Così scriveva Marco Travaglio in un suo editoriale del novembre 2014: “Che nostalgia del Renzi che vinceva – nel partito, nel paese e nelle urne (europee) – promettendo più democrazia, più pulizia, più trasparenza e più partecipazione per uscire insieme dalla crisi […] Otto mesi a Palazzo Chigi sono bastati a trasformarlo nel suo contrario: izneR oettaM, l’Ogm di se stesso, una via di mezzo fra un ducetto e una macchietta che ogni giorno si fa nuovi nemici e, se non li trova, se li inventa. Il tutto per cercare di frenare una crisi di consensi che comincia a notarsi pure nei sondaggi, conseguenza inevitabile di promesse al vento, logorrea smodata, arroganza rancorosa, ignoranza al potere e risultati catastrofici. promesse al vento, logorrea smodata, arroganza rancorosa, ignoranza al potere”. Tutto condivisibile se non fosse per la parola “nostalgia” che alcuni lettori proprio non si aspettavano da Travaglio, cronista criticabile finché si vuole ma rigoroso, informato e tutt’altro che ingenuo. A quanto pare l’idea della rottamazione, e soprattutto la polemica nei confronti di una dirigenza politica inamovibile, aveva fatto perdere di vista l’attualità dell’adagio “al peggio non c’è mai fine” ed evidentemente, pur con molti se e molti ma, in prima battuta ed anche agli occhi dello scafatissimo Travaglio, Renzi è stato valutato come utile strumento per scardinare inciuci ed almeno una parte degli inossidabili privilegi di casta. Illusione durata davvero poco. Basti leggere alcuni passaggi dalla prefazione al libro di Vecchi: “Il self-made man è roba americana, non italiana. Il nostro self made man ha, dietro le spalle, robusti appoggi. La qual cosa non sarebbe affatto uno scandalo, se fosse dichiarato e alla luce del sole. Purtroppo non lo è. Ogni tanto, per puro caso o incidente, capita di scoprire qualche altarino […] Berlusconi considera Matteo Renzi il suo unico erede: populista, bugiardo e gattopardesco quanto basta” (pag. XV).
La “nostalgia” citata nell’editoriale farebbe pensare appunto ad un Renzi originario, quello che rottamava, e poi ad un Renzi 2.0, ormai entrato nel gioco sporco del potere e diventato a tutti gli effetti riciclatore, ovvero antitesi del rottamatore. La realtà è diversa, non ci sono mai stati due Renzi, semmai due distinte fasi di chiacchiera e propaganda, peraltro sempre molto efficaci, in virtù di una grande capacità di parlare alla pancia dell’elettorato, di cogliere al volo quello che la gente vuol sentirsi dire: l’avevano capito da un bel po’ i pochi (per lo più veri toscani, quindi disincantati quanto basta) che, fregandosene delle sigle e delle appartenenze del rampante di turno, si erano accorti come, anche dalle parti dello statista di Rignano, vi sia sempre stato un abisso tra le parole e i fatti. Oppure, per dirla in altro modo, che, “nella sostanza il Renzi privato è l’opposto del Renzi pubblico” (pag.60). Il libro di Davide Vecchi, al contrario di quanto affermato da alcuni organi di stampa, non è affatto il primo saggio inchiesta su Renzi e il renzismo: segue a ruota i volumi di Allegranti, Tronci e De Lucia. Rappresenta semmai un aggiornamento in merito a vicende tuttora opache e un efficace approfondimento su quanto sta via via trapelando riguardo i finanziamenti all’aspirante premier, sulla corte dei fedelissimi, sulle relazioni amicali e politiche costruite in breve tempo con personaggi noti e meno noti, e che, soprattutto all’atto pratico, sembrano contraddire le frasi da rottamatore che appena un anno fa venivano sparate ad alzo zero: “Se vinco io metto i più bravi, non i fedeli! Basta con le correnti e gli amici degli amici!”. Allora come non ricordare le lettere di dimissioni del compianto Pier Luigi Vigna e di Claudio Fantoni, l’uno consulente alla sicurezza, l’altro assessore al Bilancio del Comune di Firenze? Davide Vecchi, come del resto aveva fatto Duccio Tronci, cita le parole degli ex collaboratori del sindaco Renzi, inviperiti e consapevoli che per il futuro premier la città di Firenze rappresentava il trampolino di lancio per conquistare la scena nazionale, non molto altro; e quindi – mentre c’era chi saliva su un carro che proprio non contemplava la rottamazione del do ut des – tanti saluti alla trasparenza, agli equilibri di bilancio, ai famosi cento punti della Leopolda. “L’intoccabile”, un titolo che vuole significare il sostegno dei tanti editori “impuri” d’Italia ad un presunto outsider della politica, è la cronaca puntuale del sistema Renzi, scambio opaco tra interessi politici e conoscenze personali. Un sistema che, fin dagli esordi alla Presidenza della Provincia di Firenze, ha voluto dire società pubbliche come la Florence Multimedia, assunzioni disinvolte, missioni nazionali e internazionali costossime (la Corte dei Conti a riguardo ha ancora il suo da fare), un fiume di denaro pubblico speso quasi tutto per promuovere l’immagine di rottamatore, con buona pace dei conti dissestati e di coloro che poi hanno dovuto rimediare alle marachelle del giovane twittatore.
