Come giustamente viene ricordato, Carlo Cottarelli per qualche tempo “ha goduto di grande attenzione mediatica”: incaricato da Enrico Letta, il “commissario straordinario alla spending review”, è stato poi disinvoltamente licenziato da Renzi, quello di #enricostaisereno. Evidentemente il Bomba ha voluto dare serenità anche al buon Cottarelli. Comunque sia “La lista della spesa”, il libro che ripercorre gli studi, le diagnosi, le riflessioni scaturite dai mesi di lavoro a contatto con la P.A. italiana, ci è sembrato estremamente equilibrato, anche nei passaggi che alcuni hanno interpretato come polemici alla stregua del levarsi certi “sassolini”. Il lavoro di Cottarelli – ricordiamolo – è stato quello di analizzare nel dettaglio la spesa pubblica italiana e quindi di proporre rimedi sia per risparmiare, sia per “efficientare”. Da qui, espresse con uno stile colloquiale e divulgativo, le riflessioni, il ricordo di usi e costumi ministeriali a dir poco discutibili, le diagnosi che rispondono (in parte) agli interrogativi che ancora una volta leggiamo in quarta di copertina: “Dove vanno a finire tutti i soldi che paghiamo con le tasse? Davvero spendiamo troppo per i servizi pubblici? Perché si finisce sempre a parlare di tagli alle pensioni? Sprecano di più i comuni, le regioni o lo stato centrale? Perché tutti i politici dicono che taglieranno gli sprechi e nessuno lo fa mai? Ma gli altri paesi come fanno?”
L’immersione nei meandri della tentacolare P.A. italiana ha prodotto una relazione di cui il governo pare aver tenuto conto soltanto in parte e con una prospettiva di lungo medio-lungo termine. Probabilmente non proprio un atteggiamento da rottamazione e particolarmente decisionista, ma – ripetiamolo – in merito Cottarelli non ha infierito ed anzi, secondo noi, ha mostrato un fare da gran signore. Molto più esplicito semmai il Cottarelli più recente, quello che ha espresso non poche perplessità sull’intenzione di tagliare le tasse facendo 17 miliardi di deficit: “è inefficace. Perché “gli investitori non credono alla possibilità che quella riduzione fiscale sia permanente, soprattutto se il debito pubblico è elevato. Risultato: prima o poi la pressione fiscale risale”. Altro discorso con la “Lista della spesa, i cui intenti sono subito resi espliciti: “spiegare, in termini semplici ma precisi, quanto si spende, come si spende, quanto è stato fatto e quando resta da fare” (pp.10), salvo precisare che, evitando di dare credito alle leggende metropolitane (“tutta la spesa è spreco”, “se si taglia la spesa pubblica di distrugge il welfare state”), nel suo lavoro di commissario Cottarelli si è occupato della cosiddetta spesa primaria (739 miliardi) e non della spesa per interessi. In altri termini l’analisi, che potrà pure sorprendere qualche lettore fin troppo condizionato da luoghi comuni, ha investito sia la frammentazione degli acquisti di beni e servizi, la questione delle auto blu, le spese militari, le spese dei comuni, il cosiddetto capitalismo degli enti locali, i tre milioni di lavoratori pubblici, le cosiddette “mancette” (quello che negli Stati Uniti si chiama “pork barrel spendig”), i costi della politica, i soldi alle imprese, la spesa sanitaria (“L’Italia un sistema della spesa sanitaria che in confronto a quello della maggior parte dei paesi avanzati, funziona abbastanza bene” – pp.153), le spese previdenziali. Riguardo queste ultime in particolare, il commissario alla spendig review ha ribadito più volte che “comunque la si metta, la spesa italiana per le pensioni rispetto al Pil è, probabilmente, la più alta tra i paesi avanzati” (pp. 167), e senza considerare i costi di assistenza pura: la spesa degli enti previdenziali rappresentava nel 2013 il 43 per cento della spesa pubblica primaria. Problema di difficile soluzione che sconta eccessive generosità passate ed è condizionato dalla composizione sociale e anagrafica del nostro paese.
