Il dubbio rimane fino alla fine: il libro della scrittrice Jo Walton è semplicemente un fantasy, seppur del tutto particolare, o piuttosto rappresenta una sorta di bildungsroman che si arricchisce delle fantasie della quindicenne Mori, quasi a voler depistare il lettore? Ad oggi, se andiamo a leggere gli interventi critici dedicati a questo romanzo, edito in Italia quest’anno ma sugli scaffali canadesi fin dal 2010, non mi pare sia possa rilevare una risposta univoca; ed anzi è proprio questa voluta e felice ambiguità ad aver attirato l’attenzione dei lettori, anche di quelli meno inclini ad apprezzare quel recente e stucchevole filone fantasy, a volte assimilato al cosiddetto genere mainstream “young adult”, e che vede protagonisti maghetti e maghette in età adolescenziale.
In “Un altro mondo” la “maghetta”, ammesso si possa definire tale, si chiama appunto Morwenna Phelps, detta Mori, che ha abbandonato il Galles, dove viveva con una madre terribile, per recarsi da un padre fino ad allora assente. Incontro non dei più strepitosi non fosse altro che il genitore, da sempre manovrato dalle sue sorelle, la condurrà subito in un tristo collegio: qui la quindicenne Mori, se pure faticherà a trovare persone amiche, avrà modo comunque di dedicarsi accanitamente alle sue letture e, prima del confronto finale con l’inquietante genitrice, sperimentare ulteriori incontri con le “fate” e con la magia. Queste “fate”, con le quali la ragazzina aveva già avuto a che fare nel suo Galles, scovandole nelle zone industriali abbandonate, in realtà non sono descritte come le fate delle fiabe che conosciamo, ma, pur così denominate nel diario di Morwenna, ci appaiono come esseri soprannaturali, presenze a volte sfuggenti ed indefinite, a volte con una sessualità maschile e femminile ben evidente, mimetizzati nella natura circostante, forse a volte fantasmi ed anime in attesa di raggiungere l’aldilà: “Io li chiamo fate perché li ho sempre chiamati così, ma in realtà non so cosa siano […] Io penso che la gente abbia raccontato un sacco di storie su di loro; alcune sono vere, alcune sono modellate su altre storie, e altre sono semplicemente confuse. Le fate non raccontano storie” (pag. 276). Il “fantasy” di “Un altro mondo” non si caratterizza quindi per la presenza di una sorta di mondo alternativo oppure di una vicenda esplicitamente fantastica dall’inizio alla fine: in questo senso si diceva di un “fantasy” del tutto particolare, soprattutto per la scelta di Jo Walton di costruire il romanzo come la cronaca di una quindicenne che scrive di incantesimi, di presunte streghe, ma anche di tutti i conflitti e difficoltà di un’età difficile, resa ancora più difficile dall’assenza di una vera famiglia: “Non penso di essere come gli altri. A un livello di base, molto profondo, intendo. Non è soltanto perché sono la metà di due gemelle, leggo un sacco e vedo le fate. Ciò che non è normale è il modo in cui me ne sto da parte e osservo gli eventi come se fossero già accaduti; è una cosa utile per la magia, ma visto che di magie non ne farò più, questa qualità è sprecata” (pag. 182).
