto fuori da una finestra di casa quando l’aveva scoperto con un altro ragazzo: non sono più atti umani, ma animali. Personaggi e storie colme di incomunicabilità che trovano in gesti animali il modo di andare avanti, come se si potesse ritrovare l’umanità spogliandoci della nostra tensione al ragionamento, alla spiegazione. Chi sa. Quel che penso di Poissant e di questi racconti spero si colga, e se anche non fosse ma sei arrivato/a comunque fino a qui, le prossime parole sono senza dubbio più chiare: Il paradiso degli animali è un libro con cui vale la pena confrontarsi.
“<<Mamma>> dico. <<Ho un lupo alla finestra>>.
<<Sì>> dice lei. <<Anche alla mia. Ce l’ho proprio davanti agli occhi>>.” (pag. 147)
Edizione esaminata e brevi note
David James Poissant. I suoi racconti sono apparsi in diverse riviste e nella antologia Best New American Voices, e hanno vinto numerosi premi, tra cui l’Alice White Reeves della National
Society of Arts & Letters. Con Il paradiso degli animali ha vinto il Florida Book Award 2014, ed è stato finalista al Los Angeles Times Book Prize e al PEN/Robert W. Bingham Prize.
Docente del master in Fine Arts all’University of South Florida, nel 2015 viene nominato vincitore al New Writers Award for fiction, come in passato autori del calibro di Alice Munro e Richard Ford.
David James Poissant, Il paradiso degli animali, traduzione di Gioia Guerzoni, EnneEnne editore, 2015
Segnalo anche questa recensione di Elena Refraschini su Viadeiserpenti.
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ab, febbraio 2016
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