Dopo aver letto, apprezzato e recensito la raccolta di racconti pubblicata da Bianca Penna per Idrovolante Edizioni, Il profumo dei sogni incendiati, mi è sorto spontaneo il desiderio di saperne di più; e non c’è niente di meglio che parlare direttamente con l’autore per appagare tale curiosità che, spero, non sia soltanto mia ma anche di coloro che si troveranno a passare da queste parti, a maggior ragione dopo aver letto l’opera.
Incontro Bianca in un pomeriggio di fine ottobre, in un’atmosfera tranquilla e rilassata, nonostante il tempo di restrizioni che stiamo vivendo. Siamo a Piazza Vescovio, nel cuore del quartiere Trieste, zona di Roma in cui è nata e cresciuta e nella quale vive ancora la sua famiglia. Decidiamo di fare l’intervista, viste le difficoltà ad interagire all’interno di un locale, sulle panchine del giardino dedicato alla memoria di Francesco Cecchin, giovane militante del Fronte della Gioventù che fu vittima della violenza politica degli “anni di piombo”. Bianca è una ragazza piena di vita, lo si intuiva dai suoi racconti e lo si capisce ancor meglio al primo sguardo e dopo poche parole, nonostante il canonico metro di distanza o giù di lì e la mascherina d’ordinanza che ambedue siamo costretti a portare.
Ciao Bianca, raccontaci quali sono le tue influenze letterarie, i romanzi che ti hanno maggiormente segnato nel tuo voler essere una scrittrice. E come è nata l’idea di questi racconti.
La storia infinita di Michael Ende e Il mondo di Sofia di Jostein Gaarder sono due libri che ho letto quando ero molto piccola e che a mio parere ci mostrano la potenza della scrittura quando entra in gioco l’immaginazione, la fantasia. In maniera diversa entrambi rivelano quanto le parole scritte su carta bianca possano sbalzare il lettore in un mondo completamente diverso da quello che conosce, offrendogli un altro punto di vista. Crescendo mi sono avvicinata ai classici, da Oscar Wilde a Jack London, passando per George Orwell e Ray Bradbury. La fattoria degli animali e Fahrenheit 451 sono, in assoluto, tra i miei libri preferiti. Da qualche tempo ho una passione per l’islandese Jón Kalman Stefánsson, che ha una prosa lirica che ti trascina davvero in un altro mondo. È l’autore che ultimamente ho letto di più: Luce d’estate ed è subito notte, La tristezza degli angeli, Paradiso e Inferno sono solo alcune delle sue splendide opere, che consiglio a tutti. I miei racconti sono nati in maniera naturale. Scrivo da quando ho sei anni e ho montagne di fogli e file pieni di storie, molte di esse non terminate. Negli ultimi anni, in particolare, ho iniziato più volte a scrivere ma poi mi interrompevo. Ero partita con l’idea di scrivere un romanzo ma qualcosa non funzionava. Non era la forma di letteratura più idonea a esprimere ciò che desideravo. Quando ho scelto i racconti, storie in cui il lettore potesse più facilmente ritrovarsi, essendo brevi e meno strutturati, ho scritto la raccolta in un mese.
Come è nata la collaborazione con Idrovolante Edizioni?
È stato tutto molto spontaneo e naturale. Roberto Alfatti Appetiti, il direttore editoriale, da alcuni anni legge le cose che scrivo, tutti quegli stralci, quelle storie in embrione, alle quali ancora non avevo dato una forma precisa. Gli ho mandato la raccolta finita e lui l’ha fatta leggere a Daniele dell’Orco, l’editore. E così è nato il progetto di metterli su carta stampata.
I temi che emergono dalle tue storie, a mio parere, sono quelli della battaglia quotidiana per non farsi sopraffare dagli eventi, dell’autodeterminazione, dell’identità e del conservare i sogni dell’adolescenza, tentando fino a quando possibile di realizzarli. Sei d’accordo con questa mia affermazione, oppure c’è qualcosa che ancora mi sfugge?
Questi racconti non scaturiscono da una particolare urgenza personale, se non quella di voler narrare il mondo che mi circonda e che in questi anni ho osservato. Storie che hanno vissuto e continuano a vivere, se mi passi il termine, di vita propria. È vero ciò che dici, sono storie di personaggi in cerca di riscatto. Un riscatto che però porta sempre alla consapevolezza dolorosa di dover rinunciare a qualcosa di sé, e di conseguenza a parte dei propri sogni. I miei personaggi, anche quelli che vivono una vita mediocre, capiscono che bisogna convivere con un destino in cui rinunce, frustrazioni e ingiustizie assortite sono all’ordine del giorno. Le aspettative dell’adolescenza spesso vengono disattese per mano del destino che si rivela onnipotente. Per questo bisogna lottare, non arrendersi mai, se si vuol immaginare anche solo un lampo di felicità.
