“E Bastian? Uhlrich? Chi sono per te? Con questa domanda era volato il primo schiaffo, che aveva costretto il giovane Aimé a sedersi sulla seggiola per non cadere per terra” […] “Sto lavorando su una serie di vaccini sperimentali, per febbre gialla, tifo e influenza, e il lager di Schirmeck può crearmi qualche guaio… Ci sono rinchiusi in maggioranza degli alsaziani, giovani ribelli, a volte anche non maggiorenni. Vanno più che bene, ma appartengono pur sempre alla razza germanica. Ho avuto tutte le autorizzazioni per sperimentare sui prigionieri, ma sarei più contento di provare i miei preparati anche su altre cavie, di diverse nazionalità” (pag. 41 – 76). I dialoghi che leggiamo nel libro di Frediano Sessi risultano del tutto plausibili e, merito dell’autore, se da un lato confermano gli intenti divulgativi di “Mano nera”, dall’altro lato non consentono nemmeno equivoci su possibili cedimenti al romanzesco: l’ampia bibliografia in appendice e le frequenti note mostrano come queste pagine siano il frutto di una ricerca capillare su vicende che ancora oggi appaiono sconosciute ai più. Proprio questa attenzione ad episodi dimenticati o quanto meno sottovalutati della Seconda Guerra Mondiale sembra caratterizzare l’opera di Sessi, già autore di “Il lungo viaggio di Primo Levi”, il racconto di un’altra vicenda poco nota di resistenza italiana al nazifascismo. Nel caso di “Mano nera” invece ci ritroviamo nell’Alsazia occupata dalle truppe hitleriane.
È qui che vengono aperti i lager di Schirmeck e Natzweiler, luoghi nei quali sarà spesso presente il dottor Eugen Haagen, nazista intento a inoculare virus agli internati, alla ricerca di vaccini contro il tifo e la febbre gialla. Tra gli “ospiti” delle strutture dove venivano effettuate queste pratiche su “esseri inferiori” (come disse Hellmut Gräfe, uno dei collaboratori di Haagen, i “polacchi non sono esseri umani” e quindi nessuno scrupolo era possibile) c’erano anche i giovanissimi ribelli alsaziani, spesso minorenni, della “Mano nera”, organizzazione dedita ad azioni di sabotaggio, intenzionata a frustrare i nazisti nel loro tentativo di assimilare le terre occupate alla Germania, contando sulla rassegnazione e la paura della popolazione. Due storie parallele che non potrebbero essere più diverse: da un lato il dottor Eugen Haagen, valente immunologo, abile soprattutto a conquistare il potere accademico grazie alla sua spregiudicatezza e alla pelle del prossimo, ma che, malgrado i processi del dopoguerra, morì nel suo letto; sull’altra sponda, ormai dimenticati, i resistenti, torturati, a volte giustiziati, altre volte arruolati a forza nell’esercito tedesco: strategie di repressione, spesso contraddittorie, che da un lato mostravano il volto fanatico del giudice Huber, e dall’altro il pragmatismo, pur sempre cinico, di coloro che si preoccupavano di come avrebbe reagito l’opinione pubblica alsaziana, ancora da educare al nazismo, alle esecuzioni e alle torture pubbliche di minorenni e di giovanissimi compatrioti. La vicenda tragica del diciottenne Marcel Weinum, alla quale Sessi dedica un intero capitolo, da questo punto di vista risulta paradigmatica: “il governatore Wagner, interpellato come teste, che mise in guardia il presidente del tribunale dal non creare, con una condanna troppo dura, un nuovo martire che avrebbe certo favorito, invece che sopito, i moti resistenziali” (pag. 148), l’ira del giudice Huber (“quale martire? Un criminale di guerra, un assassino…quello che dice è insensato”), la condanna a morte, l’attesa confortata dalla fede cristiana, la decapitazione all’alba del 14 aprile 1942. Intanto continuavano gli esperimenti di Haagen “su persone indegne di vivere” (così scrisse al suo supervisore Gerhard Rose), mentre fallivano i tentativi di rivolta, soprattutto da parte degli affiliati alla Mano nera, per fermare il dottore o quanto meno per danneggiare l’attrezzatura che serviva alla sperimentazione. Del racconto di Sessi, oltre al fatto che questi eroici adolescenti negli anni siano stati praticamente dimenticati, colpisce come in fondo il modo di procedere di Haagen superasse qualsiasi ostacolo o barriera, “la salute dell’uomo (sottoposta a sperimentazione) ma anche l’ideologia”. Alla fine della guerra quello che era stato un medico nazista, ma soprattutto un arrampicatore sociale, non ebbe remore a mettersi al servizio dei sovietici: “Un rilievo è comunque importante: nazismo e comunismo hanno in comune, tra l’altro (e senza considerare le loro forti divergenze in ambito sociale), un forte spirito totalitario, in grado di far prevalere gli interessi dello Stato su quelli dei singoli. Haagen si rivela, anche in questa occasione, un servitore dello spirito totalitario, pur di lavorare e di ottenere risultati per le sue ricerche” (pag. 209).
Successivamente, catturato dagli occidentali e messo alla sbarra, la strategia processuale di aver operato sempre per il bene dell’umanità risultò vincente, salvo sfruttare anche la compiacenza e i silenzi di coloro che erano interessati a sfruttare le sue competenze mediche una volta archiviate le accuse a suo carico. Se non perdenti certo dimenticati gli adolescenti della Mano nera, complice forse il fatto che per lungo tempo ha predominato il luogo comune che voleva gli alsaziani come convinti collaborazionisti. Le storie di Marcel Weinum, di Cezlav Sieradski, di Xavier Nicole, di Jean-Jacques Bastian e di altri giovanissimi martiri della repressione nazista ci dicono ben altro.
Edizione esaminata e brevi note
Frediano Sessi vive e lavora a Mantova. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo “Il ragazzo Celeste” (1991), “Ritorno a Berlino” (1993), “L’ultimo giorno” (1995), “Alba di nebbia” (1998), “Nome di battaglia: Diavolo” (2000), “Prigionieri della memoria” (2006, due edizioni), “Foibe Rosse” (2007, due edizioni), “Il segreto di Barbina” (2009) e con Carlo Saletti “Visitare Auschwitz” (2011, due edizioni), “Il lungo viaggio di Primo Levi” (2013) tutti editi da Marsilio. Sempre per Marsilio ha curato il saggio di Michel Mazor La città scomparsa (1992). È autore inoltre dei romanzi per ragazzi “Ultima fermata: Auschwitz” (1996), “Sotto il cielo d’Europa” (1998) e “Il mio nome è Anne Frank” (2010), editi da Einaudi, per cui ha curato anche l’edizione italiana definitiva del “Diario di Anne Frank” (1993) e il “Dizionario della Resistenza” (2000). Nel 1999 è stato pubblicato il suo saggio “La vita quotidiana ad Auschwitz” (Rizzoli, tredici edizioni).
Frediano Sessi, “Mano nera. Esperimenti medici e resistenza nei lager nazisti”, Marsilio (collana “Gli Specchi”), Venezia 2014, pp. 255.
Luca Menichetti. Lankelot, novembre 2014
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