Tarantino Giovanni

Da Giovane Europa ai Campi Hobbit. 1966-1986 Vent’anni di esperienze movimentiste al di là della destra e della sinistra

Pubblicato il: 4 Ottobre 2011

Eravamo dei radicali, nel senso etimologico del termine. Ci consideravamo apocalittici che si rifiutavano sistematicamente di farsi integrare in qualunque ordine. In noi pesavano molto il kulturpessimismus di Evola e Spengler, ma anche le teorie di George Sorel. Sindacalisti rivoluzionari da una parte, mistici cristiani dall’altra eravamo cattoanarchici di destra con visioni etico-sociali di estrema sinistra”. (p.60)

Questa testimonianza di un allora giovane Franco Cardini, oggi stimato – ma sempre orgogliosamente “non integrato” – storico medievalista, convinto sostenitore del dialogo tra mondo cattolico e mondo islamico, tra Oriente e Occidente, era “una sorta di weltaschauung condivisa” di un movimento che fu molto attivo negli anni Sessanta, in Italia e in Europa, ma che difficilmente troverete sui libri di storia. Proprio a partire dalla genesi del movimento, dai progetti e dagli uomini che animarono Giovane Europa il nemmeno trentenne giornalista Giovanni Tarantino, già attento indagatore dei movimenti e delle dinamiche giovanili, inquadra storicamente e cerca di portare alla luce, attraverso testimonianze, aneddoti e riflessioni, un mondo ai più del tutto sconosciuto, considerato dalla gran parte  della stessa destra politico-istituzionale abbastanza marginale all’interno del variegato e controverso universo postfascista. Con viva curiosità e senza alcun pregiudizio, Tarantino, da giovane studente pacifista si interrogò, ai tempi dell’intervento militare in Kossovo, su certe “improbabili” vicinanze tra persone provenienti da destra e partiti come i Verdi o Rifondazione. Questo lo portò ad approfondire il mondo della galassia neo e post fascista, attraverso fatti e personaggi, autori e suggestioni che hanno dato corpo a Da Giovane Europa ai Campi Hobbit, immaginando un filo rosso che unisca idealmente le esperienze di Giovane Europa e Nuova Destra, culminate con l’abbandono da parte di tanti giovani di destra, sia a livello ideologico che antropologico, di quel nostalgismo e di quella sindrome del ghetto che erano state pesanti zavorre per più di una generazione di ragazzi che guardavano oltre l’orizzonte ingessato di Yalta, oltre le paure e i dogmatismi ideologici provocati dagli equilibri politici sottoscritti al termine della Seconda Guerra Mondiale. La così detta “Terza via”, mito affascinante ma di difficile realizzazione nel mondo dominato dai due blocchi, fu l’orizzonte cui tese Jean Thiriart, fondatore e ideologo di Giovane Europa: “Noi rifiutiamo l’Europa legale. Noi condanniamo l’Europa di Strasburgo per crimine di tradimento”. Le paure di Thiriart sono state abbastanza profetiche, a guardare l’attuale panorama politico-econimico europeo; l’idea di Europa Nazione, altro mito inossidabile della destra post fascista, era il pilastro concettuale su cui edificarono i principi cardine di Giovane Europa. Ancora Thiriart: “O vi sarà una nazione, o non vi sarà indipendenza. A questa Europa legale che rifiutiamo, noi opponiamo l’Europa legittima, l’Europa dei popoli, la nostra Europa. Noi siamo la Nazione Europea”.

