La biografia di Jules Verne ci racconta che dopo il 1886 il grande scrittore francese visse anni difficili, caratterizzati da lutti e da una serie infinita di problemi: amarezze che forse contribuirono alla stesura di romanzi con caratteristiche più cupe o quanto meno più “gotiche”. Di certo non così consigliabili ai giovani lettori come potevano essere le sue precedenti e più celebri opere tipo “Viaggio al centro della Terra”, “Dalla Terra alla Luna”, “Ventimila leghe sotto i mari”. Le edizioni Piano B di Prato hanno quindi pensato bene di andare a scovare un romanzo scritto in questo periodo poco felice per la vita privata dello scrittore, ma probabilmente non così disastroso per quella artistica. “Il castello in Transilvania”, conosciuto anche come “Il castello dei Carpazi”, non sarà magari un capolavoro assoluto e una lettura indimenticabile, ma, al di là di definizioni sbrigative che possono averla etichettato come opera minore, è un lungo racconto dove il piglio di Jules Verne, incupito finché si vuole, non è venuto meno e dove di pagina in pagina si scopre che le tematiche care allo scrittore sono molto più presenti del previsto. Insomma, nonostante questa Transilvania che fa tanto di vampiresco, il lettore si renderà conto che l’annunciato horror di Verne è invece qualcosa che aveva già conosciuto con i suoi più noti romanzi. Senza voler anticipare nulla che possa svelare il finale a sorpresa (meglio evitiate anche di curiosare su wikipedia) possiamo però raccontarvi di qualche personaggio che anima le pagine del “castello in Transilvania”.
La vicenda è ambientata nei dintorni del tenebroso maniero del barone Rodolphe de Gortz, apparentemente disabitato ma che gli abitanti di un vicino villaggio credono sia invece infestato da spiriti e da orribili presenze demoniache. L’atmosfera del luogo, condizionata da leggende popolari che fanno del sovrannaturale quasi una storia patria, subito appare sinistra, anche grazie all’abilità di Verne che, con stile quasi da documentarista, elenca le malvagie creature presenti forse nei dintorni del castello, ma di sicuro nei racconti degli abitanti di Werst: “Essi affermavano, sostenuti con le prove, che i lupi mannari battevano la campagna, che i vampiri, chiamati stringi per via delle loro grida, si nutrivano di sangue umano e che gli staffi vagavano per le rovine diventando cattivi se ci si dimentica di portar loro ogni sera da mangiare e da bere. Ci sono fate, le babe, che non bisogna mai incontrare il martedì o il venerdì, i due giorni peggiori della settimana. Avventuratevi nelle profondità delle foreste del comitato, boschi incantati dove si nascondono i balauri, draghi giganteschi [….] gli zmei dalle ali smisurate” (pag. 20). Mentre il misterioso barone Rodolphe de Gortz, sempre in compagnia del fidato Orfanik, scienziato incompreso e dai modi inquietanti, sembra scomparso dopo anni di peregrinazioni nelle città d’Europa, intento a soddisfare le proprie ossessioni di melomane, un pastore del luogo scorge per puro caso del fumo provenire dal quel castello che adesso non appare più così tanto disabitato. Gli abitanti di Werst si allarmano temendo la presenza di fantasmi e di creature diaboliche. Un giovane del villaggio, Nic Deck, trascinandosi dietro un infermiere pseudo-medico e pseudo razionalista ma in realtà pieno di paure, giunge al castello per investigare e per poco non ci rimetterà la pelle. Qualche giorno dopo giunge a Werst il giovane conte Franz de Télek che alcuni anni prima aveva perduto Stilla, celebre cantante lirica e sua promessa sposa, morta sul palcoscenico, forse sconvolta dalle attenzioni del sinistro barone Rodolphe de Gortz. Franz de Télek, fa avvisare la polizia della possibile presenza del barone al castello, e, nonostante gli spaventosi precedenti, si reca al castello forte della sua mentalità scientifica e ben deciso a scovare quello che ritiene il responsabile della morte di Stilla. Apparizioni e fenomeni sovrannaturali metteranno a dura prova la razionalità del giovane conte, fino all’epilogo a sorpresa.
L’epilogo ridimensiona le suggestioni che potrebbero nascere leggendo di Jules Verne come anticipatore di Dracula: ricordiamo che il romanzo è stato scritto poco prima del 1892, ovvero almeno cinque anni prima della pubblicazione della più famosa opera di Bram Stoker. Ma, come anticipato, le tematiche presenti nel “Castello in Transilvania” ci rivelano ancora una volta Jules Verne nelle vesti di profeta positivista e, dal punto di vista strettamente letterario, il progenitore del genere fantascientifico e, forse, dello steampunk. Inoltre l’opera di Verne, scrittore classico a tutti gli effetti, qui non ha molto a che fare con il romanzo d’appendice e con tutto quello che può rappresentare oggi il “romanzo di genere”: pur con tutte le intenzioni di voler stupire il lettore e nel contempo ribadire le proprie convinzioni positiviste, l’approfondimento psicologico dei personaggi, colti singolarmente e poi come comunità, non è affatto banale; ed inoltre, a parte qualche passaggio eterodosso tipo i dialoghi infarciti da numerosi puntini di sospensione, il romanzo si caratterizza fin dalle prime pagine per la contrapposizione tra occulto, superstizioni popolari e razionalità scientifica, peraltro il più delle volte soccombente a causa dei limiti umani. Si pensi alla figura quasi comica del dottor Patak, falso medico, pieno di sé nel distinguersi dai compaesani superstiziosi, ma poi preda di micidiali paure quando si troverà ad affrontare i misteri del castello. Quindi più livelli di lettura che, messi alla berlina anche i presunti razionalisti, potrebbero far pensare davvero ad un Verne convertito a tematiche e suggestioni sovrannaturali. Contrapposizione tra razionalità scientifica e occulto che peraltro abbiamo recentemente ritrovato nel cinema con l’ultimo Sherlock Holmes di Guy Ritchie e in letteratura nel primo romanzo di Stephen Seitz.
“Il castello in Transilvania” – ecco l’unico spoiler che mi sento di fare – non risulta poi così distante da questi recenti modelli di horror più immaginato che reale. Anche per questo romanzo, forse horror forse no, la nota citazione da Jules Verne potrebbe rivelarsi del tutto coerente: “La scienza […] è fatta di errori, ma di errori che è bene commettere perché a poco a poco conducono alla verità”.
Edizione esaminata e brevi note
Jules Verne (Nantes, 1828 – Amiens, 1905) nacque da un’agiata famiglia borghese. A Parigi frequentò i circoli letterari dell’epoca e conobbe Dumas padre, grazie al quale riuscì a rappresentare una commedia in versi nel suo teatro. Fu il primo successo. Seguì il matrimonio con la ricca vedova Honorine Morel e quindi una tranquillità finanziaria tale da potersi dedicare completamente alla scrittura e ai viaggi. Verne, nella sua carriera ha pubblicato più di ottanta libri tra i quali “Viaggio al centro della Terra”, “Dalla Terra alla Luna”, “Ventimila leghe sotto i mari”, “Il giro del mondo in ottanta giorni”.
Jules Verne, “Il castello in Transilvania, Piano B (collana Controtempo), Prato 2013, p. 152 (Trad. Martina Grassi)
Luca Menichetti. Lankelot, marzo 2013
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