Walter Tocci deve voler molto bene al Partito Democratico, o meglio all’idea di come dovrebbe essere il Partito Democratico: ha votato contro la schiforma costituzionale del governo Renzi, non si è accodato ai desiderata del rottamatore – riciclatore, ma nonostante tutto è ancora lì a fare opposizione interna – ammesso che in quel partito sia ancora possibile fare opposizione – pur sapendo che le liste elettorali prossime venture saranno appannaggio dei tirapiedi del premier. Una posizione eretica quella di Tocci che si manifesta in pieno col suo “La scuola, le api e le formiche” (“in natura ci sono due comunità operose: le formiche che curano la vita in comune e le api che scrutano nuovi paesaggi”), opera impietosa che, pur presentata come una sorta di manuale per i riformatori dell’istituzione scolastica, svela le mistificazioni della cosiddetta “Buona scuola”. Precisiamo: il libro non è semplicemente un pamphlet, ma si arricchisce di osservazioni, di analisi e di un linguaggio che, pur del tutto comprensibili, devono molto alla sociologia e alla pedagogia. Dobbiamo aggiungere che Tocci non infierisce del tutto sul rottamatore-riciclatore, e anzi gli riconosce un atteggiamento volitivo e un particolare impegno proprio sui temi della scuola; salvo poi tirare le somme di quanto combinato: non soltanto la “Buona scuola” viene definita una riforma mancata e quindi tutt’altro che innocua, ma poi si entra nel merito della scarsità di proposte davvero innovative e si evidenziano gli aspetti che invece potranno complicare la vita dei professori e degli studenti; oltretutto nella considerazione che rimangono tutt’ora invariati problemi strutturali come la disuguaglianza nell’accesso, il sistema dei cicli vecchio e ridondante (quello che “costringe i giovani a rimanere a scuola in anno in più, perdendo nelle superiori i buoni risultati raggiunti dalle elementari”), la regressione dell’apprendimento negli adulti, il neo-anafalbetismo di ritorno (proprio non contemplato in tempi di narrazioni rassicuranti e tecnologiche). In altri termini l’unico vero cambiamento si sarebbe manifestato nella comunicazione governativa, condotta a suon di “storytelling” (“stereotipi da talk-show applicati rozzamente all’ordinamento scolastico senza riguardo per la sua complessità”), mentre in sostanza si è scelto di proseguire su una vecchia strada: “poche decisioni e tante leggi, spesso sostenute dal marketing luccicante” (pp.VII), tanto che il mondo della scuola, ancora una volta, dovrà armarsi di quella che Tocci definisce una “disincantata saggezza”, già messa in campo per difendersi dalle “riforme epocali”. E ora necessaria per difendersi dallo storytelling del cambiamento, del nemico gufo e di “riforme finte che sembrano vere solo perché suscitano controversie mediatiche” (pp.19). “Vecchie novità che riprendono norme già in vigore e in molti casi le complicano inutilmente” (pp.16).
Riforma quella della “Buona scuola” che quindi di epocale non avrebbe nulla – noi l’avevamo capito da tempo anche senza leggere le parole di Tocci – e che svela la sua modestia fin dalla politica delle assunzioni: “Si è scambiata l’offerta con la domanda, assumendo gli insegnanti per assorbire le graduatorie invece che assumerli in base ai fabbisogni delle scuole. Paradossalmente il governo ha seguito una logica ‘sindacalese’ che neppure i sindacati hanno sostenuto” (pp.6). Ed ancora: “Il ‘decisionismo purchèssia’ [ndr.: secondo l’autore una delle forme disastrose di decisionismo che sono frutto dell’idea di un uomo solo al comando] non può essere la terapia, è solo il segno che la malattia rischia di diventare cronica. L’accanimento delle finte riforme non solo peggiora le cose, ma rivela una difficoltà più profonda della classe politica a governare la scuola” (pp.23). Una realtà che, paradosso dopo paradosso, svela l’opposto di quanto propagandato e, a volte, di quanto contestato superficialmente dagli stessi critici della riforma: “sotto i veli della retorica modernista c’è un rigurgito di statalismo scolastico, non solo nell’esuberanza legislativa, ma anche nella riduzione curriculare e formale dell’istruzione […] in un territorio che sembra abitato solo da famiglie e imprese, per lo più come soggetti fiscali” (pp.62). Un’Italia che, sempre secondo Tocci, ha subito il netto fallimento dei cosiddetti “economisti di palazzo”, oltretutto limitati nel loro dogmatismo, e che ora rischia di vedere una scuola sempre più condizionata dalla burocrazia (“torna il vecchio vizio di aggiungere funzioni nuove senza mai cancellare quelle vecchie”), criteri di premialità che, ben lungi dall’essere meritocratici, saranno in mano a “un gruppo di genitori, di docenti e di studenti, una sorta di Soviet degli operai e dei contadini sprovvisto di qualsiasi competenza metodologica e condizionato da una commistione tra valutati e valutatori. Proprio la mancanza di oggettività e di terzietà espone l’incentivo a logiche opportunistiche e di potere”. Con la possibilità del “sei politico, paradossalmente tanto temuto dal governo” (pp.14). Secondo Walter Tocci la società italiana, sopratutto nel dopoguerra, è progredita anche grazie ai tanti saperi informali e, quando tutto si riduce a dubbie alchimie normative che si affidano totalmente alla cosiddetta modernità (che ha portato la scolarizzazione di massa ma nel contempo ha distrutto un certo “ecosistema sociale”), allora si comprende il senso di quella che sembra una provocazione: “E’ il terremoto antropologico del paesaggio culturale italiano, che i poeti – da Montale, a Pasolini, a Zanzotto – comprendono prima e meglio degli analisti della società” (pp. 98). Figuriamoci poi in confronto agli autentici dilettanti che ci governano
Edizione esaminata e brevi note
Walter Tocci, (Poggio Moiano, 1952), laureato in fisica e in filosofia, ha lavorato come ricercatore presso l’azienda di telecomunicazioni Selenia. E’ senatore della Repubblica. Nella sua qualità di membro della Commissione parlamentare per l’Istruzione ha partecipato alla discussione sulla legge per la scuola del governo Renzi. È stato vicesindaco di Roma e assessore alla Mobilità. Ha accompagnato l’impegno politico con una produzione culturale che riguarda le politiche urbane, i temi politico-istituzionali e la cultura scientifica.
Walter Tocci,“La scuola, le api e le formiche. Come salvare l’educazione dalle ossessioni normative”, Donzelli (collana Saggine), Roma 2015, pp. XI-208.
Luca Menichetti. Lankelot, novembre 2015
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