Quando un politico italiano si propone come autore di un libro è inevitabile essere molto ma molto diffidenti: i precedenti, sfacciate operazioni propagandistiche fatte di niente, non sono rassicuranti. Nel caso di Civati e del suo “Rivendicazione della politica”– e non lo scrivo perché il personaggio mi ispira una certa simpatia – probabile le cose stiano un po’diversamente. Anche quelle che potranno apparire ovvietà in qualche modo rappresentano un documento di un certo interesse, nella considerazione che molto di quanto scritto soltanto pochi mesi fa comunque faceva pensare a possibili scenari di rinnovamento generazionale e addirittura a qualche timida riforma volta a moralizzare la politica. Ed invece, come da tradizione, non c’è stato nemmeno bisogno dei gattopardi per far tornare in auge i soliti devastatori della cosa pubblica: libro edito nell’ottobre 2012 e poco dopo ecco l’ennesimo e forse definitivo harakiri del Pd, la resurrezione di Lazzaro(ne) -Berlusconi (peraltro senza nemmeno l’intervento di Gesù ma semmai di un folto gruppo di Barabba progressisti), i cittadini-onorevoli 5 Stelle che volevano mandare tutti a casa e che, coerenti col noto adagio “l’obiettivo è niente, il movimento è tutto” (E. Bernstein), probabilmente manderanno a casa se stessi. Al netto della possibile propaganda l’opera di Civati, avendo voluto raccontare cos’è e cosa dovrebbe essere il Pd, e poi il rapporto non tanto con il M5S in quanto tale, pieno di difetti e malamente condizionato da Grillo, ma con gran parte delle istanze portate avanti da quel movimento, ha mostrato ancora una volta come nell’ormai devastato partito della sinistra pseudo-riformista abbiano convissuto anime enormemente distanti, tra una base non necessariamente fatta di estremisti ed una dirigenza che condivide le preoccupazioni e i desideri famelici dei loro presunti antagonisti: le argomentazioni presenti in questo piccolo libro, un po’ pamphlet, un po’saggio, un po’ carta di intenti – tanto per fare un esempio – appaiono lontane distanze siderali da quanto andiamo a leggere su Europa e negli editoriali di Stefano Menichini, uno dei tanti che identificano la velina col giornalismo.
Al di là del volerle pure considerare banali e scontate, su Europa e sull’Unità non leggeremo mai frasi come queste: “L’antipolitica allora non è quella rappresentata dal MoVimento 5 Stelle, che rifiuta piuttosto questa politica, ma è una disciplina tutta-autoreferenziale a cui si sono dedicati in molti” (pag. 10); oppure quale risposta ai mantra spesso tirati fuori, mentendo, per giustificare l’ingiustificabile (ad esempio opere pubbliche inutili): “Oltre a quello che ‘l’Europa ci chiede’ tra l’altro andrebbe posto il problema di fare alcune cose che in Europa ci sono e l’Europa, potremmo dire, ‘ci suggerisce’” (pag. 64); ed anche: “Serve un partito […] che concepisca l’antipolitica come richiesta di una nuova politica, soprattutto. E che, per favore, non la chiami più così. Che risponda alle domande, senza offendersi, senza discutere del tono con cui sono formulate, per evitare di rispondere alle questioni che pongono” (pag. 74). Poi, in concreto, sappiamo com’è andata. In questo senso ci appare facilmente profetico un altro passaggio: “Il pericolo è, però, che il disegno stellare di Grillo si stia componendo in una costellazione che assomiglia a quella di un nuovo (ma antichissimo) animale politico, che è insieme il più grande paradosso della politica italiana di ogni tempo: quell’animale che tutto vuol cambiare e che, consapevolmente o inconsapevolmente, sta facendo perché nulla cambi” (pag. 53). Peraltro, tra considerazioni sulla “iperdemocrazia” e non soltanto, sostenute da studi strettamente politologici, il nostro Civati non si sottrae alla tentazione di rottamare un celebre rottamatore: “La soluzione di Renzi sembra rispondere alle esigenze manifestate da più parti (quasi tutte), senza però illustrare un percorso di partecipazione politica compiuta, senza dichiarare qual è la riforma della politica a cui mira il suo progetto […] Per ora c’è un leader, sostenuto da slogan di sicuro effetto, che mira a rovesciare l’attuale sistema, all’interno del centrosinistra ma non solo” (pag. 36). Questo non vuol dire che Civati in questo libro si proponga con toni tali da ricordare i vizi e i vezzi della sinistra più radicale, settaria e gelosa della propria identità. L’impressione rimane diversa anche quando si legge la sua interpretazione di una nota frase di Serge Quadruppani: “Ci sono due modi di non esere né di destra né di sinistra: un modo di destra e uno di sinistra”. Certo è che la parte del libro più “propagandistica”, se così vogliamo chiamarla, è tutta incentrata sulla domanda (e relativa risposta strettamente legata alla partecipazione dell’Italia ad un’Europa a “12 stelle”) se sia possibile immaginare una riforma del sistema attuale, una sua moralizzazione senza che si imponga una scorciatoia populistica (e qui sempre volendo interpretare correttamente la parola “populismo”).
La parte del libro in qualche modo più “scientifica” è invece affidata, in appendice, a due brevi scritti che hanno l’ambizione di proporre qualcosa di più complesso rispetto un semplice editoriale. Simona Guerra, dottore di ricerca in Scienze Politiche e Studi Europei, affronta il tema “Le cinque stelle e il populismo”: “I populisti possono essere moralisti, ma non sono mai programmatici” (e i recenti fatti di cronaca politica sembrano aver dato ragione a questa affermazione). Francesco Astore, membro del Forum Nazionale Giovani, con “Facciamo vincere Grillo (ma non come vuole lui)” abbonda in citazioni, tra Trevor Fitzgibbon (uno dei fondatori di MoveOn), Colding-Jorgensen, e dove soprattutto, con buona pace di coloro che pensano ai 5 Stelle come qualcosa di futuristico e del tutto nuovo, si coglie come “la mole di ideee che Grillo ha raccolto nel suo blog e nel programma del MoVimento e numerose proposte hanno ormai parecchi anni sulle spalle e alcuni dei pilastri del pensiero grillino sono addirittura ottocenteschi, altri traggono origini dalla storia antica” (pag. 102). Ripetiamolo: al di là di poter considerare questa operazione editoriale l’ennesimo strumento di propaganda bisogna ammettere che Civati, in questo caso, ci ha risparmiato disquisizioni tipo “liberismo si, liberismo no”, ovvero contrapposizioni ideologiche spesso fittizie (dove peraltro i concetti e le parole sono usate spesso senza alcuna consapevolezza) quale tattica per conservare l’esistente e per poi lucrarci sopra.
Edizione esaminata e brevi note
Giuseppe Civati (1975), dottore di ricerca in filosofia, consigliere regionale in Lombardia, dal 2009 fa parte della direzione nazionale del PD. Ha dato vita a movimenti di rinnovamento all’interno della sinistra ed è tra i promotori di Prossima Italia. Ha scritto numerosi libri, tra cui Nostalgia del futuro (Marsilio, 2009) e Il Manifesto del partito dei giovani (Melampo, 2011).
Giuseppe Civati, “La rivendicazione della politica. 5 Stelle, mille domande, qualche risposta”, Fuorionda (collana Interferenze), 2012, pag. 115
Luca Menichetti. Lankelot, maggio 2013
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