Travaglio Marco

Per chi suona la banana

Pubblicato il: 19 Marzo 2009

A volte basta la lettura di poche righe per non farci pentire dell’acquisto di un libro: “Spazia con la stessa incompetenza su tutti gli argomenti dello scibile umano” (pag. 101).
Quale lettore del Corriere della Sera mi sono sempre chiesto perché mai al prof. Angel Whitebread, autore di editoriali fotocopia, pieni di impegnativi quanto evanescenti concetti come liberalismo, riformismo, per lo più fossero risparmiate le repliche di tutti coloro i quali, ancora non del tutto svincolati dalla realtà, dovevano aver pur chiaro quanti racconti surreali venivano scritti e spacciati per analisi competenti.
Meno male allora che qualcuno si è accorto delle caratteristiche fantasy di questi editoriali, altrimenti ci saremmo sentiti veramente troppo soli.
Un certo senso conforto si prova anche con lettura degli altri articoli facenti parte di “Per chi suona la banana”, tratti dalle rubriche dell’Unità, chiamate “Uliwood Party” quando “sgovernava” l’Unione suicida e poi “Ora d’aria” da quando “risgoverna” S.B.(tessera n.1816) .
Il Cavalier Bellachioma, Al Tappone, Cainano, l’on. TremeBondi, Crudelia Salmon, Piercasinando, Polito Margherito, Uòlter, come in una galleria degli orrori, sono i protagonisti di un’impietosa cronaca politica scandita dal marzo 2007 al settembre 2008, a cavallo “tra i dodici mesi finali dell’Unione Brancaleone” e i primi sei del Berlusconi III (“I primi spiegano i secondi. I secondi non sarebbero stati possibili senza i primi”).
Ovvero l’onorevole Betulla, l’avvocato Taormina, Pio Pompa (“T’amo Pijo Pompa”) e il suo patrono Padre Pijo, il Ciarra, il lodo Mangano, Fiorani …
Ed anche qui meno male che la penna di Travaglio, con le sue rappresentazioni immaginifiche e grottesche, riesce a strapparti delle grasse risate; altrimenti sarebbero dolori: il fatto di amplificare la vena comica che caratterizza le imprese dei nostri barzellettieri di governo almeno non ci fa incupire oltre misura.