Fiumi di denaro che sono passati anche dentro associazioni come Link e Festina Lente, supportate sempre dal fedelissimo Marco Carrai (guarda caso nominato regolarmente alla guida di controllate pubbliche), la Fondazione Bing Bang ed altre strutture private in merito alle quali qualcosa continua a sfuggire: ad esempio il finanziamento del milione di euro raccolto tra il 2007 e il 2011, e di cui chiede conto Davide Vecchi. Il libro infatti si conclude con dieci domande, un po’ come quelle rivolte tempo fa da Repubblica a Berlusconi e che, salvo qualche risposta molto vaga, pare siano state minimizzate sia da Renzi che dal suo staff. Anche da questo punto di vista la tradizione continua. Aspetto ancora più interessante è che Travaglio, sempre nella prefazione dell’Intoccabile, ha posto altre domande, nemmeno troppo retoriche, che delineano bene le linee dell’inchiesta di Davide Vecchi sul Renzi meno conosciuto, ancora misterioso e sostanzialmente riciclatore: “Basta il fatto che lo Spregiudicato di Rignano abbia sdoganato il Pregiudicato di Arcore a spiegare tanta corrispondenza di amorosi sensi? O c’è qualcosa nel loro passato che dobbiamo ancora scoprire? […] Che ci faceva un uomo delle operazioni riservate Cia come Michael Ledeen al matrimonio di Carrai, in mezzo a banchieri, prelati, alti magistrati, imprenditori, nobiluomini, giornalisti, editori, top manager, finanzieri, faccendieri, oltre naturalmente a Matteo, premier e testimone dello sposo, impegnato proprio in quei giorni a dipingersi come vittima inerme e piagnucolante dei “poteri forti”? […] Oltre alla squadra di governo che tutti purtroppo vediamo, formata da ragazzotti e fanciulle tanto mediocri e ignoranti quanto pretenziosi e arroganti, ce n’è un’altra che dirige il traffico da dietro le quinte?” (pag. XV).
E’ vero che periodicamente scatta qualche necessaria polemicuccia tra Silvio e Matteo (le proprie truppe vanno sempre rassicurate), ma è un dato di fatto che la “corrispondenza di amorosi sensi” tra i due ci sia stata eccome e ben prima del Nazareno, fonte di quel patto che i più perfidi interpretano tipo: “tu evita che i miei interessi aziendali vengano compromessi, fai in modo che mi sia restituita l’agibilità politica e io, in cambio [ndr: finché mi farà comodo], ti lascio governare frenando i miei trinariciuti di destra. Insomma potrai fare quello che a me in questi anni non è stato permesso fare; e per di più insieme riformeremo la costituzione, ovvero metteremo le basi per vent’anni di governi a guida Renzi. E’ che ho tra i piedi questi qua ma, fosse per me, non avrei problemi ad iscrivermi al Pd e a darti consigli su come gestire il partito”. Probabile infatti che di questi tempi il nostro premier abbia bisogno di qualche dritta. I sondaggi non sono più rosei come qualche mese fa ed ora l’ex rottamatore ci dice: “E’ naturale che la fiducia cali quando si cambia”. Giusto, soprattutto quando si cambia in peggio. E’ altrettanto vero però che il berluscone e il berluschino non sono poi così uguali: il primo è diventato politico per necessità, sfoderando lo stile delle televendite anni ottanta; il secondo è politico per vocazione (altre attività professionali non pervenute) e che, grazie ai cinguettii di twitter, alla parlantina irrefrenabile e al culto della velocità in opposizione ai gufi rosiconi, ha mostrato, rispetto al predecessore Silvio, argomenti mediatici ancora più efficaci per attrarre gli elettori del 2014. Almeno rispetto coloro che hanno ancora lo stomaco di votare. Da questo punto di vista, iniziando a scavare dentro il passato meno noto della carriera di Renzi, il libro non si limita a ricordare i più recenti “Enrico stai sereno”, oppure quando il nostro andava per le scuole fiorentine, parlava e si faceva dare le mail dei neomaggiorenni in predicato di voto, oppure ancora l’elenco dei mirabolanti annunci, il riciclaggio di coloro che a chiacchiere erano già sulla via della rottamazione, i 50 milioni di euro contenuti nello Sblocca Italia per la pista di Peretola gestita dalla Adf – quando si dicono le coincidenze – di Marco Carrai, e via e via di marachella in marachella.
