Talbot Michael

Vivono di notte

Pubblicato il: 26 Novembre 2011

Di vampiri, a partire da quelli di Polidori, per poi passare dal classico di Stoker e per finire ai vampiri adololescenziali delle saga Twilight, ne abbiamo conosciuti veramente tanti per un genere che pare non voler proprio morire come i loro eroi, a volte totalmente negativi, a volte più misteriosi ed enigmatici che realmente crudeli e desiderosi di banchettare col genere umano. La Gargoyle con “Vivono di notte”, preso atto che il vampirismo in letteratura è il racconto di un mito con innumerevoli variazioni su tema, ci propone i succhiasangue di Micheal Talbot, autore dalle nostre parti ancora misconosciuto. Non sono in grado di spiegare i motivi per i quali Talbot in Italia fino ad oggi sia stato così sottovalutato, a fronte di mediocri autori molto di moda: è una constatazione però che il personaggio, non semplicemente romanziere, ma divulgatore della “scienza olografica” e di paranormale, morto ancora giovane per le conseguenze della sindrome Hiv, abbia tutte le carte in regola per essere citato anche da noi come uno dei più validi scrittori contemporanei di “scienze fiction” e di romanzo gotico.

Di un “gotico” del tutto particolare, almeno per coloro che avessero letto il suo “Vivono di notte”. Lo stile scelto da Micheal Talbot contribuisce a creare un clima di coinvolgimento misto a sentore di ambiguità: anche la narrazione in prima persona, affidata al dottor Gladstone, evita il rischio presente in molti romanzi cosiddetti “di genere” costruiti tutti sulla trama, nei quali la terza persona li rende spesso anonimi, ripetitivi ed alquanto freddini. La vicenda, giustamente inquietante come si conviene ad un racconto che vede protagonisti dei vampiri, prende le mosse nella Londra vittoriana. Qui vive il dottor John Gladstone, la cui vita condizionata fin dalla giovane età da un genitore severo ai limiti della crudeltà, dall’incontro con lo spregevole professor Hardwicke e dalla tragica malattia di una moglie poco in linea con i canoni vittoriani, ci viene raccontata a lungo quale necessaria introduzione di una vicenda poi tutta incentrata dall’incontro col mondo del vampiri.

Il medico, ormai vedovo, quasi a voler replicare al destino che gli ha sottratto la moglie, è diventato un famoso virologo impegnato ad isolare un pericoloso virus, la Camillus influenzae, tale da impedire la generazione di anticorpi. Inoltre si occupa da solo delle due figlie, Ursula e Camilla. Quest’ultima è un’idiot savant, ritardata mentale, cieca, ma col talento di suonare il pianoforte in maniera straordinaria senza aver mai ricevuto alcun insegnamento. Una notte Gladstone investe con la carrozza un misterioso ragazzo di origini italiane. Dopo un ricovero caratterizzato da innumerevoli stranezze (il paziente non mangia, le ferite si rimarginano subito, ha una temperatura glaciale, insiste per non essere esposto alla luce del sole) il dottore deciderà di ospitare il convalescente nella sua casa anche per capire qualcosa di più su questo personaggio dall’aspetto tanto angelico quanto in possesso di doti fuori dal comune. Niccolò, questo il nome del misterioso italiano, dopo essere entrato in confidenza con i suoi ospiti, confesserà, ad un dottore sempre più ipnotizzato dalle sue stranezze, di essere un vampiro.

