Gian Antonio Stella è un giornalista che prende sul serio la par condicio.
I lettori del Corriere lo sanno bene: le sue attenzioni nei confronti dei politici (i destinatari difficilmente gradiscono) non hanno mai avuto confini.
Ed ora, dopo i devastanti reportage antropolologici sugli accoliti del palazzinaro di Arcore, con “Tribù. Foto di gruppo con cavaliere”, iniziata una nuova legislatura con la sinistra al potere, era inevitabile che Stella si dedicasse a mazziare la nuova classe dirigente “di lotta e di governo”.
C’è il disobbediente di famiglia borghesissima e proprietario terriero; il premier, che ben prima dell’uscita sulla “coalizione sexy” si dimostra terrificante battutista (recidivo) con il suo diffidare del “volo delle polpette avvelenate sotterranee”; il ministro dell’interno con il suo sogno di fare il camionista; il neosegretario di rifondazione intento a tenere insieme trotzkisti, cigielleisti, no-global, ingraiani e un po’ di autentici stalinisti (“tollerati se non coccolati come il panda, il gobbo rugginoso o il fistone turco”); il Guardasigilli che, a chi lo prende in giro, manda biglietti con su scritto “Sei inutilmente stronzo”; Durnwalder il presidente bolzanino che confessa ” Anche noi ziamo ztati un pokettino spendaccioni, ja”; il leghista spurio di fede marxista ed ammiratore di Saddam, placato con un sottosegretariato allo sport, nonostante ammetta “sono la persona meno sportiva del mondo. Tamburello o bocce è tutto lo stesso”; un ministro dell’ambiente che non difetta di loquacità e tempestività (“Mucche così sono l’orgoglio dell’Italia”-sentenziò. “Scusi ministro, è un toro”); un comunista (Rizzo) “della specie Neanderthal” (“deciso a conciliare plumbee ortodossie moscovite e un certo vitalismo gaudente, sicuro di se stesso al punto di ammettere di essere caparbio, determinato, e anche un po’ figlio di puttana”); il sindaco di Roma, accusato da un irrefrenabile Berlusconi di essere pure lui un losco stalinista, ma odiatissimo anche da ortodossi archeologi come la Rossanda e Pintor (“anche Walter Veltroni si vantò di essere stato ciò che dice di non essere mai stato. Comunista si, ma della sezione Giovani Marmotte”); un sottosegretario all’economia (?) ultrapacifista (dice lui) ma con due guerriglieri, Ernesto “Che” Guevara e il subcomandante Marcos, come suoi miti assoluti; il sindaco di Messina contrario al ponte sullo stretto e con quote importanti della Tourist Ferryboat e della Caronte (traghetti); e tanti tanti altri.
Per meglio capirci vi elenco i ferocissimi capitoli:
Introduzione: Paese a dieta, governo soprappeso
– Vittorio Agnoletto: L’ordinatino che sguazza tra i disordini
– Giuliano Amato: L’Eta Beta che voleva fare il camionista
– Antonio Sassolino: Lo chiamavano il “Tony Blair of Afragola”
– Pierluigi Bersani: Metti Gregorio Magno con Vasco Rossi….
– Fausto Bertinotti: E Castro gli disse: “Hai fatto l’estremista, eh?”
– Rosy Bindi: La pasionaria che affascina il visagista delle dive
– Emma Bonino: Burka, Pannella e cha cha
– Rita Borsellino: “Curriti! Curriti! Cu-Rita!”
– Massimo, Paolo e Tommaso Cacciari: Troppe sinistre per una famiglia sola
– Francesco Caruso: Non c’è pace tra gli Ulivi
– Paolo Cento: Casse vuote? Ci pensa “er Piotta”
– Sergio Chiamparino: Il nipote di “Barba Lenin” inviso ai duri e puri
– Massimo D’Alema: “Il Migliorino”, Togliatti e il piede di porco
– Vincenzo De Luca: Il podestà rosso e la ruspa ottimista
– Elidio De Paoli: Il saddamita di culto padano
– Antonio Di Pietro: Tutta una vita da Mercedes a Mercedes
– Oliviero Di liberto: Con Boldi sì, con Bondi no
– Luis Dnrwlder: Falce, martello e braghe di cuoio
– Piero Fassino: Dal Botteghino ai botteghini di Broadway
– Francantonio Genovese: “Mister Magoo”, nipote di zio Nino
– Franco Giordano: L’uomo che abbaiava ai gatti
– Rosa Iervolino Russo: La “Zia della Patria” sopravvissuta al Lupo Alberto
– Vladimir Luxuria: Quella damigiana galeotta in sacrestia
– Franco Marini: “Scintillone” ha cambiato cravatte
– Clemente e Sandra Mastella: Potere e torroncini dei Clinton di Ceppaloni
– Giorgio Napolitano: E al Quirinale tornò il sosia di Umberto
– Tommaso Padoa-Schioppa: Eppure anche le tasse hanno il loro bello
– Arturo Parisi: Il chierichetto più testardo di Don Masia
– Alfonso Pecoraio Scanio: Scusi, perché parla tanto? “Mi applico”
– Romano Prodi: “Sono come Ercolino Sempreinpiedi, ma non dondolo”
– Marco Rizzo: Il comunista che bacchetta i comunisti
– Francesco Rutelli: “Il Piacione” che non piaceva a Frate Indovino
– Livia Turco: Sposò il Pci con un vestitino rosso
– Water Veltroni: Il sindaco del Paese dei Balocchi
– Valerio Zanone: “Voi liberal, io liberale”.
