Ventura Sofia

Renzi & Co. Il racconto dell’era nuova

Pubblicato il: 13 Giugno 2015

“Storytelling” è una delle parole anglofone più in voga e non soltanto a causa dell’immarcescibile provincialismo italiota, ma sicuramente per quanto sta accadendo sul palcoscenico della politica italiana. Difatti possiamo intendere “l’atto del narrare” in un senso forse più limitato, come semplice procedura narrativa, o altrimenti in senso più ampio: una strategia che guarda a “dinamiche di influenzamento sociale”, proprio come una scienza della narrazione applicata al marketing e alla politica. Anche Sofia Ventura, pubblicando il suo”Renzi& Co .”, con stile del tutto comprensibile e nello stesso tempo arricchito da una terminologia in uso tra i politologi, ha voluto proporci un’analisi puntuale sulla comunicazione del riciclatore di Rignano e di quanti popolano il suo “giglio magico”. Una premessa però è d’obbligo: il libro non è per nulla un pamphlet ed è opportuno ricordare come la politologa bolognese sia sempre stata considerata un cervello pensante di centrodestra, in seguito vicina alle posizioni di Fini e infine simpatizzante del Renzi rottamatore. Da qui una sua frase parzialmente profetica: “Innovativo, nel vuoto di leadership molti elettori di destra lo voteranno”. Se non un vero e proprio endorsement poco ci manca; e in merito all’Italicum e alle contestate riforme istituzionali ricordiamo ancora che la Ventura, evidentemente tutt’altro che preoccupata per l’operato dei riformatori Boschi-Verdini, tempo fa ha avuto un duro scambio polemico con la professoressa Lorenza Carlassare, costituzionalista dell’Università di Padova e fiera avversaria dei pasticci imbastiti dalla maggioranza renziana. Nel rileggere le parole della più anziana professoressa, un duello non proprio in punta di fioretto: “Mi rallegro di essere collocata fra i conservatori visto che, nella sua ottica, un illustre politico come Silvio Berlusconi è certamente da collocare tra i progressisti […] Il popolo non è un tutto unitario, io certo non lo penso ed anzi insieme alla migliore dottrina costituzionalistica mi sono sempre battuta contro tale concezione sostanzialmente autoritaria, che sta alla radice dell’ idea ancora di moda della “democrazia immediata […] Troppe pagine ci vorrebbero per rispondere alla prof. Ventura e chiarirle parole e concetti della Costituzione con le quali i politologi sembrano non avere sempre dimestichezza” (dal Fatto del 29 gennaio 2014). Al di là della polemica del momento e di alcuni aspetti delle riforme in atto che probabilmente sono stati riconsiderati, c’è da dire che, in “Renzi & Co.”, la prof. Ventura conferma ancora l’idea che certe caratteristiche di leadership non rappresentino affatto un’anomalia: “anche l’Italia è stata investita da quei processi di presidenzializzazione (Calise 2005; Ventura 2010) che hanno caratterizzato, con modalità e intensità diverse da caso a caso, la democrazie occidentali e Silvio Berlusconi prima e Matteo Renzi poi di quei processi sono, senza dubbio alcuno, stati interpreti […] Una democrazia non solo presidenzializzata e personalizzata, ma anche dominata da una politica fortemente mediatizzata” (pp. 15). Ancor più esplicitamente la prof. Ventura scrive che Renzi “adotta modalità comunicative che nella sinistra vengono percepite, con un certo provincialismo,come berlusconiane, ma che in realtà appartengono alle forme di comunicazione delle democrazie contemporanee, in particolare di grandi paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna o la Francia” (pp.7). Fatta questa premessa, lo studio della “narrazione” renziana e della mistica del rinnovamento, prendendo spunto dai tweet, dalle interviste, dai monologhi, dagli articoli di giornalisti “amici”, ci dice che la fiaba del rottamatore senza paura inizia a zoppicare e che l’esibito ottimismo ormai non basta a nascondere una realtà tutt’altro che rosea: il libro prende in esame prima la struttura di racconto di governo, “l’interpretazione” del ministro Boschi e dei “comprimari”, e poi prosegue con l’analisi qualitativa delle interviste rilasciate da Renzi, dai ministri del suo governo, con la “narrazione” dell’attività di governo, anche attraverso giornali come “Oggi”, “Vanity Fair, “Chi” e trasmissioni d’intrattenimento.

Allora diventa inevitabile rileggere l’esilarante dichiarazione del ministro Marianna Madia ai giornalisti che la tampinavano: “Sapete perché io non rispondo? Non perché non voglio rispondere alle vostre domande, perché si risponde a tutti … perché secondo me questo non è giornalismo di rinnovamento” (pp. 108). Lapsus forse rivelatore di un’idea di giornalismo appecoronato che evidentemente continua a piacere parecchio anche ai più giovani rottamatori- riciclatori. Se poi è vero che Sofia Ventura riconosce a Renzi il merito – molto discutibile – di aver rivoluzionato la comunicazione tradizionale della sinistra, agli occhi di un lettore (ed elettore) ancora affezionato all’idea di una politica fatta di sobrietà, da questa analisi dello “storytelling” non è che il bulletto di Rignano e comprimari ne escano benissimo: una serie interminabile di messaggi rassicuranti, aggressivi ed energici, la capacità di raccontare quello che gli interlocutori vogliono farsi raccontare, ma poi quali sono contenuti?

