La vicenda del “mostro di Firenze”, proprio a causa di tutti i suoi misteri irrisolti, ha partorito una ricca letteratura fatta di complotti, versioni alternative alla verità giudiziaria, nelle quali appare spesso un serial killer solitario, colto e raffinatissimo. Insomma nulla a che vedere con i “compagni di merende”, personaggi violenti e perversi, oltre che profondamente grezzi.
“La strana morte del dr. Narducci”, breve saggio di Cardinalini e Licciardi, in questo panorama editoriale fatto di improbabili scoop e interessate fantasie, ha un pregio innegabile: i due giornalisti hanno ricostruito le ultime ore del giovane medico perugino e di tutto quanto ne è scaturito, soprattutto sulla scorta di verbali di polizia giudiziaria e di atti giudiziari. Misteri ed inquietudini che quindi nascono da rilievi oggettivi. Se i processi a Pacciani e amici merenderi ancora rimangono nella memoria di molti, malgrado le scarse conoscenze su una vicenda complicatissima e dai contorni ancora non del tutto chiariti, forse meno noto è il caso che ha visto coinvolto il giovane medico perugino Francesco Narducci. O meglio: che ha visto coinvolto il suo cadavere. Il racconto di Cardinalini e Licciardi, che si legge d’un fiato malgrado sia scritto con un necessario distacco cronistico e senza velleità romanzesche, inizia in un giorno d’autunno, esattamente un mese dopo l’ultimo duplice omicidio attribuito al “mostro di Firenze”: l’8 ottobre 1985. Quel giorno Francesco Narducci, giovane medico appartenente ad una facoltosa famiglia perugina, scomparve misteriosamente mentre si trovava a bordo della sua imbarcazione sul Trasimeno. La mattina aveva ricevuto una telefonata e si era subito mostrato estremamente agitato. Poi, a metà pomeriggio, mentendo a familiari ed amici, si era recato al lago.
Quattro giorni dopo venne ritrovato vicino alla riva un corpo, gonfio e apparentemente irriconoscibile. In gran fretta medici legali, procura e familiari riconobbero nel cadavere il giovane dottore scomparso: “La morte per annegamento viene data per scontata e le molte autorità presenti sul posto riconsegnano il corpo alla famiglia per la sepoltura. Tutto sembra finire lì”.
Venti anni dopo però la magistratura perugina torna sul caso e la scoperta è sconcertante: con la riesumazione si scopre che dentro la bara c’è un corpo diverso da quello ripescato nel lago.
Ed inoltre dall’autopsia si capisce che la morte non è avvenuta per annegamento ma per strangolamento. Cardinalini e Licciardi danno conto di come già nel 1985 alcune delle persone presenti sul Trasimeno avessero colto, proprio per le caratteristiche fisiche, i capelli, l’altezza, la presenza di un documento asciutto su un corpo immerso nell’acqua per giorni, che quel cadavere ripescato nel lago non poteva appartenere allo scomparso dottor Francesco Narducci. Da qui tanti interrogativi, molti dei quali ancora senza risposta. Quando è morto Narducci? Perché tutta questa fretta nel far sparire quel corpo ed archiviare la cosa come un annegamento? Perché non fu eseguita una vera e propria autopsia? Quando è avvenuto lo scambio di cadaveri tra il “negroide” portato via dalle rive del lago e quello riesumato dalla bara? Di chi era il corpo ripescato al lago Trasimeno e che fine ha fatto? Come si è scoperto che il giorno dell’effettivo ritrovamento del corpo non fu domenica 13 ottobre ma il 9, poche ore dopo la scomparsa del dottore? Se è vero quanto ricostruito dagli inquirenti a seguito della riesumazione, prendendo atto della tesi del “doppio cadavere”, com’è stato gestito il vero corpo di Narducci prima dell’allestimento della camera ardente? Quale collegamento è esistito tra il giovane medico e i personaggi perversi che gravitavano nella campagna toscana tra messe nere e le merende di Vanni e Pacciani?
Senza entrare troppo nel dettaglio di una vicenda che – ripetiamo – ancora oggi risulta estremamente complessa e che ha condotto ad alcuni rinvii a giudizio, il succo del discorso è presto detto: dalle carte in possesso della magistratura e delle forze dell’ordine ci appare un mondo popolato da personaggi, a volte altolocati, affetti da gravi devianze psichiche e sessuali, dediti ad ogni sorta di perversioni, che spesso si conoscevano, che frequentavano gli stessi ambienti (puttane, orge, riti esoterici) conosciuti anche dai grezzissimi compagni di merende. L’inchiesta sui presunti “mandanti” dei “mostri di Firenze” ha quindi preso la via del movente esoterico, ma si sono presto alzati muri di omertà; e, come si può cogliere leggendo la cronaca di Cardinalini e Licciardi, con tanto di interventi omissivi, volti a mettere la mordacchia alle indagini, da parte di personaggi legati alle istituzioni dello Stato e alle logge massoniche. Peraltro il dottor Narducci era stato già stato messo sotto sorveglianza per i delitti del “mostro”, sulla base di sue presunte frequentazioni che gravitavano vicino a Pacciani e ai “maghi” di San Casciano. Tra le carte in possesso degli inquirenti leggiamo affermazioni di alcuni personaggi, poi cambiate nel tempo, ma che rivelano la delicata posizione del medico: “Petri mi disse che stavano pedinando da tempo il medico, perché avevano trovato dei resti umani femminili dentro il frigorifero della sua abitazione di Firenze” (pag. 19).