Entriamo nello specifico di alcuni racconti. Sono rimasto molto colpito dalla scelta della copertina, che insieme al titolo d’indubbio impatto crea subito una suggestione molto forte in chi si appresta ad aprire il tuo libro. Vuoi parlarci del secondo racconto, La zona Rossa, dedicato alle zone terremotate dell’Umbria, e di cosa ti lega a quel popolo e quella terra.
La scelta della copertina è arrivata dopo una lunga riflessione: non si è trattato di una decisione impulsiva o intuitiva. Mi sono ritagliata parecchio tempo per capire quale potesse essere l’immagine più adatta che meglio rispecchiasse l’intento globale della raccolta di racconti. Il cuore sacro con all’interno Norcia dopo il terremoto, disegnato da Massimiliano Carli, è stato la scelta migliore. La statua del Monumento ai Caduti e il Campanile con l’orologio bloccato all’ora del terremoto riescono bene a condensare la dissonanza tra ciò che appare immutabile e ancora fiero e ciò che invece è ferito e instabile. Inoltre, la raffigurazione del terremoto voleva rimandare, oltre che al significato più letterale – quindi raccontare la storia delle zone terremotate del centro Italia da un punto di vista più pragmatico –, a un senso più metaforico riguardante la distruzione e la ricostruzione, due aspetti con i quali dobbiamo fare i conti durante la nostra vita e che toccano svariati ambiti.
Dicevamo del titolo, Il profumo dei sogni incendiati, frase che viene pronunciata da un ragazzo irlandese dell’ottavo racconto, Balleremo leggeri. Si parla di un viaggio in Irlanda, di un ritorno alle fascinazioni dell’adolescenza ma con la consapevolezza dell’età adulta, accompagnati dalle note dei Modena City Ramblers (Un giorno di pioggia). Hai scelto un’intensa ballata, che restituisce efficacemente il senso del viaggio in quella terra. È un racconto breve, decisamente uno dei miei preferiti, in cui riesci a convogliare molteplici stati d’animo. “Tiocfaidh ár lá”, ovvero “Verrà il nostro giorno”. Come ti sei avvicinata ad una causa forte, ma in apparenza a noi italiani abbastanza lontana, come quella indipendentista irlandese? Personalmente ritengo Bobby Sands, al pari del ceco Jan Palach, uno dei pochi veri martiri della libertà in Europa dalla fine del secondo conflitto mondiale a oggi.
Ero poco più che adolescente quando mi avvicinai alla causa indipendentista irlandese, e più in generale alla cultura profonda di questa terra meravigliosa, perché la loro è una battaglia epocale, veramente identitaria, e per questo assai suggestiva per ragazzi in ricerca di sé e del loro posto nel mondo, come logico che sia a questa età. Una terra così ricca di tradizione, di storia, di cultura, che mi sembrava davvero innaturale non fosse libera e indipendente. Sono stata più volte in questo territorio magico, in cui ritrovi ogni volta quello spirito ribelle, rivoluzionario, che in Italia invece sembra così lontano, quasi del tutto dimenticato dal sentire globale della popolazione.
Dall’Irlanda passiamo alla Croazia. Ho definito la tua una narrazione catartica, nella quale la componente autobiografica non solo è presente e percepibile, ma è una vera e propria traccia connotativa della tua scrittura. Ovviamente è una mia sensazione, però ci tengo a specificare che tale definizione non vuole avere nessun effetto sminuente, e che anzi, vista la fattispecie, il portare molto di te nel libro dona più potenza e credibilità alle tue storie. Come nel caso del racconto “Musica”, uno di quelli in cui si fondono in maniera davvero efficace viaggio esteriore e viaggio interiore. Vuoi parlarcene più diffusamente?
Ogni autore porta le parti di se stesso nei testi che scrive. È lui a scriverli e nessun altro. Non c’è bisogno che ci sia per forza una traccia autobiografica riconoscibile, è evidente che in qualche modo guardiamo il mondo attraverso gli occhi dell’autore ogni volta che leggiamo qualcosa. Penso piuttosto che la forza e l’attendibilità di un testo scaturiscano da quanto lo scrittore “crede” in ciò che dice, da quanti pezzi di cuore dispone e inserisce tra le parole. La scrittura è credibile quando ogni pagina è intrisa di lacrime e sudore. I libri, per chi li scrive, sono come figli che, una volta arrivati su carta, diventano adulti e vanno in giro da soli per il mondo. In qualche modo si emancipano dall’autore, così che il lettore possa trovare in loro ciò che al momento sta cercando.
