In un periodo della storia italiana nel quale la politica ha davvero toccato il fondo, malgrado le speranze di tanti riposte nell’ennesimo salvatore della patria, e nel quale si fa sempre più fatica a capire cosa siano diventate la destra e la sinistra, nonostante tutto alcuni miti ancora resistono. Uno di questi è Enrico Berlinguer, che pure dopo la morte è stato rinnegato da molti dei suoi ex compagni di partito. In merito sono stati scritti diversi libri, alcuni anche ben motivati, e non ci sono state soltanto le affermazioni estemporanee del Fassino di turno, tanto per dire. Bisogna considerare che al momento della morte, nel 1984, Berlinguer era ancora il segretario del partito comunista italiano, ancor prima che in Urss qualcuno parlasse di perestrojka e di glasnost’; e appare quindi inevitabile che molti degli ex facciano a gara per rinnegare il proprio passato, tanto più quando ci si sforza di interpretare il riformismo come affarismo e quando, pur di spartirsi il potere con la peggiore destra europea, si fa di tutto per dipingere Bettino Craxi, condannato per corruzione, quale fulgido esempio di cosa deve fare una sinistra moderna, efficiente e poco ideologica: dimenticarsi del codice penale (oppure cambiarlo se dà fastidio ai manovratori). Ne consegue che un giudizio politico onesto su Berlinguer, comunista a tutti gli effetti, ma che – lo ammettono anche i suoi avversari – tentava in qualche modo, e con molte contraddizioni, di emanciparsi dall’abbraccio imbarazzante della chiesa sovietica, non potrà che considerare il contesto internazionale, il contesto italiano del dopoguerra e molte altre variabili. Quello che semmai risulta più difficile, anche per gli anticomunisti mai pentiti come il sottoscritto, è contestare l’Enrico Berlinguer uomo. Questo è forse il vero motivo per cui resiste il suo mito, al di là delle nostalgie per il fu partito comunista e della sua presunta diversità. Polemiche che vengano condotte in merito a passate scelte ideologiche e ai loro esiti ci stanno tutte; fin tanto che queste non diventino pretesto per rivalutare pregiudicati e per giustificare le proprie marachelle. Ma sappiamo che di questi tempi anche la famosa intervista rilasciata da Berlinguer a Scalfari sui partiti e questione morale può essere tacciata di moralismo; e questo ci fa capire sia come siamo messi ed anche, quale reazione ad un partitocrazia fatta di guitti e fanfaroni, perché resista il ricordo positivo del comunista Enrico Berlinguer, considerato anche dagli avversari più irriducibili una persona comunque ammirevole per la sua integrità morale e sobrietà di comportamenti.
In questo senso possiamo leggere le parole di Emiliano Sbaraglia, autore di “Ideario Berlinguer”: “Quella che in questo momento avete tra le vostre mani non è infatti una biografia, né uno studio storico-politico sulla figura di Enrico Berlinguer. L’intenzione, ora come allora, è invece di offrire un resoconto della vita e del percorso politico di un uomo, attraverso una formula che risulti agile alla lettura e alla consultazione, è che abbia come destinatario ideale un lettore pressoché digiuno della vicenda privata e pubblica del segretario del Partito comunista italiano” (pag.14).
