Ricordate “Una storia italiana”? Era un opuscoletto che poco prima dell’elezioni politiche del 2001 fu distribuito ad ogni famiglia italiana e nel quale si raccontava la stupefacente storia di Silvio Berlusconi, uomo che aveva creato un impero dal nulla; e che soprattutto, sacrificandosi per noi, era sceso in campo per difendere la libertà e per salvarci dai pericoli della malapolitica. Venivano enumerati gli straordinari successi imprenditoriali di un italiano onesto e ricco di valori, a cominciare da quelli della famiglia. Questo nelle pagine di “Una storia italiana”, traducibile anche come “Una favola italiana”. E’ evidente che il grande pubblico, inteso soprattutto come elettorato, ha gradito questa rappresentazione virtuosa del politico senza macchia, oggetto delle cattiverie dei trinariciuti. Ma dobbiamo però anche dare conto di altri racconti e di altri lettori che, invece di gradire l’opuscolo patinato, si sono rivolti ad altre fonti per comprendere i motivi di un tale successo imprenditoriale e poi di questa improvvisa vocazione di statista. Parliamo di libri di inchiesta ormai numerosi, ma pur sempre letti da una minoranza di italiani. Una di queste fonti è “Dossier Berlusconi. Anni settanta” della Kaos edizioni, a cura di Lorenzo Ruggiero. E qui i toni, come leggiamo in premessa, di patinato hanno proprio poco: “Le vicende di cui alla documentazione raccolta in questo libro sono state cancellate dal regime mediatico berlusconiano fattosi politico: la grande stampa, controllata dal potere economico, ha avuto cura di censurare tutto col silenzio; né mai le altre tv, asservite al potere politico, si sono occupate delle faccende documentate in queste pagine. Silenzio connivente anche da parte di una sinistra politica che, a partire dagli anni Ottanta, ha contribuito – in forma sia attiva sia passiva, con baratti e complicità e opportunismi di potere – all’instaurarsi e al consolidarsi del regime mediatico berlusconiano. Per queste ragioni il presente “Dossier” può essere considerato un momento di vera controinformazione” (pag. 8). Magari ci sarebbe da discutere sul termine controinformazione. Forse dovremmo parlare di informazione e riservare alla controinformazione, ovvero alla non-informazione, i racconti virtuosi ed edulcorati che ci propinano i media generalisti.
Comunque la si voglia vedere il “Dossier” raccoglie un’ampia documentazione relativa alle attività di Silvio Berlusconi durante gli anni Settanta, ovvero atti notarili e giudiziari, petizioni popolari, articoli di giornale, brani di libri, interviste, esposti alla magistratura. Insomma un vero e proprio dossier che non ha niente di letterario e che facciamo fatica anche a circoscrivere come esempio di saggistica. Ma nonostante tutto è un libro con una struttura tale da permettere una lettura piuttosto agevole, anche grazie alla suddivisione del materiale in quattro parti. Si parte con l’attività edilizia e con gli scandali che accompagnarono la costruzione di “Milano 2”: “dalla Edilnord dei prestanome [ndr: troviamo, tra le tante, una misteriosa società amministrata da una casalinga mentre il nome del regista occulto degli affari rimane nell’ombra]; si continua con i capitali svizzeri; dal dirottamento dagli aerei in partenza dall’aereoporto di Linate; dalle complicità del sedicente ospedale San Raffaele, alle voci di corruttele. In questa sezione ritroviamo molto del materiale già letto nel “Dossier Don Verzè”, dedicato al noto imprenditore pregiudicato travestito da prete e antico sodale di Silvio Berlusconi [ndr: “L’arte degli speculatori è avere molti complici”]. Non è un caso quindi se Don Verzè, come riporta impietosamente il Dossier, sia stato definito dai giudici come “imprenditore abile e spregiudicato, inserito in ambienti finanziari e politici privi di scrupoli sul piano etico e giuridico e penale” (pag. 149). Così da un articolo di Camilla Cederna, pubblicato il 10 giugno 1977 sull’Espresso, che ben sintetizza le ipotesi di reato alle quali hanno lavorato per anni i magistrati e che al tempo scatenarono l’ira dei residenti della zona: “Il silenzio non ha prezzo, ecco il paradiso del silenzio, era scritto sulla pubblicità di questa residenza per alta e media borghesia. Ma il silenzio da principio non c’era. L’aeroporto di Linate è lì a passo, ogni 90 secondi decollava un aereo, intollerabili le onde sonore, superiori a 100 decibel. Così la Edilnord [ndr: una delle tante società nelle quali Silvio Berlusconi all’inizio non appare e che rimangono appannaggio di prestanome] si muove a Roma, manovrando i ministeri, per ottenere il cambio delle rotte degli aerei. Approfittando della vicinanza di un ospedale, il San Raffaele, diretto da un prete trafficone e sospeso a divinis, don Luigi Maria Verzé, manda ai vari ministeri una piantina in cui la sua “Milano 2” risulta zona ospedaliera e la cartina falsa verrà distribuita ai piloti, così le rotte vengono cambiate spostando l’odioso inquinamento da rumore da “Milano 2” alla sezione nord-est di Segrete che per anni protesterà invano: e il prezzo degli appartamenti viene subito triplicato” (pag. 172).
