Verdi Giuseppe, von Karajan Herbert

Il Trovatore (Salisburgo 1962)

Pubblicato il: 19 Ottobre 2007

Gli studi verdiani sul “Trovatore” sono innumerevoli, le interpretazioni dell’opera altrettante, sintetiche guide all’ascolto per neofiti non mancano: fiumi d’inchiostro sono stati spesi per quella che è stata considerata (anche) un’opera regressiva, più arretrata rispetto Rigoletto e Traviata, una sorta di precipitato dell’immaginario melodrammatico popolare e nel contempo un capolavoro, nonostante gli eccessi fra il sanguinolento ed il melò. L’impeto emozionale del Trovatore non ha fatto velo a discutibili ma non sempre banali disamine di tipo “psico- tonale” e filologico: così sotto il microscopio sono passate le arditezze anticonvenzionali della partitura, i difficili rapporti tra Verdi ed il librettista Cammarano, l’originale “El Trovador” di Antonio Garcia Gutierrez, le personalità a dir poco schizoidi dei personaggi; su tutti Azucena, la zingara, pervasa da un amore materno ai limiti dell’irrazionalità e da un tragico destino di vendetta: si è parlato di una sorta di “trauma originario” tale da chiedersi, nell’analizzare la struttura “schizomorfa” del Trovatore, se certe critiche siano opera di musicologi o piuttosto di psichiatri.

Al di là di queste approfondite analisi è la prassi esecutiva quella che potrà interessare il moderno ascoltatore, con l’orecchio attento ad incisioni storiche come questa di Salisburgo 1962.
Prassi la cui evoluzione non è disgiunta da tutta quella gran messe di considerazioni a cui prima accennavo.
Senza entrare nel merito della trama e delle sue incongruenze ci si è chiesti, quale esempio fra i tanti, se poteva essere coerente un Conte di Luna in versione trucida, malgrado i pochi anni di differenza con l’adolescente Manrico e fino a che punto la fosca carnalità di una voce baritonale potesse spingersi senza falsare il significato profondo della musica e del teatro verdiano.  Non dimentichiamoci che “Il Trovatore” nel sentire comune (o quale luogo comune) è divenuto paradigma di certe astrusità del melodramma, considerato, probabilmente a torto, una delle opere dalla trama più incomprensibile; un’impressione nata probabilmente non tanto dalla sua struttura, comunque più lineare rispetto all’originale di Gutierrez, quanto forse dallo stile di Cammarano, un concentrato di emotività, sentimenti essenziali tagliati con l’accetta, pregno di espressioni apparentemente sgangherate (“Prima che d’altri vivere, io volli tua morir”). Un soggetto che, stante tutti i nomi citati, merita una breve esposizione; almeno ad uso dei neofiti.

Atto I (Il duello).

Siamo in Spagna all’inizio del XV secolo, nella sala delle armi del Palazzo di Aliaferia: Ferrando (basso), ufficiale degli armigeri del Conte di Luna (baritono), narra una tragica e sanguinosa vicenda accaduta vent’anni prima. Una zingara per vendicare la madre, condannata al rogo per stregoneria aveva rapito ed ucciso il neonato Garcia, fratello dell’attuale Conte, per poi sparire senza lasciare traccia, malgrado ancora Ferrando speri di catturarla e consegnarla al suo destino di morte. La scena si sposta all’interno dove la nobildonna Leonora (soprano) rivela alla sua confidente Ines di amare uno sconosciuto trovatore che ha sentito cantare sotto le sue finestre; proprio in quel momento sente di nuovo la sua voce ed esce in giardino per incontrarlo; ma, a causa dell’oscurità, pensa di rivolgersi a Manrico e non al Conte di Luna, da sempre innamorato di lei. Le parole d’amore rivolte a lui per errore accendono l’ira del Conte; rivolto al misterioso trovatore gli intima di rivelargli la sua vera identità: questi è Manrico (tenore), seguace dell’eretico principe di Urgel.
Il duello fra i rivali è inevitabile e i due si allontanano.

Atto II (La gitana).

