E’ solo dopo oltre cento pagine che si svela il significato del titolo: “Ne ver’ ne bojsja ne prosi. Non fidarti, non temere, non pregare. Non fidarti di nessun uomo in uniforme, prosegue Vitaly. Più fiducia riponi nelle autorità, più farà male quando ti fotteranno. Fidarsi della polizia significa non rispettare se stessi. E non temere nulla, perché non servirà a cambiare le cose. Quel che deve succedere succede comunque. La paura è inutile, fa solo male, perciò lascia perdere. E non pregare, non funziona mai. Nessuno ha mai pregato per uscire da SIZO-1, perciò non sacrificare la tua dignità cedendo a false promesse […] Le tue suppliche serviranno solo a farti disprezzare di più” (pp.110). Questi i consigli di un compagno di cella al nuovo arrivato, Dimitri “Dima” Litvinov, uno degli “Artic 30”, gli attivisti di Greenpeace che poco prima erano entrati nel carcere speciale di Murmansk. In pratica le regole base per sopravvivere all’interno del tremendo sistema carcerario russo. Ma cosa avevano fatto questi ecologisti per meritarsi la galera? Dobbiamo fare un passo indietro e tornare al 19 settembre 2013 e agli attivisti presenti sull’Artic Sunrise. Il loro intento era quello di inscenare una protesta sulla piattaforma artica petrolifera Prirazlomnaya, gestita dall’azienda di stato russa Gazprom: collegare alla struttura una capsula di sopravvivenza galleggiante e così dimostrare al mondo i pericoli dell’estrazione di petrolio nell’Artico. Una provocazione ed anche una dimostrazione di resistenza civile come molte altre messe in atto da Greenpeace. Soltanto che questa volta le cose si mettono male, compaiono le squadre speciali armate fino ai denti e i trenta membri dell’equipaggio da lì a poco finiscono nelle carceri russe con l’accusa di pirateria. Le pagine di Ben Stewart, soprattutto quelle dedicate alla preparazione del blitz e poi all’assalto delle squadre speciali, inizialmente potranno ricordare un romanzo di avventura, tipo Clive Cussler. Da lì a poco però il racconto diventa una sorta di film carcerario: gli attivisti sono rinchiusi nel SIZO-1 di Murmansk, ognuno di loro tenta di cavarsela come può resistendo alle continue intimidazioni, con la prospettiva di rimanere in galera almeno quindici anni, vessati dagli agenti del FSB (ex Kgb), in compagnia di personaggi non proprio rassicuranti, spesso assassini, ma nello stesso tempo capaci di solidarizzare con i nuovi arrivati. A tal punto che “per alcuni attivisti i compagni di cella si rivelano guide preziose, perché insegnano loro le tecniche fondamentali per sopravvivere psicologicamente alla dura prova dell’incarcerazione. I russi li fanno sedere sui loro letti e spiegano come evitare di inimicarsi le guardie, come tenersi buoni i boss di una kotlovaja, come comunicare con i loro amici, come riempire le giornate e le lunghe notti, come non perdere il senno” (pp. 141). Intanto i simpatizzanti di Greenpeace iniziano a mobilitarsi in tutto il mondo per la loro liberazione. La storia degli “Artic 30” è anche il racconto di come si può contrastare una guerra mediatica, in questo caso scatenata dal Cremlino: “Sin dal primo momento la propaganda russa ha dato vita a un vero e proprio attacco frontale. La protesta in realtà era un attacco terroristico, gli attivisti sono agenti della CIA manovrati dalla società petrolifere occidentali, la cosiddetta capsula di sopravvivenza poteva essere una bomba. Le menzogne arrivavano da ogni possibile portavoce dell’establishment russo: dai giornalisti, dai ministri, dai servizi di sicurezza e dalla società petrolifera di proprietà dello stato, la Gazprom” (pp.56).
La reazione delle autorità russe evidentemente era stata sottovalutata. Greenpeace intendeva e intende contrastare le trivellazioni nell’Artico, con tutto quello che ne potrà conseguire a livello di ecosistema planetario; ma il celebre Martin Sixsmith, un profondo conoscitore della realtà russa, ha spiegato senza mezzi termini cosa anima l’establishment post sovietico: “Putin sa bene che la sua personale fortuna è legata all’economia, e l’economia consiste in gas e petrolio. Ha puntato tutto su un’unica carta; e perdere sarebbe una vera tragedia”. Da qui i motivi della violenta repressione degli ecologisti: “Se arrivate voi e iniziate a protestare contro le conseguenze ambientali della sua strategia energetica, allora sì che va su tutte le furie. Ecco perché ora siete nei guai” (pp.166). Anche le parole Pavel Litvinov, già dissidente sovietico e padre di Dima, dicono molto della Russia di oggi: “Per quanto possa sembrare strano, lo stato sovietico ai miei tempi, sotto Brèžnev, si sforzava di rispettare la legge – non i diritti umani, ma la legge – più di quanto non faccia ora. Ora è tutto molto più arbitrario […] Il regime di Putin si base molto di più sull’improvvisazione. E’ questo che lo rende più temibile” (pp.100).
Con queste premesse la strategia dei dirigenti di Greenpeace, per settimane sorvegliati a vista dai servizi segreti, ha dovuto seguire diverse strade: una campagna globale di mobilitazioni in rete e davanti alle ambasciate, gli appelli di undici premi Nobel, Paul McCartney e di altri artisti, la diffusione dei video dell’assalto, ricorsi in sede giurisdizionale al Tribunale internazionale per il diritto del mare e alla Corte permanente di arbitrato; ma nello stesso tempo dare la possibilità a Putin di fare un passo indietro senza perdere troppo la faccia.
Una strategia che ha funzionato: seppur con tutta calma e con mille distinguo, gli attivisti, in previsione delle Olimpiadi invernali di Sochi, hanno beneficiato di una sorta di amnistia. La liberazione di Andrey Allakhverdov, Dima Litvinov, Sini Saarela, Frank Hewetson, Alexandra Harris, Peter Henry Willcox, Camila Speziale e degli altri “Artic 30” probabilmente ha evitato ulteriori imbarazzi al regime post-sovietico di Putin; ma non altro. Greenpeace continua la sua battaglia contro le trivellazioni nell’Artico e, a quanto pare, le incarcerazioni e la campagna diffamatoria non hanno pagato.
Edizione esaminata e brevi note
Ben Stewart, è stato giornalista dell’anno del Guardian e vive a Londra. È un attivista per la protezione dell’ambiente ed è stato protagonista di clamorose azioni di protesta e sensibilizzazione organizzate da Greenpeace.
Ben Stewart, “Non fidarti, non temere, non pregare”, Edizioni E/O (collana Dal Mondo), Roma 2015, pag. 352. Prefazione di Paul McCartney. Traduzione di Luca Briasco.
Luca Menichetti. Lankelot, novembre 2015
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