Non credo sia stato facile ricostruire la complicata vicenda del massacro di Katyn in appena centoventi pagine, mantenendo rigore accademico e dando conto di un’incredibile manipolazione storica e politica protrattasi dal 1940 fino ai giorni nostri. Victor Zaslavsky, col suo “Pulizia di classe”, a fronte di una bibliografia su Katin ormai molto ricca, è riuscito a raccontarci l’essenziale: ovvero il bagno di sangue, del tutto autentico, e poi la tutta le serie infinita di bugie imbastite per nascondere uno dei tanti crimini dello stalinismo da parte dei comunisti e degli occidentali garanti degli accordi di Yalta.
Ricordiamo cosa fu Katyn: nell’aprile 1940 i sovietici, nella Polonia da loro occupata, fucilarono circa quindicimila tra ufficiali e “nemici di classe” polacchi. Il massacro venne poi scoperto dai nazisti quando occuparono quelle aree dopo l’attacco all’Urss. Seguì una complicata vicenda di accuse e contro accuse, propaganda e disinformazione nella quale i sovietici, ben supportati dai loro scherani occidentali, orchestrarono una campagna di falsificazione tale da attribuire ai nazisti la mattanza. Anche nel dopoguerra gli Usa e i paesi della Nato per ragioni di opportunità (o cinismo politico?) non vollero mai svelare la mistificazione. Soltanto ai tempi di Eltsin, dopo i temporeggiamenti e i tentativi di insabbiamento da parte di Gorbaciov, sono stati resi pubblici i documenti che provano la responsabilità sovietica. Stalin fu responsabile di massacri ancor più cruenti, nell’ordine delle centinaia di migliaia di omicidi, milioni di vittime colpevoli soltanto di appartenere ad una classe sociale indegna di vivere, ma Katyn ha rappresentato qualcosa di paradigmatico sia riguardo la logica totalitaria stalinista, sia riguardo i rapporti e le analogie con l’altro totalitarismo del XX secolo: il nazismo. Quell’aprile del 1940 cadeva pochi mesi dopo il Patto Molotov-Ribbentrop (trattato di non aggressione fra la Germania Nazista e l’Unione Sovietica che volle dire divisione del territorio polacco tra sovietici e tedeschi e l’occupazione delle repubbliche baltiche, da parte dell’Armata Rossa) e, con buona pace degli antifascisti, nel febbraio 1940 Stalin consegnò alla Gestapo i comunisti tedeschi rifugiati politici, detenuti dopo le purghe degli anni 1936-1938, che passarono direttamente dai campi di concentramento sovietici a quelli nazisti. Insomma prove di buon vicinato che avrebbero potuto pure dare luogo ad un’alleanza duratura tra nazismo e comunismo sovietico contro le odiate demoplutocrazie occidentali.
In questo contesto di alleanza tra i due più spietati totalitarismi del secolo scorso avvenne il massacro di Katyn: migliaia di ufficiali polacchi giustiziati, molti con un colpo alla nuca, e poi deportazione per dieci anni in Kazakistan delle loro famiglie (causa di altre morti). Si è parlato di genocidio ma, come fa rilevare Zaslavsky, forse è termine improprio: “se la politica dello sterminio ebraico realizzato dai nazisti rappresenta il caso paradigmatico del genocidio del XX secolo, l’applicazione della categoria di genocidio a molti altri casi provoca accese controversie […] Il massacro di Katyn rappresenta uno dei più eloquenti esempi del politicidio perpetrato dal regime sovietico. La categoria del politicidio non sembra tuttavia sufficiente per interpretare il fenomeno delle repressioni di massa[…] Nel mio lavoro ho sempre preferito l’espressione “pulizia di classe”, coniata per sottolineare analogie e differenze con il più diffuso e familiare concetto di “pulizia etnica”. La pulizia di classe è una politica di eliminazione pianificata e sistematica di un’intera classe sociale condotta da quei regimi totalitari che adottavano i marxismo-leninismo come loro ideologia fondante” (pag. 51). Zaslavsky riporta una nota (1918) di uno dei primi dirigenti della Ceka, che fa capire bene dove si sarebbe andati a parare negli anni a seguire: “Non stiamo lottando contro persone singole. Stiamo sterminando la borghesia come classe”. Una logica criminale che, nella sua somiglianza con il nazismo, in questi ultimi anni è stata oggetto degli studi di Luciano Pellicani, proprio richiamato in nota da Zaslavsky. Katyn, con le sue migliaia di fucilazioni pianificate, fu quindi una sanguinosa conseguenza del leninismo, applicato alla sua maniera da Stalin. La mattanza dei polacchi nel libro di Zaslavsky – ricordiamolo ancora – assume una particolare importanza per le mistificazioni che ne seguirono e per le campagne internazionali di discredito che furono portate avanti nei confronti di tutti coloro che avevano capito come realmente erano andate le cose e in particolare nei confronti di quei membri della Commissione medica che studiò i cadaveri e che, vivendo in occidente, non potevano essere messi a tacere (almeno non tutti) dagli scherani di Berija.
Quindi a massacrarli di infamie ci pensarono i solerti comunisti locali. Pensiamo alle intimidazioni, durate anni ed anni, nei confronti del professor Vincenzo Mario Palmieri. La vicenda, come ci racconta Zaslavsky, ha visto un parziale epilogo (ma ancora ci sono interrogativi senza risposta) con la fine dell’Urss e l’apertura della segretissima “busta 34”: la conferma dell’esistenza di protocolli segreti che svelano l’ordine del massacro da parte degli alti papaveri sovietici.
Edizione esaminata e brevi note
Victor Zaslavsky (1937-2009) storico e professore russo naturalizzato canadese, specializzato nello studio dei rapporti tra Italia e Unione Sovietica. Laureato in storia presso l’Università Statale di San Pietroburgo, è stato professore ordinario di sociologia politica presso la facoltà di scienze politiche dell’Università LUISS Guido Carli di Roma. Per il Mulino ha pubblicato “Il consenso organizzato” (1981), “Dopo l’Unione Sovietica” (1991), “Togliatti e Stalin” (con la moglie E. Aga Rossi, 1997; premio Acqui storia 1998), “La Russia da Gorbacev a Putin” (con L. Gudkov, 2010).
Victor Zaslavsky, Pulizia di classe. Il massacro di Katyn, il Mulino (Collana “Storica paperbacks”), Bologna 2011, pag. 136
Luca Menichetti. Lankelot, maggio 2012
Follow Us