Russo Pippo

L’ importo della ferita e altre storie. Frasi veramente scritte dagli autori italiani: Faletti, Moccia, Volo, Pupo e altri casi della narrativa contemporanea

Pubblicato il: 27 Ottobre 2013

“E’ una di quelle giornate che inizia veramente col sorriso”. Così l’incipit di Am14 di Federico Moccia, con relativo sfondone di grammatica, inevitabilmente ripreso e citato da Pippo Russo nel suo “L’importo della ferita e altre storie. Frasi veramente scritte dagli autori italiani: Faletti, Moccia, Volo, Pupo e altri casi della narrativa contemporanea”. Non un libro di autentica critica letteraria, semmai un’analisi testuale – e per questo forse ancora più micidiale – dei romanzi di alcuni tra i più celebrati “artisti” contemporanei, navigando tra fiumi di nonsense, incongruenze logiche, sciatterie, strafalcioni grammaticali, devastazioni sintattiche, momenti di humour indefinibile. Pippo Russo in sostanza ha trasferito sul versante letteratura il piglio mostrato con la rubrica “Pallonate”, applicando lo stesso metodo: una lettura scrupolosa e brillante del testo, riga per riga, con relativo commento e senza alcun timore di apparire crudele e spietato.

Le considerazioni in merito all’editoria italiana, alle cricche, alle marchette commerciali, ai taroccamenti dei premi letterari e quindi alla costruzione a tavolino di fenomeni privi di qualsivoglia qualità, da parte di Pippo Russo ci sono tutte ma per lo più emergono implicitamente dall’analisi testuale di questi libri mainstream, ipnotici per gran parte dei loro lettori-non lettori, chiaramente sensibili alla legge dei grandi numeri e pronti a replicare “Ma sta’ zitto che Faletti ha venduto 12 milioni di copie”. Da qui la citazione di Roberto Freak Antoni: “Che tempo fa scrisse: ‘Mangiate merda! Miliardi di mosche non possono avere torto” (pag.9). Tornando all’incipit di Am14, uno dei tanti strafalcioni presenti nel libro, c’è chiedersi davvero dove fossero i cosiddetti curatori editoriali o più modestamente i revisori di bozze. E parliamo di case editrici come la Mondadori, nulla che possa far pensare a qualcosa di dilettantesco. Tre le possibili risposte per questi innumerevoli svarioni ad minchiam: o i tanto blasonati (e discutibili) grandi editori non sono in grado di curare la revisione di un testo, o esiste una strategia che pretende libri così approssimativi; oppure una revisione del testo è stata fatta ma i refusi erano talmente tanti che alla fine sono rimaste comunque assurdità logiche, sintattiche e grammaticali in quantità. Pippo Russo, volendo scovare queste perle, ha dedicato due mesi tutti per Moccia, Volo, Pupo ed altri eroi delle patrie lettere, peraltro rischiando un abbrutimento personale e, al di là di ogni altra considerazione, per questo sacrificio va ringraziato. Noi non abbiamo mai letto i romanzi degli autori citati e massacrati, ma adesso possiamo dire di avere comunque letto Moccia, Volo, Pupo, Faletti; e questo grazie – o per colpa – di Pippo Russo.

Un libro, “L’importo della ferita” (frase un tantino eterodossa tratta da un romanzo di Faletti), che risulta diviso in tre sezioni. La prima, “I libro-panettonisti”, esamina le opere di Faletti, Volo e Moccia, colte nella loro ripetitività, con le loro trame poco plausibili, impalpabili e soprattutto mandate in stampa apparentemente prive di qualsivoglia revisione. Nella seconda “I narratori improvvisati”, ulteriore dimostrazione in che condizioni sia l’editoria italiana, ovvero come risulti facile per un “vip” farsi pubblicare ed anche farsi lecchinare da critici di ogni risma: protagonisti Pupo e Sangiorgi. Terza sezione, “I premiati”, ovvero Antonio Scurati e Alessandro Piperno. Ed anche qui considerazioni, esplicite e meno esplicite, sullo stato dei cosiddetti premi letterari. Evidentemente non molto brillante. Da notare che tutti, sia gli scrittori-non scrittori, sia gli scrittori iper-colti e iper-premiati, risultano accomunati dall’essere impermeabili alle critiche, convinti di averci propinato capolavori, e sempre pronti a replicare acidi e sprezzanti ai loro detrattori. Per capire il senso del libro di Russo, al di là delle brillanti cattiverie dell’autore, alle prese con i problemi causati da questi due mesi di letture mainstream, fin dal momento dell’acquisto dei libri (clandestinamente, alla stregua di dvd porno), per arrivare alle assatanate fans di Volo, conviene proporvi una sorta di antologia dell’antologia. Il massacro inizia con Faletti, “l’incredibile più grande scrittore italiano”, del quale sono stati analizzati tutti i romanzi e racconti; e dai quali sono stati riportati i passi più suggestivi. Tratto da “Fuori da un evidente destino”: “Da quel momento in poi avrei imparato, con mio grande piacere, di avere a che fare con una persona che promette quello che mantiene”. Avete capito bene?

