Tuti Ilaria

Fiore di roccia

Pubblicato il: 5 Luglio 2020

Un romanzo dedicato alle portatrici carniche, questo è “Fiore di roccia”, ultima fatica della scrittrice friulana Ilaria Tuti. Le portatrici carniche sono donne che, probabilmente, la storia ha archiviato e dimenticato estremamente in fretta. Forse perché solo donne, forse perché solo contadine, forse perché la Storia la scrivono certi uomini e il loro sguardo, purtroppo, sorvola fin troppo superficialmente sulle figure femminili. “Fiore di roccia” recupera la vera storia di alcune di loro, la elabora, la reinventa e le restituisce dignità, onore e attenzione. Le portatrici carniche ebbero un ruolo determinante durante la Prima Guerra Mondiale. Alle loro gerle, alle loro spalle, alle loro fatiche e alle loro mani fu affidato per alcuni anni il compito di trasportare sulle cime alpine del Friuli i rifornimenti per gli Alpini dislocati lungo la linea del fronte: munizioni, medicinali, vestiti, cibo, pezzi d’artiglieria, lettere. Erano donne di montagna, capaci di sostenere lunghe camminate tra gli impervi e pericolosi sentieri alpini. Il sostentamento di molti soldati dipese da loro e da nessun altro.

Agata Primus, voce narrante protagonista di “Fiore di roccia”, è ingaggiata assieme ad altre donne del villaggio di Timau. “Il Comando Logistico e quello del Genio chiedono il nostro aiuto. Servono spalle, per assicurare i collegamenti con i depositi del fondovalle” spiega loro un ufficiale. Tra quelle vette non ci sono rotabili, non ci sono mulattiere e i giovani soldati dislocati in trincea sono allo stremo. “Sa che cosa ci sta chiedendo. Sa che cosa significa salire questi pendii impietosi, per ore, e farlo con le granate che tuonano come l’ira di Dio sopra le teste. Accanto a lui, l’ufficiale ci fronteggia senza mai incontrare con lo sguardo i nostri volti. Dovrebbe farlo. Si renderebbe conto di ciò che gli sta davanti. Lupe stanche, cuccioli affamati. Si renderebbe conto del branco morente che siamo“.

Agata, Viola, Lucia, Maria, Caterina. Sono loro le portatrici carniche del romanzo della Tuti che saliranno in montagna con gerle piene di quel che i militari chiedono loro di consegnare. Anche munizioni, anche esplosivi. Un compito difficile, pericoloso e delicato ma queste donne non si tirano indietro. “Conosciamo queste montagne più di chiunque altro, mi sta dicendo nel suo silenzio, le abbiamo salite e scese tante volte. Sapremo proteggerci, se necessario. Del resto sono consapevole: se non rispondiamo noi donne a questo grido d’aiuto, non lo farà nessun altro. Non c’è nessun altro“. Infatti iniziano a camminare avanti e indietro dal villaggio alle cime e dalle cime al villaggio. Agata conosce il capitano degli Alpini che guida le operazioni, conosce il medico di campo e tutti, fin da subito, imparano che quella giovane di Timau con lo sguardo vivido e di poche parole possiede lo spirito di una combattente nata.

La guerra, che pure tutti hanno imparato a conoscere per colpa della fame, degli stenti, dei cecchini, dei giovani morti, si fa più cruda e vera di prima. Le portatrici sono costrette a trascinare giù dalle montagne anche i corpi dei ragazzi morti in combattimento. Agata si fa sempre più consapevole di quanto possa essere devastante e cieca una guerra che nessuno ha mai chiesto. La guerra è un atto assurdo e feroce, quei ragazzi non dovrebbero morire dilaniati per difendere un confine che si vede solo sulle carte. “Spezzate i fucili, tornate alle vostre case. Che le lame servano per dissodare la terra e le mani degli uomini accarezzino le guance di bambini e di donne innamorate, così stanche di reggere sulle proprie spalle il peso di un conflitto“. Agata imparerà che quel che divide un amico italiano da un nemico austriaco è un velo sottile e trasparente, un diaframma attraverso il quale passa sangue dello stesso colore, fiato dello stesso spessore, anima dello stesso valore.

C’è molta grazia nella scrittura della Tuti, c’è un lirismo che, nonostante la durezza e la brutalità di quel che viene narrato, riesce a donare a questo romanzo una pacatezza raffinatissima e una delicata profondità di sguardo. Agata ci porta fin nel profondo delle sue percezioni, ben oltre le poche parole che è abituata a pronunciare. È una ragazza schiva e attentissima, generosa e piena di coraggio. Lo capiranno presto anche quegli ufficiali coi quali non teme di confrontarsi, ristabilendo un equilibrio di genere che, durante la Grande Guerra, probabilmente non poteva esistere. E, alla fine, si parla persino di “emancipazione”. Una parola che Maria non conosce. “Che le donne sono diventate più indipendenti, hanno potuto fare cose che prima non facevano. Molte hanno dovuto prendere il posto degli uomini nelle fabbriche, nei negozi e anche negli uffici. Sono caduti i pregiudizi secondo cui non ne erano capaci o non avrebbero dovuto” le spiega Agata. Maria però non sembra convinta: “Noi lo abbiamo sempre fatto il lavoro degli uomini, da quando emigravano a ora che sono al fronte“. Infatti: certe donne sono sempre state emancipate anche se molti non se ne sono nemmeno accorti.

Edizione esaminata e brevi note

Ilaria Tuti vive a Gemona del Friuli, in provincia di Udine, città in cui è nata nel 1976. È laureata in Economia e Commercio. Appassionata di pittura, nel tempo libero ha fatto l’illustratrice per una piccola casa editrice. Nel 2014 ha vinto il Premio Gran Giallo Città di Cattolica. Il thriller “Fiori sopra l’inferno”, edito da Longanesi nel 2018, è il suo libro d’esordio. Il secondo romanzo, “Ninfa dormiente”, è del 2019. Entrambi vedono come protagonisti il commissario Teresa Battaglia, uno straordinario personaggio che ha conquistato editori e lettori in tutto il mondo, e soprattutto la terra natia dell’autrice, la sua storia, i suoi misteri. Con “Fiore di roccia”, e attraverso la voce di Agata Primus, Ilaria Tuti celebra un vero e proprio atto d’amore per le sue montagne.

Ilaria Tuti, “Fiore di roccia“, Longanesi, Milano, 2020.

Pagine Internet su Ilaria Tuti: Wikipedia / Facebook / Presentazione “Fiore di Roccia” (video)