Parliamo adesso del racconto numero 5, Amatriciana. Mi ha ricordato vagamente Un giorno di ordinaria follia, di Joel Schumacher, datato 1993 e interpretato da uno straordinario Michael Douglas. Avevi solo 6 anni quando uscì il film: è solo una mia congettura o davvero l’opera in questione ha avuto una qualche influenza sulla storia che ci racconti?
In realtà non ci avevo pensato, anche se conosco il film e la tematica sembra abbastanza simile. Il racconto vuole evidenziare cosa può far scaturire in un essere umano, anche calmo ordinario e pacato come il protagonista del mio racconto, il senso di frustrazione derivante, in alcune particolari circostanze, dal vivere in una metropoli come Roma. Qui il tema dell’affrancamento dai soprusi e dalla necessità di dover sempre mantenere un basso profilo per non ritrovarsi ogni giorno a confliggere col prossimo emergono in maniera prepotente, ma anche in questo caso riscattarsi significa rinunciare a un pezzo di sé, diventare come quegli estranei egoisti che prevaricano e non hanno rispetto alcuno per gli altri. È questo l’interrogativo che volevo suscitare nel lettore: cosa fare? Rinunciare al riscatto o rinunciare a essere se stessi?
Racconto numero 12, Soltanto il vento. Una dolorosa storia d’amicizia. Una degna chiusura, che restituisce il senso complessivo di un’opera in cui emerge, come ho scritto nella recensione, un forte richiamo alla comunità d’appartenenza. Quanto conta, nella tua vita, l’amicizia? Quanto, in particolare, quella che scaturisce dall’adesione a una causa comune?
Viviamo in un mondo fatto di relazioni interpersonali; in un mondo nel quale l’altro è – e diventa – una colonna portante della nostra esistenza. Per quello che sento, la vita non può prescindere dall’amicizia, dalle relazioni e dai legami, che non solo ci restituiscono il senso della nostra personale direzione di marcia, ma ci rispecchiano e spesso ci raccontano chi siamo. Gli amici sono la famiglia che ti scegli. La mia vita non sarebbe la stessa senza le amicizie che negli anni ho coltivato, senza le storie di queste persone che mi circondano e che ho scelto. Credo che l’amicizia scaturisca sempre da una “causa comune”, da un significato condiviso anche quando sembra ci si incontri per caso. In realtà ci si sceglie sempre, intuitivamente, tra simili. Io credo che il caso non esista: spesso si scopre che c’è qualcosa di più grande a legarci, oltre alle normali simpatie, e così il vincolo diventa indissolubile.
Questa è la tua seconda prova letteraria, Bianca, a quasi 10 anni di distanza dalla prima. Come mai tanto tempo? E quali sono i tuoi progetti futuri, in campo letterario?
Il tempo è relativo, non so se dieci anni siano stati effettivamente tanti. In questo periodo ho fatto dei corsi per entrare con una diversa professionalità nel mondo dell’editoria e da alcuni anni lavoro per una casa editrice come editor e correttrice. Sono stati anni preziosi in cui sono cresciuta e ho acquisito maggiore consapevolezza del peso della scrittura e dei libri come mezzo per comunicare. Attualmente non vedo l’ora di riuscire a ritagliarmi del tempo per mettere su carta il prossimo progetto, che sta maturando nei miei pensieri. Saranno i personaggi che ho immaginato a guidarmi nel nuovo testo; ma già mi hanno avvertito, e lo hanno fatto anche con grande fermezza: questa volta sarà un romanzo.
Grazie della chiacchierata Bianca, a nome mio e di tutti i lettori di Lankenauta, aspetteremo con curiosità l’uscita del tuo nuovo romanzo.
Federico Magi, ottobre 2020.
Edizione esaminata e brevi note
Bianca Penna è nata a Roma il primo agosto 1987. Obliqua, è amante dei libri e delle narrazioni, in tutte le loro forme. Dopo la formazione allo studio Oblique, lavora nel mondo dell’editoria. È psicologa, laureata con lode in Neuroscienze cognitive all’università La Sapienza; si sta formando come psicoterapeuta in Analisi transazionale socio cognitiva all’ifrep. È autrice del romanzo Sui binari del treno (2011) e dello spettacolo teatrale Sera di Giugno (2019), dedicato a Francesco Cecchin. Il profumo dei sogni incendiati è il suo secondo lavoro.
Bianca Penna, Il profumo dei sogni incendiati, Idrovolante Edizioni, Roma, 2020. Prefazione di Domenico Di Tullio.
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