Il titolo “Poncho e Lefty”, ispirato a “Pancho e Lefty”, famoso brano country di Townes Van Zandt, peraltro considerato da tutti gli estimatori del genere come struggente e malinconico, non deve ingannare. Se la canzone narra di un tradimento mortale ai danni del rivoluzionario messicano Pancho Villa – Lefty sarebbe il traditore – nel romanzo i due fratelli protagonisti Tim e Jake si comportano in maniera esattamente opposta, ostinati a rimanere insieme, fedeli, fino alle estreme conseguenze.
Tim Harding è il Lefty della situazione che ci viene descritto come persona assennata, adesso a Vancouver presso una famiglia di pescatori dove ha un lavoro onesto e una possibile fidanzata. Insomma, un uomo decisamente per bene che però ha la sfortuna di vedersi venire incontro Jake, il fratello “Pancho”, ex detenuto, da sempre abilissimo a ficcarsi nei guai. Il racconto prosegue, come immaginabile, con le rocambolesche avventure dei due una volta che Jake ha coinvolto il buon Tim in quella che appare subito un’impresa folle: per ripagare un debito contratto con un vecchio conoscente, adesso a capo di una gang criminale, sono costretti a rubare un cavallo purosangue e consegnarlo negli Stati Uniti, oltrepassando i confini del Canada. Il furto di Shenzao, cavalla bianca “semplicemente meravigliosa”, alla meno peggio riesce ma, dopo una sfortunata fermata ad una stazione di servizio, inizia il difficile quando il complice alla frontiera si tira indietro. A quel punto furto chiama furto e Tim, che aveva avuto il compito di sorvegliare la barca del suo datore di lavoro, il burbero Albert, propone di passare il confine con Shenzao prendendo in prestito la Western Lady. Sperando di tornare indietro prima di Albert e della sua famiglia. Chiaramente un’impresa improbabile che procurerà guai uno dietro l’altro, a cominciare dagli sforzi per contenere il cavallo richiuso dentro una stiva, per poi affrontare una terribile tempesta e infine inventarsi l’ennesima balla al momento di incontrare un gruppo intento a festeggiare un addio al nubilato. Infine, sopravvissuti, l’arrivo presso un molo deserto dove li attende Maria, un tempo fidanzata di Jake e ora compagna del gangster che li ha costretti al furto. Da lì in poi, braccati sia dalla polizia canadese che da quella statunitense, si capisce definitivamente che le cose non potranno avere una fine tranquilla. Magari non del tutto tragica, come si può cogliere dalle parole di Tim, il narratore della vicenda, ma sicuramente con effetti pesanti per tutti. Effetti che vengono da lontano, non soltanto a causa della follia di rubare un purosangue in quelle condizioni. Il racconto di Tim è imperniato sugli anni precedenti, poco prima che Sandy, loro sorella, in procinto di diventare una ballerina di successo, morisse in un incidente automobilistico. Da quel momento l’ossessione vendicativa di Jake che lo porterà in galera e ancora una volta a legarsi con i criminali che poi pretenderanno la consegna di Shenzao: la storia tragicomica di come da tragedia si passi in tragedia senza soluzione di continuità.
Le prime critiche del romanzo, generalmente e giustamente apprezzato, hanno spesso rilevato le situazioni grottesche di cui la narrazione abbonda e che avrebbero dovuto in qualche modo indurre al riso, al divertimento. In realtà mi pare che, ben più che l’elemento dell’ironia, il pregio maggiore del romanzo di Tyler Keevil siano i frequenti colpi di scena, nonché il ritmo della narrazione che non perde di mordente nemmeno quando Tim rievoca i precedenti e tutte le vicende familiari che sono la vera causa delle scelte sbagliate, o quanto meno azzardate, del presente. Del resto il titolo originale, “No Good Brother”, come spesso accade, rende meglio l’idea di fondo del romanzo, incentrato sul tema della fedeltà alla famiglia, tra fratelli viventi e non viventi, fino alle estreme conseguenze. Il tutto immerso in un senso di malinconia, inevitabile in una storia di perdenti, che però non oltrepassa mai il livello di guardia, sicuramente in parte grazie alla sottile ironia della vicenda, in parte grazie alla scelta del narratore Tim che, disastro per disastro, fa capire come almeno un sopravvissuto ci sia. In realtà – permettetemi l’anticipazione – alla fine, tranne i gangster, sopravvivranno praticamente tutti, magari in condizioni precarie ma sopravvivranno e pure confortati dalla presenza di Sam, la figlia di Maria, il cui padre potrebbe essere Jake e forse lo stesso Tim. Un racconto che agli ingredienti avventurosi, tipici di una sorta di western contemporaneo, abbina l’imprevedibilità e la caparbietà degli affetti. Tutti elementi che fanno pensare non soltanto ad un bel romanzo che si legge d’un fiato, ma anche ad un probabile soggetto cinematografico di successo.
Edizione esaminata e brevi note
Tyler Keevil, originario di Vancouver, Canada, è l’autore dei romanzi Fireball (2010) e The Drive (2013), e della raccolta di racconti Burrard Inlet (2014). Ha scritto inoltre saggi e sceneggiature, e nel frattempo ha svolto i mestieri più disparati: piantatore di alberi nella Columbia Britannica, mozzo su una chiatta rompighiaccio, impieghi in cantieri navali, fabbriche, ristoranti, panifici e videonoleggi. Tutte esperienze che lo hanno ispirato nelle sue storie. Oggi vive con la moglie e i figli in Galles, dove insegna alla Cardiff University.
Tyler Keevil, “Poncho e Lefty”, Jimenez, Roma 2020, pp. 352. Traduzione di Pietro Strada.
Luca Menichetti. Lankenauta, agosto 2020
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