Parole che ci riportano alla “nostra” giovinezza militante con un senso di vaga nostalgia, visti gli anni in cui viviamo. E scusate se faccio una breve ricognizione personale, nemmeno troppo datata (inizio anni Novanta), come ex militante del Fronte della Gioventù, allora organizzazione giovanile missina. Chi non ricorda il motto “Europa Nazione”, le ballate d’area che supportarono e diffusero tra i giovani l’idea, le bandiere a sfondo rosso con le Croci Celtiche nere che sventolavano, orgogliose, alle manifestazioni. Lo spirito comunitario, rafforzato nei tanti piccoli Campi Hobbit che seguirono i tre che hanno valore storico e letterario, raccontati nel dettaglio da Marco Tarchi (La Rivoluzione Impossibile) e ampiamente rievocati anche da Tarantino nel suo bel libro. Sì, davvero un bel libro quello di Tarantino, perché sceglie di tracciare un percorso non scindendo mai le idee dai fatti, evitando qualsiasi approccio ideologico e fornendo in sostanza al lettore la possibilità di addentrarsi e di indagare un mondo occultato disgraziatamente da tanta destra istituzionale ma fatto vivere spesso a livello letterario e metapolitico; l’ultimo in grado di insinuare nei giovani di destra quel senso identitario che il berlusconismo ha seppellito insieme a idee, generali e colonnelli, Gianfranco Fini compreso: Fini per primo, nonostante Futuro e Libertà. Si evince, in effetti, scorrendo l’opera del giornalista palermitano, che i tanti nomi che hanno animato questi venti anni di esperienze movimentiste, da Cardini a Tarchi, da Croppi a Lanna, che Tarantino inquadra tra il 1966 e il 1986, sono tutti (o quasi) finiti lontano da Berlusconi, soprattutto dopo aver accolto, più o meno entusiasticamente, il suo abbraccio (è il caso di Flavia Perina e di alcuni “futuristi”, vissuti malvolentieri nel PDL) fino a diventarne i nemici più strenui. Tarantino segue il filo rosso dei grandi movimenti, quello del 68’ e del 77’, analizzando integrazioni e contributi del mondo post fascista, confluito prima in Giovane Europa e poi in Nuova Destra, ma non soltanto, perché la galassia si costituì di un’infinità di movimenti, tutti orientati non soltanto a seguire l’onda di un cambiamento epocale ma a indirizzarlo secondo i valori di Jean Thiriart prima e di autori come Alain de Benoist poi, recependo peraltro le urgenze ambientaliste ed ecologiste e sviluppando una visione comunitaria che ben si sposava con le istanze federaliste e regionaliste di una nuova Europa immaginata Nazione, in cui identità e alterità fossero in comunione. Se il 68’ fu sostanzialmente un’occasione perduta, nonostante la buona volontà e le idee di pochi, per la giovane destra italiana il 77’ fu il tempo della vera rivoluzione ideologica e antropologica. Tarantino, come detto, si sofferma a giusta ragione sui Campi Hobbit, sull’iconografia basata sul capolavoro fantasy di Tolkien (e sulle vicinanze che anche grazie al letterato britannico si trovarono con gruppi che guardavano libertariamente oltre la sinistra, come gli Indiani metropolitani), sul richiamo, già insinuato al tempo della Giovane Europa, a una simbologia celtica (le croci) e nordico scandinava (le rune) che aveva l’intento di rievocare miti e radici arcaiche mai veramente prese in considerazione da una storiografia classica percepita come emanazione del potere dominante. Altro elemento d’aggregazione furono le strisce satiriche maldigerite dal partito (la più nota e celebrata, La Voce della Fogna, è ancora oggi considerata oggetto di culto), il cinema e le radio libere che diffusero la così detta musica alternativa (Di Fiò, Marzi, Morsello, Compagnia dell’anello, Janus, ZPM, Amici del vento fino a Marcello De Angelis e i 270 bis), che nasceva ispirandosi ai grandi cantautori (De André, Guccini, Gaber, De Gregori, Gaetano) e che prima di trasformarsi, dagli anni Novanta in poi, in rock identitario respirava atmosfere esistenzialiste figlie di un mondo che, nonostante l’evoluzione del pensiero e le contaminazioni del tempo, restava più o meno orgogliosamente marginale:

“Campo Hobbit non è come erroneamente si può pensare, il punto di partenza di un nuovo modo di essere ma è il passaggio naturale di un’evoluzione in atto nel nostro mondo… Cambia tutto, cambia il nostro linguaggio, addirittura la grafica dei nostri volantini e manifesti, nascono i primi giornali che vengono diffusi da Trieste a Palermo, i primi gruppi musicali che, oltre a celebrare i nostri caduti, cominciano a proporre temi sociali e ambientalisti. (p.94) 

Gabriele de Francisci, in un pezzo uscito sul Secolo d’Italia il 17 giugno del 2007, intitolato “Ritroviamo subito lo spirito del 77”, ci ricorda i motivi del primo Campo Hobbit vagheggiando il ripristino di quelle idee e di quello spirito, per ridestare una destra in crisi che di li a poco sarebbe caduta definitivamente nelle fauci del Cavaliere. Sappiamo tutti come è andata a finire, ma respirando le suggestioni offerte dalle pagine del libro di Giovanni Tarantino tanti di voi che poco conoscono e che hanno curiosità di andare oltre la storia della destra istituzionale, potranno guardare al di là delle sorti di un partito, il Movimento Sociale Italiano, che pur denso di contraddizioni e ghettizzato per larga parte della sua storia, ha fatto incontrare e tenuto insieme un mondo che non aveva e non trovava rappresentanza. Un mondo di idee e di uomini che ha immaginato un’Europa libera da vincoli ed egemonie, che fossero poltico-ideologiche o economico-finanziare, né atlantica né sovietica e nemmeno delle banche. Un patrimonio da non disperdere per un libro importante, quanto meno per chi voglia avere un più ampio quadro storico del 68’ e del 77’ e per chi certe suggestioni ideali le ha comunque respirate, edito dalla sempre ottima casa editrice Controcorrente.

“Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave. Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi. Ebbene, navicella: guardati innanzi! Ai tuoi fianchi c’è l’oceano: è vero, non sempre muggisce, talvolta la sua distesa è come seta e oro trasognato dalla bontà. Ma verranno momenti in cui saprai ch’è l’infinito e non c’è niente di più spaventevole dell’infinito. Guai se ti coglie la nostalgia della terra, come se là ci fosse stata più libertà… E non esiste più terra alcuna”. Friedrich Nietzsche

Federico Magi, ottobre 2011.

Edizione esaminata e brevi note

Giovanni Tarantino (Palermo, 1983). Laureato in Scienze storiche, giornalista professionista, è stato redattore del quotidiano E Polis. Collabora con giornali e riviste nazionali. Studia l’intreccio tra calcio e cultura popolare.
Giovanni Tarantino, Da Giovane Europa ai Campi Hobbit. 1966 – 1986. Vent’anni di esperienze movimentiste al di là della destra e della sinistra. CONTROCORRENTE, 2011. Prefazione di Franco Cardini.