La sezione successiva è dedicata alle “incredibili modalità di acquisizione dei terreni dei Casati Stampa di Soncino ereditati da Anna Maria Casati, compresa la villa San Martino di Arcore, grazie ai buoni uffici dell’avvocato Cesare Previti, al tempo stesso legale della venditrice e sodale affaristico del compratore. Con l’arrivo e la presenza nella villa, teatro di un tentato sequestro di persona, del mafioso Vittorio Mangano”. Poi ancora “L’affiliazione alla Loggia massonica segreta P2, e le sue attività per la fratellanza politico-affaristica, compreso il finanziamento della scissione del Msi”. Ed infine “La nascita dell’intrico societario Fininvest, fra prestanome, fiduciarie, vertiginosi aumenti di capitale e scatole cinesi. Un intrico societario alimentato da fiumi di denaro di provenienza misteriosa” (pag. 8). Proprio a riguardo inevitabile ripensare a “L’odore dei soldi”, il libro di Travaglio-Veltri che ha tentato di ricostruire le origini delle fortune di Silvio Berlusconi. Un’inchiesta documentatissima, magari pure noiosa, condotta con straordinaria precisione, ma che poi di fronte al quesito “da dove provengono tutti questi soldi” si è dovuta fermare: origini misteriose, mai chiarite dal diretto interessato, proprio come possiamo leggere, tra la documentazione del Dossier, grazie alle consulenze tecniche richieste nell’ambito del processo a carico di Dell’Utri. Anche se poi non esiste la prova della pistola fumante, e tutto rimane nel campo del plausibile, in questo caso diventa scontato ripensare all’ultima intervista a Paolo Borsellino quando il magistrato, pochi giorni prima di essere ucciso, ricordava come la mafia fosse attiva nel riciclare denaro sporco grazie alle complicità di imprenditori del nord. E come fosse necessario partire da lì per sconfiggere Cosa Nostra. Da qui le malignità, i sospetti che negli anni si sono addensati sulla Fininvest e che atteggiamenti come quello dello stesso Berlusconi non hanno certamente contribuito a sdrammatizzare (fonte wikipedia: “riguardo all’origine di alcuni finanziamenti, provenienti da conti svizzeri alla Fininvest negli anni 1975-1978, dalla fondazione all’articolazione in 22 holding Berlusconi, interrogato in sede giudiziaria dal pubblico ministero Antonio Ingroia, si avvalse della facoltà di non rispondere”).
Prima di concludere sul Dossier è però opportuna qualche precisazione. Vogliamo respingere le accuse che spesso ci fanno, ovvero di essere gratuitamente antiberlusconiani e impietosi nei confronti di un uomo che, malgrado tutto, ha contribuito al cosiddetto bipolarismo. In realtà, dossier o non dossier, abbiamo sempre preso atto di quanto ci hanno raccontato in questi anni. Ad esempio: Silvio non sapeva di essere sceso in politica dopo che diverse inchieste avevano messo gli occhi sulle sue aziende; non sapeva che Mangano, il suo stalliere, era mafioso; non sapeva che Previti, il suo avvocato, aveva corrotto Squillante e altri giudici per fargli vincere delle cause civili; non sapeva che la sua maggioranza, di cui era premier, aveva approvato leggi che lo mettevano al riparo da condanne penali; non sapeva che le sue aziende avevano conti occulti in paradisi fiscali e che erano stati sottratti al fisco centinaia di milioni di euro grazie ad un sistema pianificato da anni. Insomma tutto a sua insaputa. La conseguenza è evidente e ne prendiamo atto, senza infierire: Berlusconi non è un delinquente. E’ soltanto molto distratto.
Edizione esaminata e brevi note
“Dossier Berlusconi. Anni settanta” (a cura di Lorenzo Ruggiero), Kaos edizioni, Milano 2009, pag. 460.
Luca Menichetti. Lankelot, settembre 2013
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