Quando ho visitato il Mausoleo delle Fosse Ardeatine, qualche anno fa, c’era un sole splendente. Sembrava tutto nella norma, prima di entrare. Poi, una volta arrivata all’interno degli spazi che ricordano e accolgono i resti delle vittime di quell’eccidio efferato, dopo aver camminato lungo le gallerie delle Fosse, dopo essere rimasta in raccoglimento di fronte all’incavo nel quale sono state trucidati e nascosti i corpi di 335 persone, la luce splendente del sole non aveva più lo stesso significato. Visitare le Fosse Ardeatine è un’esperienza potente e destabilizzante, ma indispensabile per capire e conoscere un pezzo della nostra Storia. Tra le lapidi che ricordano le persone uccise dai nazisti alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944 ci sono sette rappresentanti della famiglia Di Consiglio. La famiglia materna di Giulia Spizzichino, tutti uccisi con un proiettile sparato dietro la nuca, perché è così che i tedeschi fecero: un colpo alla nuca per ognuno dei 335 trucidati.
“La farfalla impazzita. Dalle Fosse Ardeatine al Processo Priebke” è la biografia di Giulia Spizzichino, il racconto lineare, semplice, limpido e autentico della sua vita. Ebrea romana, figlia di un mercante di stoffe, Giulia nasce nella Roma degli anni ’20 del Novecento, gli anni in cui il Fascismo prende voce e potere. È la prima di cinque figli, cresciuta all’interno di una famiglia unita, con un padre premuroso e un po’ geloso e una madre forse solo poco incline a dimostrare il proprio affetto. La Spizzichino inizia a ripercorrere i momenti della sua infanzia collegandoli a piccoli episodi che le sono rimasti impressi nel cuore e nella mente. “I momenti di aggregazione familiare sono i più belli. Era così anche per me, prima che il mio grande albero fosse abbattuto dalla scure della guerra e dei campi di sterminio. Così ora mi tocca ricordare quei momenti con un dolore infinito, che mi strazia il petto senza conoscere freno“.
Come ogni ebreo italiano, Giulia è vittima delle Leggi Razziali emanate da Mussolini nel 1938. Ha solo 11 anni quando viene esclusa dalla scuola che frequenta. Ha sempre dimostrato grande passione per lo studio e, soprattutto, per la scrittura e la “cacciata” improvvisa dalla sua classe è un trauma per lei e per sua madre. “Povera mamma, per lei fu un’umiliazione tremenda venire in classe, raccogliere tutti i miei libri e quaderni e portarmi via. Io in quei momenti stavo lì a occhi bassi, non capivo perché l’avessero costretta a ricondurmi a casa. Ero terrorizzata all’idea di aver fatto qualcosa di male e temevo una punizione da parte di mio padre, di cui avevo molta soggezione“. Ben presto la vita di Giulia e di altri ebrei romani si complica. Suo padre viene denunciato, condannato e mandato al confino a Calvello, un piccolo paese in provincia di Potenza. La madre rimane sola e, per un anno e mezzo, deve provvedere come può ai suoi cinque figli.
Ma i momenti più drammatici per Giulia Spizzichino non sono ancora arrivati. Papà Cesare Spizzichino, grazie a un intuito invidiabile, capisce che non è il caso di rimanere a Roma. Poco prima della retata del 16 ottobre 1943, decide di allontanarsi dalla città perché teme arresti e deportazioni. “Lo sentiva nell’aria, lo aveva letto negli occhi dei nazisti. Era una persona semplice, ma nella sua semplicità riusciva a percepire le cose. Qualcuno lo ascoltò e si salvò la vita. Altri, pur intuendo che aveva ragione, non potevano permettersi di partire, non ne avevano i mezzi“. Inizia così per la famiglia Spizzichino un periodo di fuga attraverso diversi paesini delle campagne romane, un periodo di difficoltà, di fame, di freddo e di terrore. Nel frattempo a Roma, i tedeschi rastrellarono il Ghetto portando via più di mille persone. Tra essi numerosi membri della famiglia di Giulia che finiranno di esistere nei forni di Auschwitz.