Una narrazione in forma di diario, ma pur sempre ricca di dialoghi che rendono con immediatezza tutto lo svolgersi degli eventi, e che soltanto nel tempo, di pagina in pagina, svela i retroscena della fuga di Morwenna da una madre ambiziosa e dedita alla magia nera (ma forse soltanto una donna mentalmente disturbata e crudele), la morte della gemella in un incidente misterioso, la sua menomazione alle gambe, i persistenti dolori fisici, i sospetti sulla reale natura delle zie, le personalità anomale ed ambigue dei suoi parenti più stretti, l’epilogo “magico” che chiude i conti con la genitrice. Narrazione in prima persona di un’adolescente che, con estrema naturalezza e con ironia (involontaria mettendosi nei panni di Morwenna, del tutto volontaria e ben calibrata grazie a Jo Walton), scrive di argomenti altrimenti scabrosi e controversi come il sesso, l’omosessualità, la morale corrente, l’incesto, la morte, l’empatia tra gemelli. Gli elementi fantastici, ma intesi in senso molto lato, in “Un altro mondo” si manifestano anche sotto un aspetto del tutto peculiare, tale da rendere il libro non soltanto un romanzo (forse) fantasy ma sicuramente un romanzo sul fantasy e sulla fantascienza. Morwenna difatti si racconta come una lettrice accanita di letteratura di genere, che ha trovato un “karass” (citazione da “Ghiaccio- nove” di Kurt Vonnegut), ovvero un circolo di persone che condividono i suoi stessi interessi, proprio in un gruppo di lettura di genere fantascientifico: una passione che sembra quasi un volersi rifugiare in mondi alternativi, lontani da un presente che, almeno dal di fuori, lontani dalle “fate” di Morwenna, si potrebbe considerare molto triste ma pur sempre, grazie agli esempi letterari, aperto alla speranza di un futuro più sereno: il diario della ragazzina è una rassegna di classici tipo Platone, Aristotele, ed appunto di innumerevoli romanzi letti, da leggere e da rileggere, dall’inarrivabile Tolkien a Ursula K. Le Guin, per continuare con Philip K.Dick, Kurt Vonnegut, Mary Renault, James Tiptree, Alan Garner, Roger Zelany, Micheal Coney, Dodie Smith, Christopher Priest, Keith Roberts, Theodor Sturgeon, Robert Silverberg, Spider Robinson e tanti altri. Un diario che, accanto a visioni di una realtà condizionata da un elemento magico forse realmente esistente, racconta di un’adolescente lettrice compulsiva, tanto accanita da riuscire a leggere con disinvoltura anche due romanzi al giorno. Altro aspetto che rasenta il fantastico, salvo immaginare Morwenna in possesso di tecniche di lettura veloce.
Elementi come questo ossessivo amore per i libri fantasy e di fantascienza da parte della protagonista, il fatto che, salvo l’iniziale flashback risalente al 1975, il diario della quindicenne sia datato tra il 1979 e il 1980, fanno pensare subito a Jo Walton, nota scrittrice di fantasy e di fantascienza nata nel 1964 (quindicenne nel 1979) e che quindi che ci sia qualcosa o molto di autobiografico, probabilmente anche in riferimento al rapporto con i suoi genitori. Per questi motivi, tra le citazioni critiche che possiamo leggere in quarta di copertina, quella tratta dal “Publishers Weekly” ci appare quella più convincente: “Jo Walton rovescia una tipica storia di magia per farne un convincente racconto di formazione
Edizione esaminata e brevi note
Jo Walton (1964) è poetessa e scrittrice di libri fantasy e di fantascienza di origine gallese-canadese. Ha vinto numerosi premi, tra cui il John W. Campbell Award come Miglior nuovo talento, il World Fantasy Award, il Prometheus Award e il Mythopoeic Award. Con Un altro mondo si è aggiudicata il Nebula Award e l’Hugo Award per il miglior romanzo. Fra i suoi romanzi: The King’s Peace (2000), The King’s name (2001) e The Prize in the Game (2002) tutti ambientati nello stesso mondo ispirato al ciclo arturiano, Tooth and Claw (2003), Farthing (2006), Ha’Penny (2007) e Half a Crown (2008), trilogia di storia alternativa, Lifelode (2009).Vive a Montreal (Quebec).
Jo Walton, “Un altro mondo” (Among Others, 2010), Gargoyle, collana Gargoyle Extra, Roma 2013, pag. 334, euro 16,50. Traduzione di Benedetta Tavani.
Luca Menichetti. Lankelot, dicembre 2013
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