In linea col passo dove troviamo gli occhi di un uomo appena ammazzato, nei quali si può leggere al tempo stesso sorpresa, delusione e estasi. Una magniloquenza che a volte si confonde con le rimembranze di Vito Catozzo: “Odore di salmastro, pini, rosmarino e nulla di fatto. Promesse e scommesse. Non mantenute le prime, perse le seconde”. Ed ancora: “Jerry alzò le braccia e battè le mani tra di loro”. Giustamente poi ci si domanda se ci siano persone capaci di battere le mani separatamente. Con l’analisi di Faletti e della sua sintassi e grammatica, quanto meno eterodosse, andiamo avanti per circa ottanta pagine. Poi è la volta dei romanzi di Fabio Volo e, come lo definisce Pippo Russo, del relativo “bieco marketing ormonal-emozionale”. L’analisi sulle trame inconsistenti, se non proprio inesistenti, si fa ancora più stringente. Temi ricorrenti la cacca, il cesso, il sesso bricolage, ma anche romanticismo profuso a piene mani. In sostanza, secondo la lettura del nostro autore, testimoniata da numerosi brani tratti da “Un giorno in più” ed altri, una sinergia di buoni sentimenti e tante scoregge. Salvo poi cogliere passaggi che svelerebbero un maschilismo d’altri tempi, ben poco coerente con la tanto decantata semplicità del tenerone Fabio Volo, non – scrittore dichiarato ma, come ci raccontano le sue fans, autore di splendidi capolavori. I “cinepanettoni” si concludono con Federico Moccia, citato subito per il suo “è una di quelle giornate che inizia sol sorriso”. Qui, oltre al consueto catalogo di svarioni micidiali, Pippo Russo ha puntato a far emergere la beatificazione del mondo dei coatti, che in Moccia appare quasi l’ideologia di fondo presente in tutti i suoi libri. Beatificazione che vuol dire minimizzare le violenze del gruppo coatto in quanto “genuine”. E legittimare un testo pieno di frasi del genere: “Paolo fa appena in tempo a inforcare gli occhiali e a mettere a fuoco quel provocante fondoschiena che si allontana più o meno professionalmente”. Dove il “più o meno” è presente ovunque e non soltanto su un fondoschiena che non si capisce se sia professionale oppure no. Altra citazione necessaria a pagina 167 di “Ho voglia di te”: “Gin si avvicina e mi dà una slinguazzata pazzesca dal basso verso l’alto, tipo frenata di caduta di cono gelato mezzo sciolto”. A pagina 515 di “Scusa ma ti chiamo amore” qualcosa di criptico, almeno per le nostre povere menti non coatte: “E se ne vanno via così, ridendo a crepapelle. Onde ribelli, giovani Robin Hood dei sentimenti, Don Chisciotte in gonnella che per la prima volta, anche con un palloncino, hanno fatto riflettere quello stupido mulino a vento”.

La seconda sezione, “I narratori improvvisati”, inizia col botto: Pupo e il suo “La confessione”. Vista la presenza di un omicidio e di un commissario, abbiamo capito che il libro potrebbe risultare un thriller. O qualcos’altro di non facilmente definibile. Dubbi e perplessità che emergono anche sulla scorta di questo brano: “Non credeva che la donna potesse essere direttamente coinvolta nella vicenda, ma l’istinto gli suggeriva che da li avrebbe potuto avere qualche informazione utile, magari decisiva per risolvere il caso alla svelta”. Pippo Russo è rimasto estasiato dalla genialità attribuita al commissario Borrani: “Soltanto una mente capace di vedere oltre i limiti intuirebbe che la partner dell’assassinato possa dare informazioni utili. E soprattutto, non è una logica elementare a suggerirgli questo, bensì l’istinto!” (pag. 202).

