Romeo Rosario

Italia mille anni

Pubblicato il: 17 Novembre 2012

Bene ha fatto la Rubbettino a riproporre quattro scritti di Rosario Romeo, studioso prestigioso ed esponente di una cultura liberale in Italia, anche e soprattutto nel campo accademico, emarginata da quelli che un noto giornalista – oggi purtroppo privo di lucidità –  ha definito “i gendarmi della memoria”. I quattro saggi (“Italia mille anni”, “Idea e coscienza di nazione fino alla Prima guerra mondiale”, Nazione e nazionalismo dopo la Seconda guerra mondiale”, Croce e l’Europa”),  hanno visto la luce grazie alle sollecitazioni di Giovanni Spadolini che nel 1981 era curatore della collana Quaderni di Storia per la editrice Le Monnier e che, con “Italia mille anni. Dall’età feudale all’Italia moderna ed europea” [n.d.r. in realtà dal 476 d.C.], volle proporre ai lettori un “piccolo sommario” di storia patria. E, pur nella voluta sintesi, l’opera di Romeo risultò quindi indispensabile per non rendere banale l’escursus lungo mille anni di storia concentrati in poco più di sessanta pagine.

I giudizi di Romeo in “mille anni”, come giustamente rileva Galasso nella prefazione, si mantengono sulla linea della tradizione storiografica italiana “ma, a mano a mano che si procede verso l’età moderna, il piglio della trattazione diventa più personale e le opinioni dell’autore appaiono più definite e critiche anche rispetto a vecchie e nuove tesi storiografiche”; ad esempio in merito al Concilio di Trento, alla questione della mancata riforma protestante in Italia, all’oscillazione tutta italiana tra nazionalismo e internazionalismo, al ruolo delle minoranze nel Risorgimento. Per il periodo più recente, a partire dal 1946, poi davvero si colgono osservazioni del tutto coerenti con quello che fu il suo impegno politico.

In questo senso non possiamo non ricordare la collaborazione col “Giornale” di Montanelli, anche considerando che le pagine di Romeo, pur destinate ad un pubblico di specialisti, si rivelano di facile lettura, lontane da quel procedere faticoso che caratterizza lo stile di tanti stimati accademici. Peraltro risulta piuttosto interessante cogliere affinità e possibili divergenze col giornalista toscano, cultore di storia che teneva in grandissima considerazione il suo collaboratore. Romeo, ad esempio, in merito alla guerra partigiana scrive di “un’estesa resistenza popolare contro il regime fascista repubblicano e le forze tedesche in Italia”: probabile che l’aggettivo “estesa” non avrebbe trovato d’accordo Montanelli, da sempre anti-antifascista convinto che la Resistenza, quando fu condotta in buona fede e senza l’intento di sostituire regime a regime, risultò semmai una prova di riscatto morale ma non tale da risultare decisiva per la liberazione dell’Italia. Anche la definizione di “regime totalitario” riferita al fascismo italiano risulta piuttosto ortodossa, quanto meno rispetto gli studi successivi di Emilio Gentile sulla dittatura mussoliniana interpretata come “tentativo totalitario” sostanzialmente fallito.

Nel terzo saggio sui nazionalismi invece possiamo cogliere affinità di giudizio con Montanelli in merito al processo di Norimberga e al fallimento degli intenti “educativi” da parte degli Alleati: “Non maggiori i risultati rieducativi dei processi ai dirigenti ed esponenti nazional-socialisti: alle cui sentenze, pur fondate assai spesso su fatti e colpe gravissimi, tolse credito e autorità morale l’esser state pronunciate da tribunali di soli vincitori e senza neppure la partecipazione di neutrali, così da dar loro, agli occhi dell’opinione pubblica tedesca, aspetto più di vendetta che di vera giustizia […] Quelle sentenze non mancarono di sollevare reazioni negative anche tra esponenti illustri dell’antifascismo” (pag. 174). A seguire in Romeo appare lucida e ben motivata l’analisi sul concetto di “colpa collettiva”, e quindi la contrapposizione ideale tra intellettuali di matrice liberale come Meinecke, Ritter e un filosofo come Jasper. Concetto col quale poi i cittadini, i politici e gli intellettuali tedeschi, a prescindere dai dibattiti storiografici, hanno dovuto fare i conti.

Tema ripreso nel saggio su Croce e l’idea di Europa, nel quale si sottolinea ancora come il grande filosofo non fosse affatto persuaso che la rieducazione democratica della Germania potesse “nascere dalla condanna pronunciata dai vincitori” ma riteneva semmai che “la conversione doveva essere opera dei tedeschi stessi e nascere dal loro intimo”. Quindi non solo “Italia mille anni” ma soprattutto Europa nei saggi di Romeo qui raccolti dalla Rubbettino. Un’idea di Europa che Galasso evidenzia totalmente affrancata da velleità nazionalistiche e di cui vedeva un esempio in Benedetto Croce, “uno di quei grandi spiriti che seppero farsi europei nell’animo e nella cultura prima ancora che si avviassero soluzioni politiche che con vario successo sono state tentate dopo il 1945”.

Edizione esaminata e brevi note

Rosario Romeo, (Giarre, 11 ottobre 1924 – Roma, 16 marzo 1987), allievo di Gioacchino Volpe e Nino Valeri, è stato uno storico e politico italiano, esponente del Partito Repubblicano Italiano. Dal 1962 fu docente di Storia moderna all’Università di Roma, prima nella facoltà di Magistero e, successivamente, in quella di Lettere e Filosofia, docente all’Istituto Universitario Europeo, rettore della Luiss di Roma, socio nazionale dell’Accademia dei Lincei. I suoi interessi di studioso sono stati rivolti soprattutto al Risorgimento, all’Italia liberale ed in particolare si concentrarono sull’industrializzazione, lo sviluppo economico e la formazione di una classe dirigente nazionale. Fu anche editorialista de “Il Giornale” diretto da Indro Montanelli e dal 1984 parlamentare europeo.

Rosario Romeo, Italia mille anni, Rubbettino Editorei, Soveria Mannelli 2012, pag. 224

Luca Menichetti. Lankelot, novembre 2012