L’azione si sposta su di un monte della Biscaglia, in un accampamento di zingari; qui si è rifugiato Manrico presso la zingara Azucena (contralto) sua madre: è ferito dopo aver vinto il Conte nel duello ed avergli risparmiato la vita. La gitana, come in un delirio, gli racconta la terribile morte della madre condannata al rogo e la sua successiva vendetta col rapimento del figlio del vecchio Conte: ma non si sa come, improvvisamente, si lascia sfuggire di aver gettato per errore il proprio bambino nel fuoco al posto del neonato rapito. Manrico è sconcertato e dubita della propria identità; ma subito Azucena riesce a placare i suoi sospetti dicendo ha parlato come in delirio e ricordandogli il suo amore di madre, sempre presente. A questo punto giunge un messaggero con una notizia: Leonora, credendolo morto, sta per entrare in convento. Il trovatore subito si affretta verso Castellor dove tutti lo credono ucciso dal Conte di Luna: deve fermarla. Di fronte all’incredula esultanza dell’amata, arriverà in tempo per sventare il tentativo di rapimento da parte del Conte di Luna e per portare via Leonora.

Atto III (Il figlio della zingara)

Mentre il Conte di Luna assedia Castellor per strapparla a Manrico e ai suoi armati, una zingara viene arrestata per il suo aggirarsi in modo sospetto: Ferrando la riconosce come la rapitrice omicida del piccolo Garcia. È Azucena: condannata a morte invoca l’aiuto del figlio Manrico, così accendendo ancor di più l’ira del Conte. Mentre Leonora e Manrico stanno per sposarsi nella cappella di Castellor giunge la notizia del rogo che si sta apprestando per uccidere sua madre: il Trovatore si precipita a liberarla.

Atto IV (Il supplizio)

Manrico è caduto nelle mani del Conte di Luna e chiuso in carcere con Azucena: per lui è la decapitazione alle prime luci dell’alba. Leonora pur di salvarlo si offre al Conte: la sua intenzione in realtà è quella di uccidersi una volta Manrico sia al sicuro. A tale scopo per non soggiacere al ricatto ingerisce un veleno e si precipita dall’amato ad annunciargli la liberazione. Nel frattempo Manrico cerca di confortare Azucena terrorizzata di finire bruciata viva come sua madre. Giunge Leonora, ma il Trovatore intuisce quale promessa la donna ha dovuto fare al Conte per ottenere la sua liberazione e la scaccia con disprezzo. Il veleno intanto comincia a fare effetto e solo ora l’uomo capisce: Leonora muore fra le sue braccia. Il Conte, che in disparte ha assistito alla scena, in preda ad un irrefrenabile furore, ordina che Manrico sia immediatamente messo a morte. Azucena si risveglia proprio in quel momento, disperata, ed appena la sentenza è eseguita rivelerà ad uno sconvolto Conte di Luna la verità: l’uomo appena giustiziato dalla scure degli armigeri altri non era che Garcia, suo fratello. La vendetta della zingara è compiuta.

Questa a grandi linee la trama, senza che vi abbia enumerato nel corpo di essa i brani più significativi, quali “Di due figli”, “Tacea la notte placida”, “Deserto sulla terra”, “Stride la vampa”, “Condotta ella era in ceppi”, “Mal reggendo all’aspro assalto”, “Il balen del suo sorriso”, il “Miserere” (i più volenterosi potranno trovare anche in rete delle esposizioni più dettagliate e più schematiche). Capite bene che ci fu un certo scalpore in quel 1962 quando Karajan decise di introdurre il Trovatore nel programma del Festival di Salisburgo: l’opera verdiana, i cui risultati interpretativi si pongono spesso sul crinale stretto dell’effettaccio gratuito simil-verista, a quel tempo era ancora vista con un certo sospetto presso i raffinati musicofili austriaci. I risultati, grazie alla fantasia direttoriale di Karajan ed all’eccellente cast, ribaltarono ogni previsione più fosca: fu uno dei maggiori successi del Festival, tanto che il “live” dell’evento è ancora oggi uno dei pilastri della discografia classica.

Fra il gran numero di registrazioni pirata si pone semmai il problema di individuare il giorno della rappresentazione; ma questo è altro aspetto che al momento non è il caso di affrontare.

