Chiunque voglia raccontare, con sguardo attento e onesto, le opere di Antonio Messina per forza di cose sarà costretto a citare il tema del sogno, autentico pezzo forte di tutti i romanzi e racconti fino ad ora pubblicati dallo scrittore di Partanna. Concetto del resto ribadito pochi mesi fa dalla bravissima Marina Monego autrice dell’introduzione ad Azukena: nella narrazione di Messina “la dimensione onirica è ricorrente e riveste un ruolo fondamentale”. Quello che semmai potrà colpire è il “tipo” di sogni presenti in questa nuova opera: una serie di racconti che è vero vivono anche di atmosfere nebbiose e ambigue, ma soprattutto in cui non ci si pone nemmeno il dubbio se lo smarrimento dei protagonisti possa approdare a un che di consolatorio. In questo caso la dimensione onirica spesso fa il paio con l’inganno e soprattutto con una dimensione decisamente distopica. Sostanzialmente un fantasy-filosofico che oscilla tra la necessità di lasciar andare la fantasia a briglia sciolta, anche a costo che molto, moltissimo rimanga incomprensibile, e la necessità di evidenziare l’altra faccia dell’immaginazione; ovvero gli incubi che possono rappresentare il destino di un mondo in rovina, afflitto da inenarrabili ingiustizie perpetrate da alieni travestiti da sacerdoti di un Dio sconosciuto.
Insomma, una chiara dimostrazione che, pur perseverando con il suo consueto stile visionario, stilisticamente quasi “neoclassico”, e consacrandosi come sempre a tematiche legate all’immaginazione onirica, a luoghi meravigliosi e carichi di mistero, Messina è stato in grado di presentarci qualcosa di più cupo, di più catastrofico e nel contempo rimanere fedele al suo istinto di scrittore: testimoniare il destino dell’uomo, i valori della felicità, della bellezza, nonché ricercare le ragioni del male; sempre però attraverso il sogno, il mito, le emozioni, evitando di razionalizzare quello che non può essere razionalizzato. È vero che anche le opere precedenti di Messina raccontavano le pesanti contraddizioni dell’essere umano: lo strazio causato dalla parte malata di ciascuno di noi, lo scontro tra l’autentica natura umana e i danni provocati dalla tecnologia e dalla scienza; ma nel contempo era evidente il tentativo innanzitutto di rappresentare un riscatto, una speranza, emarginando gli strumenti della ragione e così esaltando la forza del sentimento, della fantasia, dell’istinto.
Non è che tutto questo manchi in Azukena (si veda proprio l’ultimo racconto, Katrin); soltanto sembra proprio che Messina si sia votato, coerentemente con quanto accade nel nostro mondo contemporaneo, a rappresentare scenari che qualcuno potrebbe tacciare di catastrofismo ma che a ben vedere, ad esempio di fronte allo stato dell’ambiente, esprimono angosce ben fondate: “Procedemmo sul sentiero fangoso superando alberi scheletrici, muri fatiscenti e ruderi avviluppati dalle ragnatele, in un luogo di mezzo che mutava, si sgretolava e si ricomponeva” (pp.91).
Per non parlare delle sempre più ampie disparità sociali, evocate in racconti come I cristalli di Sur, oppure Azukena, in cui la Terra è vittima di esseri alieni, di adoratori di divinità sanguinarie, tanto malvagi quanto abili nel mentire e così a mandare alla rovina gli umani più fragili e più ingenui: “’Sono qui, scendi con calma, quaggiù avrai tutto il tempo per guarire’. – E la voce di Nilufar mi giunse forte nelle orecchie mentre scendevo nelle catacombe, seguito da vecchi ossuti, giovani e donne dai volti consunti, bambini pallidi e malnutriti. Ebbi solo la forza di urlare, poi il silenzio discese a levigare le lapidi nel grande ossario della Cattedrale di Sur – ‘Nilufar che tu sia maledetta’, gridai mentre Joel sghignazzando, si chiudeva la porta dietro le spalle” (pp.97). Inganni perpetrati da figure femminili – ammesso siano davvero figure femminili – che, proprio in virtù della loro apparente delicatezza e bellezza, contribuiscono a rendere i racconti ancor più disorientanti e ricchi di colpi di scena. Si pensi a Passaggio 13, forse il racconto più fantascientifico della raccolta.
Comunque sia al di là di aver voluto definire questa interessantissima raccolta di racconti come a più alto grado di distopia, non possiamo che ribadire quanto già scritto in merito ad altre opere di Messina: difficile, sostanzialmente inutile sforzarci di chiarire esattamente se si tratti di fantascienza oppure fantasy o chissà che altro. Possiamo limitarci a prendere atto di una virtuosa mescolanza di generi, filtrati dalla sensibilità di uno scrittore sognatore per definizione, che riesce a letteralmente ad ipnotizzare il lettore ambientando le sue storie in un mondo fantastico, collocato fuori del tempo, oltre lo spazio.
Edizione esaminata e brevi note
Antonio Messina, è nato a Partanna (TP). Ha pubblicato “L’Assurdo Respiro delle Cose Tremule” (2003), il fantasy filosofico “La Memoria dell’Acqua”, nuova edizione (Il Foglio 2010), “Le Vele di Astrabat”, nuova edizione (Il Foglio 2010), la silloge “Dissolvenze” (Il Foglio 2008), il fantasy ambientato nel mondo dei videogiochi “Ofelia e la Luna di Paglia” (Il Foglio 2009), il romanzo di fantascienza “Nebular” (Il Foglio 2011), la silloge “Mitologie Domestiche dell’Anima” (Il Foglio 2013), e il romanzo di fantascienza “Accenni D’autunno” (Il Foglio 2014). Alcune sue liriche sono state pubblicate in antologie poetiche. È autore anche di “Laura e il treno per Elinur e altri racconti”. Vive a Padova.
Antonio Messina, “Azukena”, Associazione Culturale Il Foglio, (collana “Narrativa”), Piombino 2020, pp. 160. Prefazione di Marina Monego.
Antonio Messina in Lankenauta.
Luca Menichetti. Lankenauta, aprile 2020
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