Tituba è esistita davvero. Così come sono esistite le streghe di Salem. Maryse Condé, scrittrice antillana di lingua francese, ha saputo recuperare le vicende dell’una e delle altre tramutandole in un romanzo: “Io, Tituba strega nera di Salem”. La storia vera dice che nel 1692, a Salem, un piccolo villaggio attualmente ricompreso nella cittadina di Danvers, in Massachusetts, all’interno della rigida e intransigente comunità puritana, si è svolto uno dei più famosi e terribili processi per stregoneria della storia. Furono coinvolte circa 200 persone e, alla fine, dopo una serie di interrogatori, torture, confessioni e stravaganti ammissioni, vennero giustiziate 19 persone, per lo più donne. A quanto pare tutto ebbe inizio pochi mesi prima quando due bambine di 9 e 11 anni, rispettivamente figlia a nipote del Reverendo Parris, accusarono la schiava di famiglia di aver compiuto contro di loro dei sortilegi, di averle incantate con malefici e strane fatture. La schiava di famiglia era Tituba.
“Io, Tituba”: le prime parole del titolo sottintendono fin da subito quale sarà la voce principale che darà vita alla storia. La voce è quella di Tituba. È a lei che Maryse Condé ha affidato la narrazione delle tristi vicende delle streghe di Salem e, in generale, della sua vita. Le vere origini di Tituba non sono chiare. Di lei sono rimasti solo i documenti legati agli interrogatori a cui fu sottoposta nel 1692, i suoi racconti coinvolsero decine di persone che si accusarono a vicenda pur di non essere riconosciute colpevoli di stregoneria. “Cos’è una strega?” si chiede spesso Tituba nel corso del romanzo. Nella visione della scrittrice antillana, Tituba è figlia di Abena una schiava impiccata e di un inglese che la violentò durante il viaggio che dalle coste d’Africa l’avrebbe condotta fino alle Barbados. “Mia madre pianse perché non ero un bambino. Le sembrava che la sorte delle donne fosse ancor più dolorosa di quella degli uomini. Per affrancarsi dalla propria condizione, non dovevano forse essere acquiescenti ai voleri di quegli stessi uomini che le tenevano in schiavitù e giacere nei loro letti?“.
Dopo la morte di sua madre, Tituba è allevata dalla vecchia Man Yaya. È lei che le insegna quel che ogni persona dovrebbe sapere: “I morti muoiono solo se muoiono nei nostri cuori. Vivono se li amiamo teneramente, se onoriamo la loro memoria, se posiamo sulle loro tombe le pietanze che preferivano da vivi, se a intervalli regolari ci raccogliamo per ricordarci insieme di loro. Sono dappertutto intorno a noi, avidi di attenzione e di affetto. Poche parole sono sufficienti a risollevarli e a far sì che premano i loro corpi invisibili contro i nostri, impazienti di rendersi utili. Ma guai a chi li irrita. Non perdonano mai e perseguitano con odio implacabile quelli che, anche inavvertitamente, li hanno offesi“. Tituba impara le preghiere, le invocazioni, i riti e i sacrifici di latte e sangue da offrire a chi, dall’aldilà, vede e protegge. Cresce così Tituba, apprendendo i segreti delle erbe e i misteri degli animali. Man Yaya muore perché vecchia e stanca lasciando a Tituba il potere di parlare coi morti e, nel caso, di maledire i vivi.
Tituba, bella e giovane, si innamora di uno schiavo allegro e sfacciato che si chiama John Indian. A nulla valgono i consigli dello spirito di Abena, sua madre, e di Man Yaya, la sua maestra: lei desidera quell’uomo a ogni costo e preferisce sorvolare sulle minacce e i pericoli che i fantasmi le predicono. Il destino, che i morti conoscono, si compirà come previsto. “Gli uomini non amano. Possiedono. Rendono schiave”. Schiava come tante, Tituba. Sottratta alla sua terra insieme al suo uomo per scelta di un nuovo padrone, il Reverendo Parris, che li conduce in America, in una terra oltre il mare dalla quale è quasi impossibile richiamare gli spiriti di chi non c’è più. Tituba ha un nuovo mondo da imparare e nuove sottomissioni da patire. I puritani vedono il maligno ovunque: nei loro corpi, nelle loro lingue, nei loro occhi, nei loro sogni. Tituba non capisce un Dio così vendicativo e fatica a prendere la forma che i bianchi ritengono che lei debba avere. John Indian è più bravo, lei non sa piegarsi come dovrebbe.
Maryse Condé scava e ricostruisce le mutilazioni di una coscienza, quelle di una donna che, nell’ultima parte del Seicento, è costretta a patire condizioni di sottomissione plurima: è donna, è nera, è schiava, è strega. Il solo essere ciò che è rappresenta una punizione implacabile. La voce di Tituba è intrisa del dolore lacerante di chi è condannato senza diritto di replica, di chi viene sopraffatto senza margine di difesa, di chi è piegato dalla sua stessa esistenza. Il mondo magico di Tituba, gli spiriti che la circondano, il bene che tenta di fare in totale buona fede sembrano legarla al mondo delle fiabe ma si tratta di istanti, poiché in breve tutto è destinato a sfumare o lacerarsi in qualche modo. La Condé ha costruito un romanzo intenso, una storia che ripercorre la Storia ma la imbeve di coraggiosa invenzione. “Io, Tituba strega nera di Salem” porta con sé pensieri pesanti, al suo interno l’autrice ha saputo condensare il tema dello schiavismo, della condizione femminile, degli orrori compiuti in nome di Dio, della ricerca della libertà, della profondità dei legami di sangue. Non è affatto semplice, ma Maryse Condé è riuscita a farlo con intelligenza, trasporto e grazie all’inestimabile talento di chi sa scrivere.
Edizione esaminata e brevi note
Maryse Condé (vero nome Marise Liliane Appoline) è nata nel 1937 a Pointe-à-Pitre nella Guadalupa. Si è laureata alla Sorbona e ha lavorato in vari paesi africani. Trasferitasi negli Stati Uniti per oltre vent’anni, ha insegnato a Berkeley, Harvard e alla Columbia University. Oggi vive in Francia e ha pubblicato una ventina di romanzi, tra i quali ricordiamo “Vita perfida” (Edizioni E/O), “Segù: Le muraglie di terra” e “La terra in briciole” (Edizioni Lavoro). Per Giunti uscirà anche “La traversata della mangrovia”. Nel 2018 è stata insignita del New Academy Prize in Literature, il Premio Nobel alternativo assegnato in assenza del premio tradizionale.
Maryse Condé, “Io, Tituba strega nera di Salem“, Giunti Editore, Firenze, 2019. Traduzione di Maria Adelaide Mori. Titolo originale “Moi, Tituba, sorcière… Noire de Salem” (1986).
Pagine Internet su Maryse Condé: Wikipedia / Open Library / Treccani
Pagine Internet sulle streghe di Salem: Tituba / Wikipedia / Sapere.it
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