Chi già conosceva Vanni Santoni per “Personaggi precari” e poi per “Gli interessi in comune” è probabile si sia stupito nel leggere, almeno come ce la racconta la Mondadori, del suo “esordio nel fantasy”, quale primo capitolo di una “trilogia”. Quanto balza subito agli occhi, in linea con le strategie di marketing della casa di Segrate, è stato però in qualche modo ridimensionato e precisato dallo stesso autore in una lunga e recente intervista; oltretutto con un piglio che, pur rivendicando l’intento di raggiungere un pubblico di lettori più vasto possibile, di certo ha poco o nulla a che vedere con gli interpreti del mainstream contemporaneo. Già la scelta di firmarsi, almeno nella sua produzione fantastica, come Vanni Santoni HG (dal morselliano “Dissipatio Humani Generis”) dice molto. L’idea di fondo, ovvero di recuperare una tradizione italiana di “genere” e nel contempo proporre una narrazione che sappia coniugare appunto il “genere” e richiami alla letteratura più alta, spiega anche perché Santoni preferisca parlare di “fantastico” e non tanto di “fantasy”. Non credo soltanto perché il nostro autore conosca bene la lezione di Todorov. Pensiamo al mercato editoriale, dove in questi anni la parola “fantasy” è stata fin troppo inflazionata, e poi, specularmente, a quello che è accaduto dalle parti del giallo o poliziesco, dove, volendo nobilitare una produzione interpretabile come troppo popolare e legata ad un consumo poco consapevole, allora tutto è diventato “noir”; come se una parola straniera, per lo più associata ad una letteratura del disordine e naturalmente portata ad indagare le pulsioni più oscure della mente, potesse in qualche modo allontanare il sospetto di aver a che fare con pagine culturalmente disdicevoli. Non è quindi un caso se Santoni, tra i tanti richiami colti, abbia voluto fare riferimento alla tradizione italiana del fantastico, oggi messa all’angolo dalla presenza di improbabili imitatori tolkeniani, spesso adolescenti acerbi che hanno ancora tanto da imparare. Non so se l’intervista a Santoni possa aver in qualche modo condizionato la successiva lettura e la percezione del suo “Terra ignota” – lo capiremo meglio con i prossimi capitoli della saga – però effettivamente emerge l’idea che, nel romanzo dell’autore toscano, l’opera di Tolkien possa aver rappresentato soltanto uno dei tanti elementi d’ispirazione e neppure quello preponderante. Da questo punto di vista si coglie una distanza rispetto a recenti romanzi di area anglosassone (lì il termine fantasy ci sta tutto) costruiti partendo da un’evidente cosmogonia di mondo alternativo e dove crudeltà, sangue, sesso si pongono esplicitamente in polemica con la tradizione tolkeniana; ma che comunque da lì prendono spunto, alla fin fine limitando il loro orizzonte culturale al periodo di nascita del genere fantasy “così denominato non prima degli anni trenta del Ventesimo secolo, che è figlio dell’epica unita alla fiaba” (Franco Ressa).
Un fantastico quello di “Terra ignota” che, proprio grazie a questi numerosi richiami alla letteratura alta e a quella più di consumo, ha mescolato azione, epica cavalleresca, elemento magico, mito, senza negarsi gli archetipi più classici. Protagonista del romanzo è la giovanissima e straordinariamente forte Ailis, aspirante guerriera del Villaggio Alto e ben intenzionata ad arruolarsi con l’amico Breu. Intento vano perché l’aggressione di alcuni guerrieri, che poco dopo devasteranno il suo villaggio, uccideranno tutti e rapiranno l’amica Vevisa, le cambieranno prospettiva: priorità adesso è ritrovare l’amica e vendicarsi del misterioso Aydric Reinhare. Il prologo ci lascia capire come in realtà l’origine della ragazza sia legata proprio a quei guerrieri denominati del Cerchio d’Acciaio; e quindi destinata ad incontrare gravi pericoli prima di placare la sua sete di vendetta. Tutto in un viaggio iniziatico, costellato di numerosi morti ed elementi magici che via via si faranno sempre più presenti, che prima vedrà Ailis schiava, poi gladiatrice ed ancora in fuga per raggiungere l’odiato Aydric Reinhare. Quello che la critica potrebbe definire l’archetipo del viaggio, fino ad individuarne un bildunsgroman, in “Terra ignota” appare del tutto evidente: è appunto il racconto di un viaggio, secondo una consolidata tradizione, ma che contiene molti altri elementi tipici del genere, seppur interpretati, come anticipato, in maniera già più colta e quindi più “italiana” rispetto ad altre opere fantasy recenti: pensiamo all’ambientazione che ricorda l’Alto Medioevo, l’elemento della spada, della foresta, la presenza del mago o comunque di personaggi in grado di maneggiare le forze occulte. A parte la denominazione di Terre Occidentali, almeno in questa prima parte – ne sapremo di più leggendo i successivi volumi del romanzo – non sembra che Santoni abbia voluto spendersi troppo nel descrivere la geografia di un mondo parallelo alla stregua di quanto accade per un George RR.Martin. Anzi il richiamo alle cosiddette Terre Franche fa pensare invece ad un qualche riferimento storico, senza per questo dover concordare in toto con quanto scritto ancora da Ressa, soprattutto alla luce della parte più magica e fiabesca di “Terra ignota”, in merito alla “tendenza generale del letterato italiano di ogni epoca a non abbandonarsi alla pura fantasia, come talvolta riesce ai letterati anglosassoni, ma ad appoggiare la propria inventiva a qualcosa di reale, sia attuale che storico”. Peraltro proprio questa esplicita volontà di inserire nel romanzo elementi colti e comunque oggetto di un consolidato interesse da parte dell’autore, tipo l’esoterismo, confermano come Santoni abbia voluto fare riferimento ad elementi reali e non semplicemente alla sua fantasia lanciata a briglia sciolta. Penso all’alfabeto runico ed alla sua componente misterica che rappresenta la parte illustrativa di “Terra ignota”, a differenza di altri romanzi fantasy che sono dotati della cartina geografica del mondo parallelo.
In quanto allo stile Santoni ci ha proposto un romanzo dove la scrittura, essenziale e priva di gratuiti sperimentalismi e banalità, scorre via senza alcuna fatica e senza indulgere in particolari provocazioni ed esagerazioni anche quando si è trattato di descrivere momenti di violenza e sangue: un approccio corretto alla pagina scritta e quindi indispensabile premessa per non far perdere interesse alla vicenda fantastica e per meglio delineare le personalità dei protagonisti. Il fatto che al termine di “Terra ignota. Risveglio” poi ci si chieda quando sarà pubblicata la seconda parte del romanzo, ben intenzionati a capire che fine farà Ailis, rappresenta un buon segno
Edizione esaminata e brevi note
Vanni Santoni è nato a Montevarchi nel 1978. È scrittore e giornalista. Laureato in scienze politiche, comincia a scrivere nel 2004, sulle pagine della rivista Mostro; nel 2005 vince il concorso Fuoriclasse della casa editrice Vallecchi con il testo Vasilij e la morte. Ha pubblicato, tra gli altri, i romanzi Personaggi precari (2006), Gli interessi in comune (Feltrinelli 2008), Se fossi fuoco arderei Firenze (Laterza 2011) e, da coordinatore, In territorio nemico (minimum fax 2013).
Vanni Santoni HG,“Terra ignota. Risveglio”, Mondadori (collana Chrysalide), Milano 2013, pag. 420.
Luca Menichetti. Lankelot, ottobre 2013.
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