Titoli eloquenti.
I contenuti sono altrettanto intuibili; non fosse altro per le distanze siderali esistenti tra un Caruso, al momento il nostro supporter di Hamas più famoso, e il mite Zanone, liberale storico, a sinistra per un solo e decisivo motivo: “Un liberale come me non può essere berlusconiano. Quello parla di liberalismo e poi non riconosce le regole, la necessità della concorrenza, la divisione dei poteri, il principio che la legge è uguale per tutti. Ha gettato i principi liberali gambe all’aria”.
Il violento sarcasmo di Gian Antonio Stella, lo sanno bene i suoi lettori, è inimitabile; ma, vuoi per la scelta dei personaggi, vuoi per aspetti meramente “antropologici”, non possiamo non notare delle notevoli differenze tra il nostro “Avanti popolo” e il precedente “Tribù. Foto di gruppo con cavaliere”.
Qui, pur presenti innumerevoli aneddoti e dettagli, che per inquadrare i personaggi in questione risultano molto più utili di papireschi saggi sociologici sulla loro attività di pseudo-statisti, il vero bersaglio degli strali non necessariamente è il politico cui è dedicato il capitolo.
La Iervolino, Bersani, la Bonino, Amato, Marini, ma soprattutto Rita Borsellino e Sergio Chiamparino fanno un figurone, se messi a confronto con certi loro avversari “esterni” (del Polo) e soprattutto rispetto ai loro antagonisti “interni”, ovvero tutta quella congerie di vestali-archeologi, nostalgici di ideologie ammuffite, i furbetti della cui presenza non abbiamo mai fatto a meno, della gran massa dei portaborse assurti a novelli statisti ed impregnati di quella cialtroneria che risulta essere il vero anello di congiunzione con la cosidetta prima repubblica.
Mentre in “Tribù” l’obiettivo del gas esilarante (e mortale) di Stella, era tutto per i nuovi ricchi dell’era berlusconiana, per i fedeli scherani del cavaliere mascarato, da loro dipinto con un monumento di saliva, qui in “Avanti popolo” l’antropologia di base è parzialmente diversa.
Non più le descrizioni perfide delle tre feste di laurea di Bossi per una laurea inesistente, o i capitoli al vetriolo sul ministro Castelli, Gentilini, “Igor” Gasparri, Bondi, Valerio Carrara, Elio Vito, Rocco Buttiglione e via delirando.
Qui in “Avanti Popolo”, se pure personaggi come Marco Rizzo, Agnoletto, Diliberto, sono tartassati ben bene (poteva essere altrimenti?), vengono semmai pesantemente sbertucciati quegli antichi e mai morti vizi della sinistra, o di certa sinistra: il parlarsi addosso, il fare logorroico di molti, troppi personaggi, le contraddizioni del pacifismo col manganello, la pretesa di superiorità morale, le mummie ammuffite scambiate per miti intoccabili; ma non solo: ovviamente anche le spore democristiane, transitate in ogni dove, ed i consueti opportunisti dell’ultim’ora, razza italica di antico lignaggio, conosciuta presso ogni latitudine politica.
Per dirla in altro modo, in “Tribù” i perfidi strali erano diretti al dedicatario del capitolo e facevano molto ma molto molto male; in “Avanti Popolo” spesso e volentieri le mazzate più pesanti non sono dirette ad una Bindi od a un Zanone, tanto per fare alcuni nomi, bensì, più specificatamente, verso alcuni (presunti) compagni di schieramento (e non solo) che li hanno circondati, mal consigliati, ostacolati, insalivati.
Il precedente ed esilarante saggio dedicato alla gens berlusconica, gaudente ed entusiasta nell’assaltare la diligenza, ha meritato a Stella una querela da parte del solerte ex ministro Gasparri (leggendo si può capire il motivo); forse il nuovo libro non ha caratteristiche tali da provocare altrettanti procedimenti penali, vista la minore cattiveria rivolta verso alcuni dei personaggi citati; ma mai dire mai: le vie del masochismo politico, soprattutto di questa particolarissima sinistra di lotta e di governo, sono infinite.
Un saggio politico, in qualche modo estraneo ad una sezione “Arti”?
Non proprio.Ogni capitolo è qualcosa di più di pamphlet politico: è un vero e proprio racconto, un ritratto grottesco, inquietante della nostra disgraziatissima Italia.
Edizione esaminata e brevi note
Gian Antonio Stella, vicentino, editorialista e inviato di politica, economia e costume al “Corriere della Sera, ha vinto alcuni premi giornalistici (dall'”È” assegnato da Montanelli, Biagi e Bocca al “Barzini”, dall'”Ischia” al “Saint Vincent” per la saggistica).
Inoltre ha scritto numerosi saggi, tra cui “Schei, un reportage sul Nordest” (Mondadori 2000); “Dio Po, gli uomini che fecero la Padania”; “Lo spreco” (Mondadori 2001); “Chic” (Mondadori 2001); “L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi” (Rizzoli 2003); “Odissee. Italiani sulle rotte del sogno” (Rizzoli 2004); e il romanzo, lodatissimo dalla critica, “Il maestro magro” (Rizzoli 2005).
Pubblicato (e qui parzialmente modificato) il 5 agosto 2006 su ciao.it.
Lankelot, novembre 2006
Follow Us