Kitō Aya

Un litro di lacrime

Pubblicato il: 13 Aprile 2020

Aya Kitō è una ragazzina giapponese che il giorno del suo 14esimo compleanno inizia a scrivere il suo diario personale. È il 1976 e molte adolescenti, proprio come fa Aya, hanno l’abitudine di confidare a un diario personale le loro sensazioni, i loro timori, le loro esperienze quotidiane. Piccole memorie, piccoli episodi quotidiani che, presto, per Aya, inizieranno a tramutarsi nella cronaca di una malattia che non lascia scampo. Ma quando Aya inizia a scrivere il suo diario non sospetta minimamente che, nell’arco di un anno, la sua vita sarà stravolta dalla SCA (Spinocerebellar Ataxia), atassia spinocerebrale. Si tratta di una malattia degenerativa che colpisce le cellule del cervelletto, una malattia rara che, con il tempo, porta chi ne è colpito a non controllare i propri movimenti, a non riuscire a coordinare gli arti per camminare, a non poter mantenere il tono muscolare, a non riuscire più a parlare, a non poter più scrivere, muovere gli occhi e capire.

“Un litro di lacrime” è il diario di Aya Kitō, pubblicato postumo per volere della madre. È uscito in Giappone alla fine degli anni Ottanta e ha rapidamente conquistato una vasta platea di lettori colpiti dal racconto, in prima persona, di una ragazzina di soli 15 anni che si ritrova a dover gestire una malattia che, purtroppo, l’ha condotta alla morte a soli 25 anni. Un libro/diario che, come intuibile, commuove e va a toccare le corde emotive di chiunque riesca a percepire la delicatezza, l’umanità, la fragilità e la paura di una giovane costretta a smontare, pezzo dopo pezzo, la sua esistenza per colpa della SCA. Le parole di Aya sono dirette, semplici, disarmanti. Sono frammenti, sono poesie, sono introspezioni dolorose, sono il racconto di speranze difficili da continuare a nutrire normalmente e di sogni che non potranno trovare facile realizzazione.

La cronaca della malattia inizia quando Aya ha 15 anni. Si accorge di essere dimagrita e capisce che c’è qualcosa che non va: “a circa cento metri da casa le ginocchia hanno improvvisamente ceduto e sono caduta sull’acciottolato della stretta stradina. Ho sbattuto forte, con il mento. Quando me lo sono toccato ho sentito il sangue colarmi sulla mano. Ho raccolto la borsa e l’ombrello da terra e sono tornata a casa“. Una semplice caduta sembra confermare problematiche motorie che Aya conosce già. In educazione fisica, a scuola, va sempre peggio. La madre, un’infermiera, capisce che la postura di sua figlia non è più corretta, che cade senza motivo. La porta in ospedale per fare dei controlli.

Aya piange. Piange spesso, piange chiedendo perennemente scusa ai suoi genitori, ai suoi fratelli, ai suoi insegnanti, alle sue amiche, ai suoi dottori. Ricorrono costantemente, tra queste pagine, espressioni come “mi dispiace”, “scusatemi”, “scusa se ti faccio preoccupare”, “grazie”. I sensi di colpa di Aya, evidentemente, sono profondi e la fanno soffrire. È percepibile una cultura molto “orientale” della riconoscenza e della colpa, Aya si scusa e ringrazia continuamente chi le sta accanto durante il decorso della malattia. Le lacrime, quelle richiamate nel titolo, sono una componente stabile dei suoi racconti e, chiaramente, della sua vita. La quotidianità di Aya viene sconvolta dall’impossibilità evidente di potersi muovere come faceva un tempo. In molti, soprattutto a scuola, sembrano non capire il suo sgomento. “Vorrei proprio che ci scambiassimo i corpi, anche solo per un giorno, così capiresti come si sente una persona che non può fare quel che vuole!“.

Il suo corpo non le risponde più ma Aya continua a sperare che possa tornare a muoversi come prima. La sua mente esprime energia, curiosità, propositi di vita: un amore, un matrimonio, dei figli. Sono desideri legittimi di una ragazza che, piano piano, diventa donna. Una donna malata, sempre più malata. I ricoveri si susseguono, le abitudini di vita assumono un altro assetto, quello che pretende la malattia. Una scuola per disabili, una sedia a rotelle, un’assistente ospedaliera. Il degrado fisico è inarrestabile eppure Aya cerca in ogni modo di farsi forza, di non mollare. “Come vivrò? Ho poche strade di fronte a me, e di certo saranno tutte ripide, ma ho deciso di guardare avanti e non mollare, anche dovessi percorrerle strisciando. Non posso permettermi di esitare“.

Aya ha lottato tenacemente fino alla fine, sostenuta dalla sua famiglia. “Un litro di lacrime”, il diario che ha scritto fino a quando ha potuto tenere in mano una penna, è una lettura che può diventare dolorosa, questo è scontato. Ma preferisco leggere le pagine lasciate da Aya come il resoconto semplice, delicato e dolceamaro di una ragazza che ha provato a non lasciarsi sopraffare da un male molto più grande di lei. Nonostante le lacrime, nonostante la fragilità, nonostante le paure e le sconfitte, Aya ha continuato a battersi per la propria vita fino alla fine. “Priva di conoscenza, Aya ha smesso di respirare. Eppure, anche in quegli istanti, il suo cuore batteva con feroce determinazione“, scrive la madre in postfazione. La feroce determinazione di chi non vuole morire.

Edizione esaminata e brevi note

Aya Kitō è nata nel luglio 1962. Figlia di Shioka, un’infermiera, e suo marito Mizuno, un impiegato. Aya era la maggiore di cinque fratelli. Le è stata diagnosticata la SCA, una malattia degenerativa che colpisce le cellule del cervelletto, quando aveva solo 15 anni, nel 1977. Aya Kitō aveva iniziato a scrivere il suo diario il giorno in cui ha compiuto 14 anni, sulle sue pagine ha raccolto soprattutto le sue esperienze e le sue preoccupazioni legate alla malattia. Il diario è stato pubblicato postumo con il titolo di “Un litro di lacrime” ed ha riscosso immenso successo in Giappone. La salute di Aya, per via della SCA, è peggiorata gradualmente e inesorabilmente fino a costringerla a rimanere confinata a letto, senza poter più muoversi o parlare. Aya è morta il 23 maggio 1988, pochi mesi prima di compiere 26 anni. Il suo corpo è stato donato alla scienza per effettuare ricerche mediche.

Kitō Aya, “Un litro di lacrime“, Milano, Rizzoli, 2019. Traduzione di Caterina Zolea.

Pagine Internet su Kitō Aya: Wikipedia / Proposta di traduzione di “Un litro di lacrime” di Aya Kitō (tesi di laurea di Caterina Zolea)