Chi avesse già letto “Parsifal a Venezia”, il complesso racconto–saggio di Giuseppe Sinopoli, sicuramente ritroverà molto di quel percorso iniziatico anche nelle quattro conversazioni sulla Tetralogia wagneriana che il Maestro tenne a Roma tra il 1988 e il 1991 su invito degli Amici di Santa Cecilia. Conversazioni poi raccolte nel “mio Wagner” a cura dell’ottimo Sandro Cappelletto. Ogni pagina del libro è un tale concentrato di erudizione e di collegamenti tra musica, filosofia, arte, letteratura, psicanalisi che diventa davvero molto difficile darne conto nelle strette di una recensione. Mi pare semmai significativa la chiusa della conversazione dedicata alla Valchiria (5 marzo 1989): “Spero di aver comunicato che la musica di Wagner non è unicamente una musica da ascoltare, ma anche una musica da pensare e che forse la sua grandezza non sta nella malattia, ma nell’aver analizzato la nostra malattia” (pag. 70).
Lo stesso Cappelletto, che nella prefazione riesce a sintetizzare benissimo l’idea che Sinopoli aveva del mestiere di intellettuale, scrive chiaramente di “fiducia nell’unità del pensiero” quale importante eredità ricevuta dal maestro veneziano, il quale amava definirsi “mediatore culturale”: “rifiutare la frantumazione del sapere, inseguire e trovare i nessi e i cortocircuiti del suo procedere”. Il medico specializzato in psichiatria, il compositore, il direttore d’orchestra e l’archeologo li ritroviamo proprio tutti nell’intellettuale Sinopoli che si confronta con la musica wagneriana: molte le citazioni, i simbolismi, i richiami alla filosofia di Schopenhauer, di Feuerbach e di Nietzsche ma, almeno per chi conosce bene le vicende raccontate nella Tetralogia, una lettura meno ostica rispetto il più noto “Parsifal a Venezia”. E’ vero che il libro, dalla prima all’ultima pagina, rappresenta un rincorrersi di inediti collegamenti tra personaggi operistici i e miti universali, ma dal lato più strettamente musicale appare molto chiara la concezione che il Sinopoli direttore d’orchestra aveva di Wagner e in particolare della sua Tetralogia proprio nel citare Wilhelm Furtwangler: “il modo tradizionale di rappresentare scenicamente le sue opere è inadeguato alla sua musica”.
Quindi nessuna indulgenza nei confronti di rappresentazioni piene di esagitate matrone e nerboruti guerrieri vestiti di pelle di lupo, con elmi e corna; ed altrettanta distanza intellettuale nei confronti delle Valchirie trasformate in SS o di un Wotan diventato direttore d’azienda. Secondo Sinopoli storicizzare Wagner, almeno come fanno alcuni registi e interpreti, implica una demitizzazione e così il rischio di ridurne la caratura musicale: “La capacità evocativa ed associativa di chi conosce la musica di Wagner e l’intreccio dei motivi in una determinata situazione drammaturgia è più violenta se la musica non viene vista […] Qualsiasi realizzazione visiva – mi prendo tutto il peso di questa affermazione – è nel Ring semplicemente riduttiva”. Non è quindi un caso se il maestro veneziano ha diretto più volte la Tetralogia in forma di concerto, agli antipodi di ogni visione eroica e titanica. Alla fin fine il concerto, spoglio da ogni scena e distrazione visiva, diventava un modo per meglio comprendere la complessità dell’opera wagneriana ed appunto non banalizzarla, complici registi mediocri o semplicemente in vena di protagonismo.
Le conversazioni contenute nel “mio Wagner” ricordano il più noto “Parsifal a Venezia” proprio per quei continui collegamenti tra miti e simboli, che non si limitano all’analisi della partitura musicale in quanto tale e che probabilmente rispecchiano il profondo interesse di Sinopoli per la psicanalisi. A volte più che leggere un saggio musicale sembra di immergersi davvero nei meandri dell’inconscio, tanto più quando Wagner viene letto come un anticipatore nemmeno troppo inconsapevole di Freud. Proprio per la capacità di scovare collegamenti inediti, forse pure azzardati, si potrebbe pensare a qualche somiglianza con “Il libro dell’Es” di Groddeck, che pure non è mai citato. Dopo aver letto “Il mio Wagner” ci si renderà conto come Sinopoli, che pure era un grande collezionista di antichità, fosse riuscito a descriversi perfettamente con appena cinque parole: “Non colleziono oggetti, colleziono idee”.
Edizione esaminata e brevi note
Giuseppe Sinopoli è nato a Venezia nel 1946. Compositore e direttore d’orchestra, si è laureato in medicina e chirurgia nel 1971 a Padova e in archeologia presso la facoltà di lettere e filosofia La Sapienza di Roma. È stato direttore musicale della Staatskapelle di Dresda e della Philarmonia Orchestra di Londra, nonché uno dei direttori del Festival di Bayreuth. È morto a Berlino, mentre dirigeva l’orchestra della Deutsche Oper, il 21 aprile 2001.
Sandro Cappelletto, scrittore e critico musicale. Tra le sue pubblicazioni, “La voce perduta”, prima biografia di Carlo Broschi Farinelli. Collabora ai quotidiani «La Stampa» e «Le Monde».
Giuseppe Sinopoli, “Il mio Wagner. Il racconto della Tetralogia” (a cura di Sandro Cappelletto), Marsilio (collana Gocce), Venezia 2006, pag. 126, euro 9,00
Luca Menichetti. Lankelot, giugno 2012
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