Si prosegue con Giuliano Sangiorgi e il suo “Lo spacciatore di carne”, anche questo forse un thriller, o forse no; forse un romanzo con implicazioni filosofiche. Oppure qualcosa che non è educato dire. Coerentemente Russo, tra tante analisi sullo stile simil pulp e sulla particolarissima sintassi e grammatica di Sangiorgi, proprio in riferimento al ricorrente tema del “nulla” presente nel romanzo, e al probabile stato del lettore, ha riesumato il conte Mascetti di Amici miei: “Beato te che ‘un capisci ‘na sega” (pag. 215). In effetti  questo “Spacciatore di carne” pare abbondare di passaggi piuttosto criptici e ricchi di “nientificazione”: “Appena varcata la soglia di questa porta, protetta da una tenda a spirali di plastica, bianche e blu, io sarò niente di niente, in un treno che mi porterà verso il niente di niente”. Ma anche: “Una vetrina deve convincere a farti entrare, io a lasciar che io entri”. Terza sezione infine con “I premiati”, Scurati e Piperno, a rigore due scrittori autentici. Certo è che la selezione di brani, o “padellate”, come le chiama Pippo Russo, non risultano molto rassicuranti: tra sfoggio accanito di un’erudizione che si scopre in realtà contenere innumerevoli svarioni, ed ossessioni ricorrenti i romanzi dei “premiati” ci vengono raccontati alla stregua di mattoni indigeribili. Si parte dal “pene riluttante” scritto dal “Grande cauterizzatore dell’eros” e dalla “tendenza di Scurati a esser Furio, cioè a sezionare in 16 parti il pelo di chiappa” (pag. 249), con l’inevitabile ricaduta sullo stile e sulla plausibilità della trama, per arrivare al “Predestinato”, ovvero Alessandro Piperno. I titoli dei paragrafi dedicati allo scrittore romano mi pare dicano tutto: “Saghe e seghe familiari. Ovvero, teoria e pratica della masturbazione letteraria”, “La lingua neo-geroglifica del Predestinato”.

Qualche citazione: “Il mio contatto diretto con la realtà finiva lì, in quel manubrio di bachelite chiuso nella stolida reticenza delle cose inanimate” (Scurati); “ Il mesmerismo ineffabile di cui è capace la folla aveva prontamente collegato, attraverso nessi imperscrutabili, una politica di sistematico e deliberato impoverimento della scuola pubblica alla follia criminale dell’assassino” (Scurati); “Sull’onda della constatazione di negligenza, gli viene spontaneo esumare dal catasto della memoria uno degli ultimi weekend trascorsi con Giorgia” (Piperno e il catasto). Pippo Russo con questo suo libro ci ha raccontato una sorta di viaggio nella sciatteria e nella trombonaggine di successo, che forse sarà presto replicato con altri nomi noti di scrittori – non scrittori e scrittori premiati. Un libro che inevitabilmente risulterà molto apprezzato ed altrettanto odiato. Le “voline” e i “volini” sono avvisati.

Edizione esaminata e brevi note

Pippo Russo, (Agrigento, 1965) è un sociologo, saggista e giornalista italiano. Insegna sociologia all’Università degli Studi di Firenze. Ha scritto per l’Unità, il Messaggero, e per le edizioni fiorentina e palermitana di La Repubblica. In passato ha collaborato con il Manifesto (per il quale ha inventato la rubrica Pallonate, in cui venivano messi alla berlina i vizi del giornalismo sportivo italiano), il Riformista, il Fatto Quotidiano, Pubblico e il Corriere della Sera. Ha esordito nella narrativa nel 2006, con il romanzo Il mio nome è Nedo Ludi.

Pippo Russo,“L’ importo della ferita e altre storie. Frasi veramente scritte dagli autori italiani: Faletti, Moccia, Volo, Pupo e altri casi della narrativa contemporanea”, Clichy (collana Beauborg), Firenze 2013, pag. 300.

Luca Menichetti. Lankelot, ottobre 2013

Recensione già pubblicata il 27 ottobre 2013 su ciao.it in versione ridotta e qui modificata ed ampliata