La scelta di William Klinger di votarsi alla ricerca storica, dedicandosi soprattutto a tematiche controverse in merito ai Balcani e all’ex Yugoslavia comunista, non deve essere stata presa a cuor leggero e sicuramente con piena consapevolezza delle ostilità cui sarebbe andato incontro. Basti pensare cosa scrivevano di lui negazionisti delle foibe come Claudia Cernogoi, e, appena pochi giorni dopo la sua morte, fogli come Nuova Alabarda, intenti a infamarlo sia dal lato umano sia come studioso. Un esempio su tutti: se i negazionisti hanno sempre raccontato di una netta contrapposizione tra fascisti e antifascisti, questi ultimi seguaci fedeli di Tito, William Klinger la pensava diversamente, ritenendo che nei territori in mano ai titini certe categorie fossero già superate fin dal 1946 dato che gli “jugoslavi si muovevano ormai in aperta ostilità nei confronti degli ex alleati angloamericani”. Di certo i detrattori di Klinger, se lo volessero dipingere ancora una volta alla stregua di un propagandista filo-fascista, si dovranno impegnare a fondo per usare ai loro fini un’opera come “Germania e Fiume. La questione fiumana nella diplomazia tedesca (1921-1924)”. Lo studio, edito dalla Deputazione di Storia Patria per la Venezia Giulia, ha dato l’opportunità allo storico italo-croato di proporci un gran numero di documenti che non ci sembra proprio consentano di orientare politicamente ed in maniera distorta la ricostruzione dei fatti storici. Altrimenti magari non avremmo neppure letto la citazione del saggio di Mauro Canali, “Il delitto Matteotti”, dove la Standard Oil Co. risulta segretamente impegnata fin dal 1922 a sostenere Mussolini, oppure le pagine che ricordano le repressioni a danno degli autonomisti: alcuni esempi che depongono a favore di una ricerca autentica e basata su fonti documentarie, senza qualsivoglia interessate omissioni. Le fonti principali del saggio di Klinger, o almeno quelle davvero inedite, consultate presso i National Archives di Londra, consistono appunto in un fitto carteggio recuperato alla fine della Seconda guerra mondiale in una miniera di salgemma a Berchtesgaden; poi tradotto e pubblicato in appendice. Un materiale che riguarda l’attività del consolato tedesco di Fiume nel triennio 1921-1924, al tempo guidato da un commerciante triestino, di nazionalità e cittadinanza tedesche, Carl Hoffmann, personaggio tutt’oggi alquanto sfuggente. L’interrogativo perchè siano stati analizzati innanzitutto dei dispacci diplomatici tedeschi, fino ad ora inediti, al fine di ricostruire la complicata questione di Fiume e della sua annessione all’Italia, trova una chiara risposta da parte dello stesso Klinger: “Anche se i rapporti di Hoffmann appaiono meno dotati di respiro politico rispetto quanto inviato dai diplomatici tedeschi delle grandi sedi europee, essi si sono rivelati la fonte più obiettiva e imparziale che abbiamo sulla situazione interna dello Stato libero di Fiume e Hoffmann si rivelò all’altezza del compito che gli fu assegnato nella difficile situazione fiumana” (pag. 66). L’abilità del diplomatico tedesco fu evidentemente quella di cogliere sia le ricadute economiche e commerciali della disputa fiumana sia la complessità degli interessi in gioco e le ostilità scaturite dal Trattato di Rapallo. Grazie al supporto di queste fonti William Klinger ha quindi ricostruito la questione fiumana partendo Conferenza di Pace (1919), passando per l’attività del Consolato tedesco di Fiume (1921-1922), l’avvento del fascismo, un capitolo dedicato a Fiume e Corfù (1923), dall’eccidio Tellini fino agli accordi di Roma e la conseguente annessione (1924).