La costruzione di un “racconto” che la stessa simpatizzante, o ex simpatizzante, Sofia Ventura sembra criticare soprattutto in virtù di una costruzione tutta interna al sistema mediatico e che lascia ben poco spazio al confronto con la realtà: “Tutto sommato, la polemica nei confronti dei comunisti e dei sessantottini evoca avversari più reali di quella contro i gufi che parlano male dell’Italia” (pp.179). In altri termini il tempo che passa rende “meno credibile il mondo degli eroi e dei gufi […] la realtà, impietosa, rimane sempre in agguato” (pp.192); e così, paradossalmente, il premier che si è proposto come il meno ideologico di tutti rischia di rivelare comunque una mentalità ideologica: “L’immagine dei leader è stata concettualizzata come un sostituto funzionale dell’ideologia della comunicazione contemporanea, come quella in grado di emozionare e mobilitare” (pp.185). In questo senso appare opportuna la citazione di Roger-Gérard Shwartzenberg che nel 1977 scriveva: “la politica, un tempo, erano delle idee. La politica, oggi, sono delle persone. O piuttosto dei personaggi. Poiché ogni dirigente [politico] parrebbe scegliere un posto e giocare un ruolo. Come a uno spettacolo” (pp.175).

Preso atto, in particolare nel capitolo “Un governo pop per milioni di lettori e telespettatori”, di una politica ormai “personalizzata e popolarizzata, entrata nell’era moderna della comunicazione con la discesa in campo di Silvio Berlusconi” (pp.139), l’analisi della comunicazione renziana e dei comprimari prosegue con osservazioni a volte piuttosto pungenti. Ad esempio, pur costatando l’abilità di Renzi nella comunicazione, sostanzialmente grazie alla capacità di dire quello che l’interlocutore vuol sentirsi dire, si evidenzia anche come, di fronte ad interlocutori che chiedano conto di quanto fatto, si tendano ad eludere le risposte pertinenti con “temi limitrofi” (“il punto è un altro e stiamo facendo un sacco di cose”): “sono molteplici in cui partendo dalla domanda postagli, eludendone la sostanza e con una narrazione ridondante, Matteo Renzi conduce gli ascoltatori (oltre che in streaming, la conferenza è trasmessa da Rai 1) all’interno del suo plot” (pp.62). Un controllo della cosiddetta agenda che costituirebbe la “preoccupazione centrale per l’attuale esecutivo e il suo leader, una preoccupazione che porta a saturare la giornata politica, a partire dal tweet del primo mattino sino alla velina “dice ai suoi” con la quale si schiaccia ‘ultima battuta sull’ultima altra dichiarazione o notizia” (pp.72). Proprio i tweet e gli hashtagdiventano strumento di analisi, e quindi il lettore si ritroverà pagine costellate di pensierini infantili e stitici, ridicoli e nello stesso tempo irritanti, opera del “caro leader” e dei suoi compagni. Alcuni esempi: “Non male questo fine settimana: giustizia, sblocca Italia, nomine europee, poi scuola e # millegiorni #italia riparte # ciaovacanze”; “Per 15 milioni di persone le tasse diminuiscono, gli oneri contributivi scendono, la promessa diventa realtà #oraics A dopo!”; “Firenze. Casa. Emozione, tanta #unoxuno”. Dispiace soltanto che il conte Mascetti, il Perozzi, il Sassaroli e il Necchi non possano usare twitter, altrimenti è probabile avrebbero dato risposte a tono.

E’ del resto chiaro che le iniziative di un presidente del Consiglio che si fa le domande da solo in conferenza stampa, palesemente infastidito dalla stampa che non lo elogia, che, sempre spacciando la velocità (di fare o di parlare?) come valore e necessità al di là dei contenuti, partire dal “passo dopo passo” per arrivare al “meglio che niente”, non potevano non logorare, almeno in parte, la fiaba del presunto rottamatore che si è scoperto riciclatore. Un ritorno alla realtà evidente soprattutto agli occhi di coloro che in questi anni hanno maturato la convinzione che saper comandare non vuol dire saper governare.

Edizione esaminata e brevi note

Sofia Ventura, (Bologna, 1964) professore associato all’Università di Bologna, è titolare dei corsi di Scienza Politica e di Leadership e Comunicazione Politica. Tra le sue opere: “La politica scolastica” (1998); “La scuola tra stato e chiesa” (1997), “Il racconto del capo. Berlusconi e Sarkozy (2012).

Sofia Ventura, “Renzi & Co. Il racconto dell’era nuova”, Rubbettino (collana Problemi aperti), Soveria Mannelli 2015, pp. 210.

Luca Menichetti. Lankelot, giugno 2015