Leontyne Price si era già imposta come Leonora al Metropolitan e già aveva inciso un Trovatore RCA con Basile: qui la conferma di autentica cantante “verdiana”, dal registro acuto nitido e squillante come pochi altri soprani hanno potuto vantare. Le sue agilità, meno efficaci di quelle di una Callas (anche lei Leonora con Karajan nel 1956 in compagnia di Di Stefano), qualche accento forzato, pronuncia poco nitida e le consuete velature nel grave e nel medium non inficiano una prova di rilievo, degna di quella pantera sensualona qual era. Corelli è un Manrico dalla voce scurissima, da vero baritenore, forse non tanto adeguata al personaggio: i problemi tecnici dei suoi esordi erano praticamente risolti, la vocalità era finalmente compatta, chiaramente virile e potentissima. Con i suoi mezzi sontuosi (nel panorama attuale, fatto di tenorucci dalla emissione clavicolare, un ricordo irripetibile) stupisce che la cabaletta sia stata affrontata in si bemolle, senza da capo e senza interventi durante il coro: fermo restando che la questione della “pira” e del do acuto ha assunto spesso un’importanza stucchevole e dalle motivazioni meramente circensi (ovvero antimusicali), ci si poteva aspettare in Corelli un atto di coraggio nell’affrontare con spavalderia un tormentone della tradizione esecutiva. Bastianini è un Conte di Luna forse poco aulico, molto “vilain”, con qualche discutibile concessione a vezzi quasi veristici, ma inarrivabile quanto a timbro (“di bronzo e di velluto”); brunitura da basso ed estensione tenorile in un metallo pastoso e ricchissimo fanno giustizia delle critiche spesso ingenerose che sempre gli furono rivolte: morchiosità, non corretta tecnica del passaggio, inadeguatezza stilistica.

Discreta la prova di Giulietta Simionato (classe 1910) quale Azucena, ormai a fine carriera: una linea di canto che conferma le note caratteristiche di morbidezza e duttilità e che quanto meno non scade in effettacci plateali. Meno interessanti le prove di Nicola Zaccaria, un Ferrando molto “cantabile”, a mio avviso senza infamia e senza lode, e degli altri comprimari stranieri, con qualche problema di dizione e di pronuncia italiana. Potrà risultare interessante un parallelo di ascolto con la successiva edizione del Trovatore diretta sempre da Karajan nel 1977 alla guida dei Berliner (new entry Obraztova, Cappuccilli e Bonisolli): ci renderemo conto come il grande austriaco amasse dell’opera l’atmosfera di mistero, di notturno, lo scarso realismo, la sua dimensione romantica all’eccesso. È stato detto che Karajan volesse rendere teatrale il senso di mistero che promana dalla partitura. Ascoltatelo ed anche voi converrete con me: missione perfettamente riuscita.

La registrazione”live” (mono) non risulta troppo fastidiosa: la qualità degli interpreti è salvaguardata senza chiedere troppi sforzi da parte dell’ascoltatore.

Edizione esaminata e brevi note

Fra le tante edizioni disponibili del “live” salisburghese:

Il Trovatore – Corelli, Price, Simionato, Bastianini, Zaccaria, Zimmer, Equiluz, Dutoit, Wiener Staatsopernchor, Wiener Phil., Karajan – 1962 (31 Luglio)
Arkadia OPI 08, Hunt OPI-08, Movimento Musica 012001 (2CD) –
Registrazione edita anche dalla Deutsche Grammophon e da altre case discografiche a bassissimo prezzo.

Altre edizioni dell’opera (fra le tante):
– 1952 – J. Bjorling, Z. Milanov, F. Barbieri, L. Warren, N. Moscona; orchestra RCA, Renato Cellini. RCA.
– 1956 – G. Di Stefano, M. Callas, F. Barbieri, R. Panerai, N. Zaccaria; coro ed orchestra del Teatro alla Scala, Karajan. EMI.
– 1959 – R. Tucker, L. Price, R. Elias, L. Warren, G. Tozi; coro ed orchestra dell’Opera di Roma, Basile. RCA.
– 1969 – P. Domingo, L. Price, F. Cossotto, S. Milnes, B. Gaiotti, New Philarmonia Orchestra, Metha. RCA
– 1977 – F. Bonisolli, L. Price, E.Obraztsova, P. Cappuccilli, R. Raimondi; Filarmonica di Berlino, Karajan. EMI.

Recensione già pubblicata il 10 luglio 2004 su ciao.it e qui parzialmente modificata.

Luca Menichetti. Lankelot, ottobre 2007