Il colonnello Colletti, oggi a riposo, così ricorda quelle vicende: “Qualcuno nel corso delle indagini mi indicò Narducci come il capo di un gruppo di persone legate ai delitti del “mostro” di Firenze […] Il figlio del professor Narducci, che era uno degli esponenti della massoneria. Il professore ha fatto ammazzare il figlio dal garzone quando si è accorto di quello che stava combinando” (pag. 56). Voci, dicerie, che si sono intrecciate “in un groviglio dove è difficile distinguere verità e fantasia”, ma che mostrano come davvero le indagini avessero intrapreso una direzione delicata e col rischio di esporsi a denunce e querele. Certo è che quando l’inchiesta sul mostro, sui mandanti e sulla strana morte di Narducci, l’uomo dai due cadaveri, ha lambito personaggi importanti, allora anche le logge massoniche si sono messe in allarme e si sono attivati personaggi legati alla famiglia del medico, ad esempio degli strani legali, che il libro descrive molto bene nella loro aggressività ed ambiguità. Tanto per capirci – e sempre valutando con la dovuta cautela – agli atti degli incidenti probatori e delle testimonianze raccolte dagli inquirenti risultano affermazioni del genere: “In quelle riunioni [n.r.d. massoniche] non si era detto che Narducci fosse il mostro di Firenze ma che fosse uno dei mostri di Firenze […] La conclusione di tutte le logge su che in effetti il Narducci era purtroppo coinvolto in quei delitti. L’ordine dato dalle logge sui risultati delle loro indagini fu quello di mantenere la segretezza ma devo precisare che mi risulta che una parte fu dissenziente perché voleva far emergere la verità” […] Il gruppo frequentato da Narducci era composto da gente altolocata e ben protetta dalle forze dell’ordine” (pag. 60, 63).
Altre pagine raccontano con maggiori dettagli delle presunte frequentazioni del medico perugino con personaggi che abitavano nelle campagne fiorentine e a San Casciano. La prostituta Gabriella Ghiribelli, già frequentata da Vanni e Pacciani e presente ai festini organizzati in una casa colonica e a casa del mago Salvatore Indovino, parla del suo rapporto sessuale con Narducci. Anche la collega Maria Pellecchia ne parla: “mi diede l’impressione di avere dei problemi. Non fu violento, ma nell’amplesso fu brutale e aggressivo […]. (pag. 122). Un libro pieno di affermazioni gravi e che mostrano inquietanti complicità tra apparati dello Stato e altolocati figuri dediti a pratiche perverse ammantate di satanismo ed esoterismo. Salvo dover purgare tutte le indagini da fantasie e depistaggi e aver preso atto che gli ultimi processi sui “mandanti” sono finiti nel nulla, delle due l’una: o davvero per anni gli organi dello Stato hanno preso lucciole per lanterne infierendo su poveri innocenti, oppure la direzione intrapresa è ancora quella giusta ma gli anni, i decessi, gli iniziali errori hanno compromesso l’accertamento giudiziario di una vicenda ancora nebulosa e che, senza il condizionamento di rigide teorie criminologiche, in parte si può cogliere usando grandi dosi di buon senso. Malgrado gli esiti processuali (nel 2010 il gup di Perugia Paolo Micheli ha prosciolto diversi familiari del medico motivando che Narducci si è suicidato, ma P.M. Giuliano Mignini, ha impugnato la sentenza in Cassazione il 7 marzo 2012), anche in virtù della lettura del libro, rimane fermo il dubbio che Pacciani, Vanni e Lotti non siano stati affatto gli unici responsabili degli omicidi delle coppiette; e che da questi delitti ne siano scaturiti altri volti ad occultare le gesta di un gruppo di facoltosi pervertiti.
Edizione esaminata e brevi note
Luca Cardinalini, nato a Marsciano (Perugia), è giornalista Rai. Collabora con il quotidiano «il manifesto» sul quale ha tenuto una rubrica settimanale: «la barba al palo».
Pietro Licciardi è nato a Pisa nel 1960 ma ha vissuto a Livorno per oltre trent’anni. Qui ha iniziato la sua carriera collaborando con la redazione locale de «La Nazione». Nel 1988 è passato a «Il Telegrafo», dove ha svolto il praticantato. Dal 1993 lavora a Roma dove collabora con la Rai e lavora come ufficio stampa. È coautore del libro Gli «Affari Riservati» del mostro di Firenze, (Roma 2002).
Luca Cardinalini, Pietro Licciardi, La strana morte del dr. Narducci. Il rebus dei due cadaveri e il «mostro» di Firenze, DeriveApprodi, Roma 2007, pag. 142
Luca Menichetti. Lankelot, maggio 2012
Recensione già pubblicata il 12 maggio 2012 su ciao.it e qui parzialmente modificata.
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