Pochi giorni dopo aver raccontato alcuni momenti della sua vita secolare, a fronte di un Gladstone ben intenzionato a studiare scientificamente il suo nuovo amico, Niccolò, con uno stratagemma, fugge portando via con sé la figlia Camilla e la provetta contenente il virus letale della Camillus. Al momento di iniziare l’inseguimento del vampiro appare Lady Hespeth Dunaway, una donna eccentrica anche nell’aspetto, la quale racconta come Niccolò le abbia sottratto Ambrose, il suo unico figlio di nove anni, idiot savant pure lui. Gladston e la sua nuova amica, più misteriosa ed ambigua di quanto si possa inizialmente pensare, si recheranno quindi a Parigi dove riusciranno a scovare una comunità di vampiri ben mimetizzata nei quartieri della città e, da prigionieri e poi da fuggitivi, a conoscere la loro realtà millenaria. A questo punto, per non rovinare quei colpi di scena che si presenteranno al lettore, è giusto fermarsi e ricordare semmai perché “Vivono di notte” ci è piaciuto. I vampiri di Talbot, malgrado quanto letto inizialmente su Niccolò, non sono affatto come li abbiamo conosciuti con i più noti classici dell’horror. E’ vero che anche l’autore americano, nel raccontare i suoi succhiassangue, pare seguire le più recenti contaminazioni tra fantastico e matrice positivista e scientifica, ma probabilmente c’è qualcosa di più. Non possiamo sapere cosa passasse per la mente di Talbot quando scriveva il romanzo, ma è difficile non pensare alla sua di malattia ed alla sua condizione di “diverso” quando si legge del vampiro De Eisseintes divenuto tale a seguito di trasfusione ed a uno dei temi del romanzo: la mutazione genica del virus “Camillae”. Stesso concetto quando leggiamo nelle parole del vampiro: “Gli esseri umani temono tutto ciò che non è esattamente come loro. Basta andare in una qualsiasi scuola del Regno Unito per vedere che perfino i bambini trattano chi è diverso da loro con crudeltà medievale […] Questo accade perché gli esseri umani sono creature miseramente insicure e spaventate”.

Inoltre nulla a che vedere con aglio, croci, paletti di frassino: i vampiri si scoprono pian piano come una razza che convive con l’uomo da millenni, quali creature superiori in possesso di una sapienza che da un lato ha accompagnato il progresso artistico e scientifico dell’umanità, e dall’altro vuole confondere le menti degli umani. Leggiamo a pag. 240: “Le orchidee sono molto simili ai vampiri. Sono chiamati parassiti eppure non uccidono il loro ospite […] Sono creature rare e delicate, e crescono in luoghi nascosti”. Ed ancora su Notre-Dam: “E’ vero, mon ami. Se esaminate i portali, scoprirete che sono di un’incredibile fattura. Le cesellature sono continue, non vi e’ traccia di brasature o saldature. Ciò significa che ogni portale fu realizzato da un’unica lastra di acciaio. Suppongo che sia questo il motivo per cui nel Medioevo Biscornet fu considerato un demonio. I fabbri dell’epoca non possedevano tali conoscenze. Per loro solo le fiamme dell’inferno avevano potuto forgiare questi portali. Ovviamente non c’era nessun demone. Fu un vampiro a realizzare il lavoro”.

Vampiri sono stati artisti, scienziati ma anche religiosi, nelle cui comunità si potevano vedere delle immagini mistiche – qui si coglie come qualcosa di blasfemo ed appena accennato – che avevano un che di inquietante ed appunto di vampiresco. Vampiro, nel racconto di De Eisseintes, fu anche papa Silvestro II, poi “morto” con uno stratagemma. Tutto come in un gioco circolare di specchi fino a giungere appunto ad un finale sorprendente ambientato nelle campagne toscane e che mostra ancora una volta come i vampiri incontrati dal dottor Gladstone abbiano proprio poco a che vedere anche con quanto si poteva immaginare dalle descrizioni presenti all’inizio del romanzo. Sintesi della personalità di queste creature poi nemmeno del tutto notturne e della vicenda che si concluderà dopo ripetuti colpi di scena sono le parole di Niccolò, confermate al termine del romanzo da Ludovico, il vampiro apparentemente più inafferrabile: “Mai fidarsi dei vampiri, qualsiasi cosa dicano o facciano è mirato al raggiungimento dei loro scopi. Intraprenderanno un gioco mentale crudele ed enigmatico che starà a voi sciogliere, come un nodo gordiano”.

Edizione esaminata e brevi note

Michael Talbot (1953 –1992) è stato uno scrittore statunitense, autore di diversi libri che cercavano di dimostrare un parallelismo fra l’antico misticismo e la meccanica quantistica e portavano avanti un modello teorico di realtà che assimilava l’universo fisico ad un gigantesco ologramma.

La sua opera scientifica più nota è “Tutto e’ uno – The Holographic Universe” (Apogeo, 1991), mentre di narrativa ricordiamo anche “Night Things” e “The Bog”. E’ scomparso a soli 38 anni per una leucemia fulminante, conseguenza della sindrome dell’HIV di cui era affetto.

 Michael Talbot, Vivono di notte, Gargoyle, Roma 2011, p. 317, trad. Cristina D’Orazi.

 

Luca Menichetti. Lankelot, novembre 2011