Ed ancora:“In questo libro non c’è nostalgia perché è scritto da un giovane. C’è invece una totale identificazione, non la storia del Pci, ma con la vicenda umana e politica di Berlinguer, quasi scorporato da quella storia. E’ un segnale significativo perché mette in evidenza l’impronta non soltanto politica, ma morale che ha lasciato, anche nelle nuove generazioni – forse più in queste – lo scomparso leader comunista” (pag.20). L’ammirazione dell’autore per l’ex segretario del Pci nasce anche per motivi familiari (il padre ormai malato terminale gli fece scoprire in casa una sorta di archivio tutto dedicato a Berlinguer), si coglie perfettamente in ogni pagina del libro, ma alla fin fine la scelta più azzeccata, che potrà evitare a Sbaraglia l’accusa di aver scritto un semplice panegirico, è stata quella di riportare, dalla A di austerità alla Z di duemila/Zeroquattro/quattordici passando per la T di terza via, le parole stesse di Berlinguer, tratte da discorsi, interviste, dibattiti. Quel tanto da permettere al lettore di farsi un’idea, nel bene e nel male. La parte del libro più propriamente biografica, legata per lo più agli aspetti privati piuttosto che a quelli pubblici, si interrompe con la nomina a vice-segretario del partito il 12 febbraio 1969. Uno scritto che svela quindi un Berlinguer inedito sotto diversi punti di vista. Il tutto raccontato con precisione, probabilmente anche grazie al materiale raccolto dal padre di Sbaraglia; salvo dover rilevare un piccolo refuso a pagina 33: “Antonio Segni, ricordato soprattutto per essere stato promotore agli inizi degli anni novanta del referendum a favore dell’introduzione del maggioritario nel nostro paese” è chiaramente Mario Segni, figlio proprio quell’Antonio tra l’altro già citato come quarto presidente della Repubblica.
Poi la parola passa direttamente a Berlinguer. Quanto siano stati lunghi e complicati i tempi del distacco dal partito madre dell’Urss, peraltro mai avvenuto in maniera definitiva, ad esempio lo possiamo leggere grazie alle stesse parole del segretario comunista che, capo di una sorta di chiesa alle prese con la revisione di dogmi, da un lato doveva fronteggiare, con grande prudenza, l’ala ancora filosovietica e dall’altro quella ormai socialdemocratica: “Ci rifiutiamo di considerare l’Unione Sovietica solo per i gulag e gli ospedali psichiatrici […] Quel che non va nell’Unione Sovietica è un regime politico che non garantisce il pieno esercizio delle libertà, il che non è cosa da poco, anzi è la più grave, ed è ciò che ci spinge a cercare una via del socialismo diversa da quella […] Nel blocco sovietico non ci lasciano fare il socialismo come noi lo vogliamo” (pag.103).
Il libro di Sbaraglia lascia spazio a due interventi, il primo di Emanuele Macaluso in prefazione, il secondo di Luciana Castellina nell’intervista in chiusura, che rappresentano bene le diverse anime politiche, interne ed esterne al Pci, che al tempo Berlinguer ha dovuto fronteggiare e far convivere. Evidentemente molto ancora rimane dell’eredità politica dell’ex segretario del Pci se ancora, alla luce della crisi contemporanea, una Castellina rimpiange il tentativo della cosiddetta “terza via”, ovvero il rifiuto sia del dispotismo sovietico sia della scelta socialdemocratica. Insomma il rimpianto proprio di una prospettiva che molti di noi considerano tra gli elementi meno attuali, più legati al tempo della guerra fredda e meno comprensibili della politica di un Pci che si barcamenava tra Urss e occidente. Panegirici a parte proprio queste diverse interpretazioni della politica berlingueriana da parte di ex esponenti del partito (mettiamoci dentro anche la Castellina che pure fu espulsa e continuò la sua militanza altrove) ci fanno capire come del più amato segretario del Pci e delle sue scelte si parlerà ancora a lungo, e non soltanto per la cosiddetta questione morale.
Edizione esaminata e brevi note
Emiliano Sbaraglia (Frascati, 1971) è responsabile delle trasmissioni culturali di RadioArticolo1 e di UndeRadio, l’emittente-web di Save the Children Italia dedicata al mondo della scuola. Tra i suoi scritti “Cento domande a Piero Gobetti” (2003), “Incontrando Berlinguer” (2004), “I sogni e gli spari. Il ’77 di chi non c’era”(2007), “La scuola siamo noi” (2009), “Il bambino della spiaggia” (2010). Collabora con l’Unità e Italiani quotidiano. Partecipa al progetto e associazione “Piccoli maestri”.
Emiliano Sbaraglia, “Ideario Berlinguer. Passioni e parole di un leader scomodo”, Nova Delphi Libri (collana Passatoprossimo), Roma 2014, pag.192
Luca Menichetti. Lankelot, giugno 2014
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