Romanzo d’esordio della scrittrice tedesca Julia von Lucadou, La tuffatrice è pubblicato nel nostro paese con la traduzione di Angela Ricci dalla casa editrice Carbonio. Il libro segue le vicende di due donne: Riva Karnovsky, superstar dell’high-diving (tuffarsi dai grattacieli più alti e fare evoluzioni fino a atterrare senza schiantarsi al suolo), e Hitomi Yoshida, psicologa del lavoro. La prima ha infatti smesso da un giorno all’altro di allenarsi e partecipare a gare e esibizioni; la seconda è stata assunta per capire i motivi di questa scelta e riportare la famosa atleta sulla via delle competizioni.
Il punto di vista che ci viene offerto è quello della giovane psicologa, che si muove tra la sorveglianza via videocamere e microfoni nascosti inseriti nell’appartamento dell’atleta, report da fare ai superiori e all’azienda che gestisce l’immagine e, si può dire, la vita della paziente, il secondo lavoro come aiuto psicologico telefonico, e ricordi personali della propria infanzia. La scrittura che viene restituita dalla traduzione è immersiva e con lo scorrere delle pagine e l’accumularsi delle informazioni si inizia a comprendere di trovarsi in un mondo in cui gli esseri umani vengono indirizzati fin dall’infanzia a seconda delle loro capacità e della loro adattabilità. Esistono istituti dove i genitori mandano la propria prole per essere educata (non si cresce nelle proprie famiglie biologiche) e a tempo debito ogni ragazza e ragazzo farà dei casting che decideranno della loro vita, dei loro lavori di partenza che potranno, grazie alle loro capacità e impegno, migliorare per avanzare a livello sociale (e a ogni livello, essendo tutto basato sul debito/credito in una spirale che si vorrebbe infinita).
“Un’elevata capacità di adattamento era essenziale per avere successo nella vita. […]
Uno dei capisaldi dell’educazione impartita dall’istituto era che la personalità fosse modificabile. Bastava solo lavorarci a sufficienza.” (pag. 125)
Così Riva aveva dimostrato capacità fuori dal comune per l’high diving, mentre Hitomi con la sua adattabilità e comprensione era stata diretta verso la psicologia. Una psicologia che, però, non è quella che potremmo pensare noi, ma una versione adattata alla società del romanzo.
“Io stessa, durante gli studi, ho dubitato della moderna psicologia, non mi convinceva il fatto che escludesse del tutto il periodo dell’infanzia” (pag. 243).
Libri cui mi sono ritrovato a pensare durante la lettura sono stati (l’ovvio) 1984 di Orwell (trad. S. Manferlotti, Mondadori) e, tra gli usciti negli ultimi anni, Il cerchio di Eggers (trad. V. Mantovani, Mondadori) e Configurazione Tundra di Mirabelli, esordio anche questo, pubblicato da Tunué. Soprattutto con quest’ultimo, probabilmente perché ho letto i romanzi quasi in contemporanea, ho trovato vari punti di contatto (l’organizzazione della società per funzioni, la struttura urbanistica – seppure molto diversa nei due casi – finalizzata a efficienza e realizzazione personale, le protagoniste che vengono guidate, con esiti differenti, verso alternative che all’inizio dei libri non avrebbero immaginato) tanto che consiglierei a chi sta leggendo questo articolo di fare la stessa esperienza: leggerli entrambi.
Tornando a La tuffatrice mi viene in mente la storia o il principio della rana bollita descritto da Noam Chomsky. Riassumendo: se getti una rana in un pentolone di acqua bollente la rana schizzerà via, ma se metti la rana in un pentolone di acqua a temperatura ambiente e poi lo metti a scaldare sul fuoco la rana si abituerà alla temperatura crescente e, quando l’acqua sarà troppo calda, non avrà la forza per saltare fuori. Questo romanzo è un po’ simile: la superatleta a disagio con tutto ciò che è diventata è la rana che si è accorta della temperatura che si sta facendo troppo alta; la psicologa del lavoro è la rana che non crede alla temperatura alta; chi legge è la rana che, via via che prosegue la storia, inizia a capire, ma è solo una persona che legge. Inutile dire che ci sono molti personaggi-rane che si trovano bene nell’acqua, chi più chi meno, a seconda della propria sensibilità, e non accettano che qualcosa o qualcuno (forse rane ribelli?) possa mettere in discussione la porzione di mondo che abitano. Più che persone sono funzioni, spesso inconsapevoli, essenziali finché rimangono su dati binari, meno essenziali o del tutto accessori se ne escono.
Il rapporto di Hitomi con Riva si fa sempre più stretto e più contrastato, così come quello tra Hitomi e il suo capo, Master, all’inizio conciliante con le decisioni prese dalla giovane per riportare sulla retta via la superstar e poi duro, insofferente, aggressivo a dispetto dei cambi di arredamento del proprio ufficio, volto a dare un’impressione di calma, tranquillità e totale distensione.
Chi legge affianca Hitomi e si trova a lottare tra i tentativi di razionalizzare, analizzare lucidamente, in modo distaccato, le situazioni e le proprie emozioni e, appunto, ciò che prova, che sogna, i suoi ricordi d’infanzia e d’adolescenza e i desideri che solo con grande sforzo è riuscita a nascondersi.
“Durante gli studi ci hanno insegnato a tenere corsi di resilienza. I nostri clienti erano manager come Master. Per esempio dovevano saltare su un piede solo, tenendo in equilibrio sulla testa una matita. L’obiettivo era capire come ci si sente quando si è insicuri. Quando si perde l’equilibrio. E il controllo. Loro prendevano quegli esercizi molto sul serio… Ma era comunque evidente per tutti noi che dovessero ritenere quell’esercizio un’assurdità. Nessuno degli uomini e delle donne del corso, né tantomeno noi, poteva immaginare cosa vuol dire veramente perdere l’equilibrio. Eravamo troppo impegnati a mantenere la nostra stabilità per capirlo.” (pag. 132).
Edizione esaminata e brevi note
Julia von Lucadou è nata a Heidelberg nel 1982. Ha conseguito un dottorato in scienze cinematografiche e ha lavorato come assistente alla regia e redattrice televisiva. Attualmente vive tra Bienna, New York e Colonia. La tuffatrice è il suo romanzo d’esordio. È stato candidato al Klaus Michael Kühne Prize for Best Debut 2018 e allo Schweizer Buchpreis 2018. Ha vinto lo Schweizer Literaturpreis 2019.
Julia von Lucadou, La tuffatrice, traduzione di Angela Ricci, collana Cielo Stellato, Carbonio editore 2020
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