Una soluzione che risultò particolarmente complessa proprio perché ormai la città di Fiume era diventata un banco di prova per le relazioni internazionali nello scacchiere balcanico e adriatico. In questo frangente i dispacci di Hoffmann risultarono quanto mai significativi proprio in virtù del fatto che “la crisi dell’agosto-settembre 1923 [ndr: Corfù] interessava ai diplomatici tedeschi perché in caso di un conflitto su larga scala della Francia contro l’Italia in soccorso jugoslavo e di un intervento inglese in aiuto ai greci per Corfù, i tedeschi avrebbero potuto sferrare un colpo di mano in Renania” (pag. 91). Un contesto nel quale lo studioso italo-croato non manca di rilevare i limiti della più radicata storiografia: “Secondo una interpretazione ormai consolidata, Mussolini trovò nella questione fiumana che si stava trascinando da anni il modo di riproporsi sulla scena internazionale dopo i fatti di Corfù. Questa interpretazione non regge ai fatti in quanto la ‘proposta di accomodamento’ che egli offrì a Pašić il 6 settembre ribadiva quanto già richiesto con l’ultimatum dell’8 agosto” (pag. 84). Ma poi: “la crisi di Corfù dimostrò che nessuno, e men che meno i francesi, compromessisi in Renania, era disposto a rischiare una guerra europea per le questioni balcaniche, riproponendo in sostanza una riedizione dello scenario del 1914. Mussolini potè pertanto proporsi come artefice della pacificazione e offrì il ritiro italiano da Corfù in cambio dell’appoggio francese per la risoluzione della questione fiumana per la quale si era già garantito l’appoggio del giovane re Alessandro di Jugoslavia. Si trattò, senza dubbia, di uno dei maggiori (se non dell’unico) vero successo della politica estera di Mussolini” (pag. 95). Constatato che la storiografia italiana ha collocato la questione fiumana nel contesto del problema adriatico, mentre “quella jugoslava e croata lo ha considerato come un capitolo troncato del processo di unificazione nazionale” (pag. 110), Klinger conclude prendendo atto come Fiume sia diventata “una città di frontiera in una zona di guerra a bassa intensità che sarebbe durata per decenni” (pag. 112). Niente a che vedere dunque con una dimensione marginale e locale, ma una vicenda che Klinger, grazie una notazione del testo particolarmente ricca, ad una polemica mai sopra le righe nei confronti di una storiografia spesso imprecisa, e soprattutto grazie ad una indubbia capacità di cogliere la relazione tra le diverse fonti documentarie, ha svelato pienamente inserita dentro scenari europei di grande complessità.
Edizione esaminata e brevi note
William Klinger, (Fiume, 24 settembre 1972 – New York, 31 gennaio 2015) è stato uno storico con doppia cittadinanza croato-italiana. Nel 1997 si laureò con lode in Storia all’Università di Trieste con una tesi dal titolo “Leggi e spiegazione in storia: un approccio naturalistico”, mentre frequentava anche l’Università di Klangenfurt grazie a una borsa di studio ottenuta dal governo austriaco. Nel 2001 ottenne un master alla Central European University di Budapest. Nel 2007 ha conseguito il dottorato all’Istituto universitario europeo a Fiesole (FI). Klinger era poliglotta e oltre al croato parlava italiano, tedesco, inglese, friulano, russo, ungherese e sloveno. Residente a Gradisca d’Isonzo, era ricercatore presso il Centro di ricerche storiche di Rovino. I suoi studi si concentrarono sulla storia dei Balcani e della Jugoslavia comunista in particolare. Uno dei suoi saggi più noti è dedicato alla storia dell’OZNA, la polizia segreta comunista di Tito. Klinger è stato ucciso il 31 gennaio 2015 a New York dallo statunitense di origini fiumane Alexander Bonich con due colpi di pistola.
William Klinger, “Germania e Fiume. La questione fiumana nella diplomazia tedesca (1921-1924)”, Deputazione di Storia Patria per la Venezia Giulia, Trieste 2011, pp. 285.
Luca Menichetti. Lankelot, marzo 2015
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