“L’intoccabile” è libro inchiesta perché, oltre a raccontare di Marco Carrai, dell’avvocato Bianchi e dei tanti personaggi che gravitano intorno al “giglio magico”, si sofferma su vicende ancora tutte da approfondire e su aspetti del tutto peculiari in un politico al quale sono state attribuite capacità taumaturgiche di self made man. Soprattutto le vicende che riguardano i rapporti con l’entourage berlusconiano e l’amico Silvio in persona, quello che – ricorda sempre Travaglio – è “l’unico politico della vecchia guardia che il polemicissimo Renzi non attacca, non sfancula, non critica, non sfida, non contraria, non scontenta mai”, ed anzi non ha mai fatto mistero di apprezzare per la sua simpatia e capacità di parlare all’elettorato. Vecchi ricorda i primi contatti di Renzi con la galassia Mediaset quando giovanissimo, grazie allo zio Nicola Bovoli, ben ammanicato con le imprese del biscione, riuscì a partecipare alla “Ruota della fortuna”. Ancora più interessanti i contatti del Renzi politico alle prime armi con Denis Verdini, del quale Giovanni Galli non ha un bel ricordo: “E’ stato Verdini a consegnarmi a Renzi al Ballottaggio” (pag. 28). Dietro, secondo il berlusconiano Volpe Pasini, un calcolo squisitamente politico per una città che non avrebbe mai eletto un esponente del centrodestra; ma anche elementi ancora una volta molto curiosi: Verdini, ci racconta ancora Vecchi, partecipò alla stesura di un documento “Rosa tricolore, un progetto per vincere le elezioni politiche 2013”, ad uso di un centrodestra in cerca del successore di Berlusconi, e in cui si legge testualmente: “La sola cosa, folle o geniale, che siamo certi si potrebbe fare è il coinvolgimento del solo giovane uomo che ci fa vincere: Matteo Renzi” (pag. 29). Del resto è lo stesso Diego Volpe Pasini, una volta trapelata la notizia (forse opera di una gola profonda diniana), che ricorda la vicenda Rosa Tricolore, proposta a Berlusconi e rimasta sulla carta in quanto osteggiata da altri scherani del cavaliere; che ammette come, di fatto, Renzi e l’ex cavaliere stiano insieme al governo (ammissione di Volpe Pasini che forse non lo fa molto volpe) e che soprattutto torna a parlare del plenipotenziario forzista della Toscana: “il mio amico Verdini, è a lui che Renzi deve tutta la sua fortuna. L’ha fatto votare alle primarie del 2009 per diventare sindaco di Firenze. Ha presente il film Sliding doors? Ecco, senza Denis ora Renzi chissà che sarebbe, magari sarebbe rimasto in Provincia. Di sicuro non sarebbe premier. Renzi gli deve tutto il suo successo. Ha un debito fortissimo nei suoi confronti” (pag. 32). Il Patto del Nazareno non sarebbe altro che l’ufficializzazione di rapporti già in essere da molto tempo (si ricordano l’incontro del 2005 tra il Cavaliere e l’allora presidente della Provincia di Firenze, quello del 2010 ad Arcore, che doveva rimanere segreto), dove spicca sempre la criniera leonina di un Denis Verdini descritto come persona molto disinvolta e con stile piuttosto ruspante; qui al telefono con Fusi: “stai tranquillo: lo piglio, lo piglio, Maremma bucaiola!” (pag. 73). In fondo non bisogna dimenticare che Verdini, malgrado le sue grane giudiziarie, è uno dei padri costituenti delle riforme renziane. Una volta avevamo Calamandrei, ora Boschi-Verdini. Sarà pure un progresso, una cosa bellissima e finalmente moderna, come non mancano mai di ricordarci i fedelissimi dell’ex sindaco, ma qualche perplessità è lecita. Lo stesso cursus honorum dell’amico Denis fa un po’ pensare: da proprietario di macellerie a banchiere, politico di lungo corso, processi penali alle porte, poi ancora macellaio (questa volta della Costituzione repubblicana).
Ci sono e ci saranno altri argomenti, vicende e marachelle che in questo momento si scorgono appena e quindi molto da scoprire e da approfondire. Per ora però possiamo concludere complimentandoci con Davide Vecchi: ha scritto un bel libro che oltretutto, per sua natura, è ricco di citazioni. A riguardo, in aggiunta alle significative frasi dei loschi figuri che popolano il rinascimento renziano, crediamo ci sarebbe stata bene anche una classicissima citazione da Seneca, quella che dice: “Da un grande uomo c’è da imparare anche quando tace”. Soltanto, visti i tempi e i personaggi che vanno per la maggiore, dovrebbe essere parzialmente modificata: “Da un grande uomo c’è da imparare soprattutto quando tace”.
Edizione esaminata e brevi note
Davide Vecchi, (1974), giornalista, si occupa principalmente di cronaca giudiziaria e politica. Ha seguito, tra l’altro, la vicenda Monte dei Paschi di Siena, il caso Ruby che ha coinvolto Silvio Berlusconi, il fallimento del Credito cooperativo fiorentino di Denis Verdini e lo scandalo veneziano legato al Mose. Ha svolto inchieste su Renzi e il potere renziano, con articoli ripresi dai principali media italiani. Ha lavorato per l’Adnkronos e «l’Espresso», dal 2010 è a «il Fatto Quotidiano».
Davide Vecchi,“L’intoccabile. Matteo Renzi. La vera storia”, Chiarelettere (collana Principioattivo), Milano 2014, pag. 188. Prefazione di Marco Travaglio.
Luca Menichetti. Lankelot, dicembre 2014
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