Non sarebbe neppure corretto raccontarvi questi articoli soltanto come dei brillanti pezzi di cabaret.
Per fortuna c’è di più e questo di più si chiamano informazioni, fatti che rendono Travaglio un cronista del malcostume piuttosto che un editorialista e teorico dei massimi sistemi.
Un cronista così, che apparirà pure compiaciuto nell’infierire sui tapponi, rappresenta una rarità nell’attuale panorama di informazione reticente e spesso inesistente (oggi l’utopia – lo sappiamo – è un Porta a Porta dedicato a David Mills).
Se poi il Travaglio analista risulterà meno convincente del Travaglio cronista, certo questo non potrà sminuire il valore e l’importanza di questi aggressivi e divertenti articoli di denuncia.
Un valore che risiede soprattutto nell’aver evidenziato il paradosso di una politica in cui convivono gli interessi privati di pochi travestiti da grandi principi etici (“per la libertà”) e da lì una contrapposizione che si rivela spartizione.
In “Per chi suona la banana”, se è vero che risaltano con maggiore evidenza le responsabilità di chi ha interpretato le istituzioni come un consiglio d’amministrazione, tra una barzelletta e un appello per la libertà (di farsi gli affari propri), altro pregio degli articoli è la mancanza di remore nel colpire a destra e a manca, indipendentemente dal colore del governo in carica. Ovvero voler interpretare il giornalismo non come ufficio stampa del potente di turno ma come necessario servizio di verità.
Il libro, proprio perché raccolta di articoli che ci documentano giorno per giorno le vicissitudini surreali della politica italiana, ci permette di valutare il giornalismo di Travaglio probabilmente meglio rispetto tante opere a tema come “Inciucio”, “Regime” e così via: mentre l’abbondante produzione editoriale ha comportato lo svantaggio di dover rileggere più volte le malefatte dei soliti noti, gli articoli presenti in “Per chi suona la banana” ci presentano un narratore praticamente hard boiler (racconti di gangsters) che, con l’immediatezza dell’articolo di fondo, si mostra totalmente dedito alla sua missione di crocifiggere i furbastri che bazzicano Palazzo Madama e Palazzo Montecitorio (“Liberté, illegalité, impunité”).
In Travaglio è evidente l’esercizio di un giornalismo poco consueto in Italia, nello smascherare con l’evidenza dei fatti le balle e l’attività ipnotica di chi usa la disinformazione come essenziale strumento per la gestione del potere (non è il caso di chiamarla politica), ma anche il nostro autore non è che poi si possa considerare esente da critiche.
Non mi riferisco ad una questione di toni o di stile, che possono piacere o meno, quanto ad alcune affermazioni, presenti anche nel libro, che non ritengo siano proprio coerenti con quanto si legge nel suo apprezzabilissimo “La scomparsa dei fatti”.
Mi riferisco ad esempio a Beppe Grillo.
Sappiamo tutti del nuovo ruolo che l’ex comico genovese (per i maligni ora più comico di prima) si è costruito negli ultimi anni.
E Travaglio, almeno fino ad ora, è rimasto in eccellenti rapporti con lui, supportandolo in molte iniziative (vedi Vday) e apparendo come ospite nel suo blog.
Certo se si analizzassero nel dettaglio le dichiarazioni e gli scritti del giornalista e del (ex?) comico troveremmo molte affermazioni dei due poco compatibili, forse diverse sensibilità (vedi politica estera, complottismo e così via); sicuramente non quella comunanza di idee e di intenti così spesso sbandierata.
Cosa del resto normale: condividere alcune o molte battaglie civili, ammesso che lo siano sul serio, non vuol dire pensarla allo stesso modo su tutto. E’ un’ovvietà anche soltanto ribadirlo.
Meno ovvie e scontate sono semmai alcune affermazioni che si leggono negli articoli di Travaglio proprio su Grillo, il quale, forse nella sua veste di antipolitico o autentico politico opposto alla cosca dei furbastri, non si è mai beccato una tirata d’orecchi, nemmeno quando magari se la sarebbe meritata.
Prendiamo pag. 153: “Ci sono due modi per reagire ai sondaggi che danno la popolarità del governo in picchiata: prendersela con Grillo che fa il gioco della destra….come se il suo bersaglio prediletto non fosse lo psiconano…”.
Non mi pare che le cose stiano proprio così.
In verità, per chi è stato attento alle performances del comico, qualche affermazione discutibile o facile ad essere equivocata in buona fede, il nostro Grillo ogni tanto (o spesso) ce l’ha fatta sentire.
Il fatto che poi si possano considerare affermazioni non particolarmente gravi è un conto; come è un conto che delle frasi poco felici siano state amplificate a dismisura dagli organi di informazione (o di disinformazione) e dai politicanti intenti a smontare – malamente – l’onda dei grillini incazzati.
In altri termini: una cosa è denunciare l’interessato sputtanamento di Grillo per delle frasi o iniziative infelici, altro è soprassedere sul fatto che siano state dette.
Non è per fare il processo alle intenzioni, tanto più di una persona scomparsa, ma ritengo che il Grillo di oggi difficilmente sarebbe piaciuto a quel Montanelli che tutti dicono maestro di Travaglio.
Mi torna in mente la considerazione che Montanelli aveva di Bossi: una febbre, un sintomo di cui la politica doveva assolutamente tenere conto, ma non certo una medicina per i problemi del paese.
Non si può essere indovini e sapere cosa avrebbe pensato adesso Montanelli del Grillo agitatore della piazza, a lui che le piazze proprio non amava, ma è ragionevole dubitare di suoi particolari entusiasmi.
A questo punto molti di voi mi potrebbero obiettare che cosa c’entri tutto questo col libro, non fosse altro che – legittimamente – “maestro e “allievo” possono benissimo avere idee e sensibilità diverse.
E’ vero che i tempi cambiano, ma questi elementi, il fatto che in questi anni gli interessi professionali di Travaglio si siano incentrati per lo più sulla cronaca giudiziaria, su un attentissimo vaglio di documenti processuali e non, ci fanno dire che il giornalismo di Montanelli e quello del suo antico collaboratore, adesso in prima linea nel supportare le iniziative di un Grillo, non è che poi abbiano molto in comune, malgrado anche per “chi suoni la banana” si sia tirata fuori la storia del maestro e dell’erede; il giornalista toscano tra l’altro non che abbia mai avuto veri discepoli, nonostante l’attuale e sospetta proliferazione di allievi postumi, ma semmai solo alcuni colleghi, e neppure molti, che hanno colto il suo più importante insegnamento: essere al servizio del lettore e di nessun altro.
In questo senso Travaglio, pur con qualche mancanza e forse qualche eccessivo compiacimento per il suo ruolo di fustigatore, naturalmente facilitato dalla diffusa repulsione per gli affiliati alla cosca politica, possiamo ben dire che abbia compreso la lezione del suo vecchio direttore.

“E’ troppo pretendere che qualcuno, nel nostro paese che di partiti democristiani ne ha una dozzina, senza contare le orde di ateoclericaldivorziati in coda per il Family Day con amante al seguito, parli e faccia come Aznar, la Merkel, Andreatta, Scalfaro? Cosa abbiamo fatto di male per chiedere di poter morire almeno democristiani?” (pag. 13)

Edizione esaminata e brevi note

Marco Travaglio ha scritto sul Giornale, La Voce, adesso scrive su Repubblica, l’Unità e Micromega (“oggi la vera divisione tra i giornalisti non è fra destra e sinistra ma “fra schiene dritte e schiene curve, o quantomeno flessibili”). Tra le sue opere, “Bananas” (Garzanti, 2003), “Montanelli e il Cavaliere” (Garzanti, 2004), “Berluscomiche” (Garzanti, 2005). Con Saverio Lodato, “Intoccabili” (Bur, 2005). Con Peter Gomez, “Regime” (Bur 2004), “Inciucio” (Bur, 2005), “Le mille balle blu” (Bur, 2005) e “Onorevoli Wanted” (Editori Riuniti, 2006). I suoi più recenti successi sono “Bavaglio” (Chiarelettere 2008) e “Mani sporche” (Chiarelettere 2007, con Gianni Barbacetto e Peter Gomez). Altri suoi libri, tra i tanti, sono “La scomparsa dei fatti” , “Uliwood party”, “L’odore dei soldi, “Bravi ragazzi”.

Marco Travaglio, Per chi suona la banana. Il suicidio dell’Unione Brancaleone e l’eterno ritorno di Al Tappone, Garzanti 2008, pag. 523.

Recensione precedentemente pubblicata su ciao.it il 18 marzo 2009 e qui parzialmente modificata

Luca Menichetti. Lankelot, marzo 2009.