Queste osservazioni potranno pure irritare, ma certo è che gran parte del lavoro di Cottarelli ha voluto dire confrontare la spesa italiana con quella estera (in particolare con quella dei paesi dell’area euro) e, assunto un concetto relativo di livello di spesa pubblica appropriata, sostanzialmente ne è scaturito che in Italia spendiamo troppo in quasi tutti i settori, con l’eccezione di cultura e istruzione: “fra l’altro, studi condotti dal dipartimento di Finanza pubblica del Fondo monetario internazionale, che ho diretto fino al 2013, indicavano che la spesa per l’istruzione è quella che più fa aumentare il reddito di un paese nel medio periodo” (pp.23). E qui subito una stoccata: “Nel corso del mio lavoro come commissario, in diverse occasioni, sono state approvate nuove iniziative di spesa per le quali si prevedeva che il finanziamento sarebbe arrivato dall’attività di Revisione della spesa (senza peraltro richiedere l’opinione di chi, appunto, doveva proporre come ridurla). In altri termini si finanziavano nuovi esborsi (la cui qualità non era stata vagliata) attraverso nuovi tagli non ancora decisi” (pp.25). Anche qualche altro passaggio mostra un Cottarelli “perplesso”: “Un po’ più di 300 milioni li riceve l’istruzione privata. Questo trasferimento resta per me un mistero, tenendo conto dell’art. 33 della Costituzione […] Mi si dice che quel “senza oneri per lo stato” significa che lo stato non è obbligato a trasferire risorse a scuole e università private, che può farlo se vuole. Mah! Resto perplesso” (pp.145).
Bisogna inoltre precisare che Cottarelli ha seguito prevalentemente un approccio macroeconomico al fine di “valutare la dimensione globale del problema”. Analisi quindi di un economista non esperto di diritto che, per sua stessa ammissione, è rimasto spiazzato di fronte alla farraginosità delle leggi italiane. Un grave limite del sistema politico italiano che ci conferma quanto pensiamo da tempo (a quanto pare concordando con lo stesso Cottarelli): le analisi e le proposte suggerite dagli economisti – almeno da quegli economisti che non vivono di dogmi – possono essere sicuramente utili, ma poi se governo e uffici legislativi sono in mano a uomini di partito, cialtroni e chiacchieroni incapaci di scrivere una normativa decente e comprensibile, non è possibile dare alcun seguito a obiettivi sulla carta anche apprezzabili. Il libro va detto che tocca spesso argomenti a dir poco dolenti e che media, politici e burocrati negli anni hanno fatto diventare degli autentici tabù.
Cottarelli, ad esempio, preferisce “non parlare della Torino – Lione” non sapendone abbastanza, ma poi in merito ai trasferimenti alle Ferrovie (al netto delle spese per interessi) scrive che “si potrebbero fare investimenti non necessari: un caso spesso citato, anche perché si dice che le Ferrovie stesse avessero perplessità rispetto al progetto, è il cosiddetto “Terzo Valico” […] Altro esempio: l’Alta Velocità in Italia è probabilmente la migliore d’Europa ma, per chilometro, ci è costata molto più che in altri paesi e chi ha guardato le cose da vicino ha concluso che, a parte le tratte più battute, l’investimento è scarsamente giustificabile” (pp.147). Affermazioni, ripetiamolo, molto prudenti ma è evidente che osservazioni del genere, in presenza di personaggi come Incalza e Lupi, non abbiano ricevuto la minima considerazione. Eppure le proposte del commissario alla spendig review, che comunque finirebbero per scontentare qualcuno, hanno evidenziato alcuni percorsi possibili con un approdo auspicabile: è possibile ridurre la spesa anche senza subire le conseguenze dell’austerity e senza il pericolo di recessione. Un percorso, appunto, ma in assenza della politica, o quanto meno di politici capaci, le idee del Cottarelli di turno rimarranno sempre lettera morta.
Edizione esaminata e brevi note
Carlo Cottarelli, (Cremona, 1954), laureato a Siena e alla London School of Economics, dopo aver lavorato in Banca d’Italia ed Eni, dal 1988 è al Fondo monetario internazionale. È stato commissario straordinario per la revisione di spesa, nominato dal governo italiano, da ottobre del 2013 a novembre 2014. Ha scritto numerosi articoli e saggi accademici.
Carlo Cottarelli, “La lista della spesa. La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare”, Feltrinelli (collana Serie bianca), Milano 2015, pp.203.
Luca Menichetti. Lankelot, agosto 2015
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