Di questi tempi sentir parlare di “meriti italiani”, soprattutto in relazione a delitti e criminalità, immagino possa spiazzare e lasciare quanto meno perplessi. Perplessità che però può venir meno se questi meriti vengono motivati come ha fatto il criminologo Francesco Sidoti col suo “Crimine all’italiana”.
Intendiamoci: quella del libro è una visione volutamente ottimistica sulla quale si può, e in certi casi si deve dissentire, ma almeno siamo dalle parti di argomentazioni colte, ricche di riferimenti storici, e quindi un approccio ben diverso rispetto quanto abbiamo potuto leggere in questi anni su un’Italia che non aveva problemi, dove la crisi era solo psicologica e via dicendo. Un ottimismo, quello di Sidoti, dettato dal voler vedere “il bicchiere mezzo pieno”, ovvero considerare l’Italia non soltanto come il paese di Tangentopoli ma soprattutto il paese di Mani Pulite, quello che ha dato i natali a Cesare Beccaria, a Giorgio Perlasca, a Paolo Borsellino e a tutti coloro che si sono spesi per alti ideali. Come scrive l’autore in premessa: “Una tradizione che, se non altro per i suoi protagonisti, mi pare grandiosa. Una tradizione che ha contenuti specifici: è complessivamente caratterizzata da un approccio realista, garantista, mite, pacifico, moderato, inclusivo, benintenzionato anche se smaliziato” (pag. 7). Una bella sviolinata tutta incentrata sul “bicchiere mezzo pieno” che appunto per questo non credo proprio possa regalare argomenti a quanti in questi anni, auspicando profonde riforme “ad castam”, si sono esercitati da un lato a minimizzare problemi, crisi, disagi, e dall’altro hanno rappresentato il nostro paese in mano ad una dittatura di magistrati infettati dal morbo giustizialista, ad un collettivismo di stampo sovietico ed altri disastri inenarrabili. In fondo se questo bicchiere mezzo pieno esiste davvero, c’è solo da essere contenti e da sperare che si riempia sempre più; e non ci si ritrovi invece con una legislazione ed un sistema che faccia sparire questo mezzo pieno. Quindi non si vede perché abrogare quanto di buono esiste, pur in un contesto di diffusa corruzione e cattiva informazione. Insomma, come la si voglia girare, vuoi dal lato pessimista, vuoi dal lato ottimista, “Il crimine all’italiana” di Sidoti potrà essere criticato per aver privilegiato alcuni aspetti della nostra storia sociale, criminale e politica a discapito di altri; ma ben poco che possa assomigliare ad una di quelle interessate minimizzazioni volte a prosciugare “il bicchiere mezzo pieno” che almeno esiste e che ci teniamo stretto.
Il volume “nasce da lezioni e conversazioni con studenti del 2011, che vogliono sapere sia di mafia e di corruzione, sia di spazzatura e di prostitute: argomentazioni che rendono l’idea di una discussione a volte esasperata”. Effettivamente le duecentocinquanta pagine del libro, se difettano un po’ in organicità nel loro spaziare nei secoli, con argomenti quanto mai eterogenei, con il voluto scopo di presentare un’Italia moderata e ricca di sano realismo, si leggono in maniera molto scorrevole, come in una conversazione colta, poco formale, con molte divagazioni. Per rendere l’idea di quanti temi Sidoti abbia affrontato per rappresentarci la specificità italiana possiamo riportare alcuni titoli di capitoli e paragrafi: Idealismo contro realismo; il principio della carità interpretativa; Mitezza e garantismo: Beccaria e Manzoni; La criminologia italiana, da Durkheim a Radzinovich, Libertà, democrazia, legalità: la scuola italiana; Pareto e la liberà, Mosca e la democrazia, Santi Romano e la legalità; Fascisti, comunisti, democratici; Gli azionisti, Bobbio, Andreotti; Il crimine all’anglosassone [….]. Piuttosto interessanti risultano i passaggi dedicati a Bobbio ed al suo concetto di “mitezza” (uno dei pregi italici secondo Sidoti) che non rappresenterebbe passività “ma accettazione degli altri per quello che sono” e da qui, dopo una serie di comparazioni con le tradizioni di altri paesi, la considerazione che il garantismo italiano non è soltanto il rispetto dei diritti della difesa ma “un atteggiamento di carattere generale: una riserva e una distanza dagli estremismi”.
Gli stessi comunisti e fascisti vengono visti nel loro concreto operare: se avessero applicato alla lettera le teorie che i regimi propagandavano avrebbero combinato ben di peggio. Inoltre, tra i tanti, viene citato il Lombroso, già strumentalizzato dal razzismo scientifico, qui esempio di uomo che negli anni si è “moderato” o quanto meno ha notevolmente cambiato la propria visione intellettuale, dopo lo studio degli “animali inferiori”, “scrive sull’Avanti […] in un’epoca caratterizzata dalla corsa delle potenze europee alla costruzione di un impero coloniale […] si esprime in termini nettamente antimilitaristici e anticolonialistici. Le sue pagine più accese sono contro la corruzione, la politica, la speculazione: era tutta gente che non abitava nel meridione” (pag. 206).
La tesi di Sidoti è piuttosto chiara: in riferimento alla nostra tradizione giuridica e sociale, “ritardi ed inadempienze non oscurano quel che di buono è stato fatto” e soprattutto “l’antidoto migliore alla stessa italianità rimane la nostra cultura”. Appunto il bicchiere mezzo pieno.
Edizione esaminata e brevi note
Francesco Sidoti, insegna Sociologia e Criminologia all’Università dell’Aquila, dove ha fondato e presiede il corso di laurea in Scienze dell’investigazione. E’ attualmente segretario del research committee su “Deviance and Social Control” (RC-29) per l’International Sociological Association. Già consulente della Commissione parlamentare antimafia, è specialista in devianze, open source intelligence e investigazione giudiziaria.
Francesco Sidoti, Il crimine all’italiana. Una tradizione realista, garantista, mite, Guerini e Associati, Milano 2012, pag. 250
Luca Menichetti. Lankelot, aprile 2012
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