Giulia e la sua famiglia tornano a Roma poco prima dell’attentato di Via Rasella, avvenuto il 23 marzo del 1944. Un evento a cui seguirà la barbara rappresaglia tedesca che costerà la vita a 335 uomini tra prigionieri, ebrei, militari. Oltre a veder sparire molti parenti e amici deportati dopo la retata nel Ghetto di Roma, la Spizzichino vedrà ulteriormente decimata la sua famiglia con l’eccidio delle Fosse Ardeatine in cui morirono ben sette membri della famiglia di sua madre. I ricordi si impastano a un dolore che non può aver fine. Nel 2013, quando Giulia Spizzichino e Roberto Ricciardi hanno lavorato a “La farfalla impazzita”, la donna è ormai molto avanti con gli anni eppure la sofferenza legata a quel tempo, a quelle morti tanto atroci e ingiuste non è mai guarita. La Spizzichino ci racconta anche ciò che è venuto dopo, compresa la famosa estradizione del gerarca nazista Erich Priebke dall’Argentina che, probabilmente, senza il suo intervento non sarebbe avvenuta.
Come detto, siamo in presenza di una biografia speciale e irripetibile, quella del percorso di crescita e di vita di una bambina che diventa ragazza e poi donna attraversando alcuni dei momenti più tragici della Storia del Novecento. Piccoli episodi della sua quotidianità familiare e personale si intersecano con fatti di una brutalità devastante. Giulia ha molto patito, la parola “dolore” è ripetuta costantemente nel corso di tutto il libro. Un racconto semplicissimo, fatto di parole altrettanto semplici ed essenziali. La fatica non sarà mai quella di seguire i ricordi di Giulia e di comprendere ciò che ha scritto, la fatica sta nel metabolizzare il senso e il peso di quanto lei, e altri come lei, hanno dovuto vivere, sopportare, soffrire e pagare in quel periodo solo perché nati ebrei, solo perché troppo deboli, solo perché impossibilitati a difendersi. Giulia Spizzichino non ha mai voluto cancellare né dimenticare nulla. È stata una testimone attiva e puntuale e questo libro raccoglie per intero la sua toccante dichiarazione di umanità, di dolore, di libertà e di rinascita.
Edizione esaminata e brevi note
Giulia Spizzichino è nata a Roma nel 1926. Sfugge alla grande deportazione del 16 ottobre 1943 grazie al padre Cesare, che nella richiesta dell’oro alla Comunità ebraica romana vede i prodromi del peggio e, per salvarli, porta i suoi cari fuori città, in rifugi di fortuna. Il 21 marzo 1944 Giulia rischia l’arresto quando nell’abitazione di fronte vengono catturati i nonni e numerosi zii e cugini, tutti appartenenti al ramo materno, i Di Consiglio. Sette di loro finiranno tre giorni dopo alle Fosse Ardeatine, altri diciannove, tra cui undici bambini, venne ucciso dai nazisti ad Auschwitz. Giulia è stata una delle testimoni chiave nel processo di estradizione di Priebke dall’Argentina. È scomparsa nel dicembre del 2016 all’età di 90 anni.
Roberto Riccardi è nato a Bari nel 1966. Colonnello dell’Arma e giornalista, dirige la rivista Il Carabiniere. Ha esordito per Giuntina con “Sono stato un numero. Alberto Sed racconta” (2009), che ha vinto il Premio Acqui Storia ed è arrivato in finale al Premio dei Ragazzi dell’Adei-Wizo. Con “Legame di sangue” (Mondadori, 2009) si è aggiudicato il Premio Tedeschi, annuale del Giallo Mondadori. Ha pubblicato racconti per il Giallo Mondadori e per Hobby & Work Publishing.
Giulia Spizzichino con Roberto Riccardi, “La farfalla impazzita. Dalle Fosse Ardeatine al Processo Priebke“, Casa Editrice Giuntina, Firenze, 2013.
Pagine Internet su Giulia Spizzichino: Il racconto di Giulia Spizzichino (video) / La morte di Giulia Spizzichino
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