Chi ancora non avesse letto “Plettri nelle mani di Dio” si potrebbe chiedere: “ma che significato ha l’ennesima biografia sui Beatles?”.
Domanda mal posta perché l’opera di Barghi e Grasso non pretende certo di essere una summa esaustiva dell’arte dei Beatles e, per fortuna, neppure uno stitico bignami ad uso di chi non conosce il quartetto di Liverpool.
Il libro, nell’economia di poco più di 160 pagine, si rivela semmai come un’intelligente e competente riflessione su aspetti probabilmente trascurati dai fan più superficiali, sia dalla critica musicale, la quale, almeno in Italia e nel campo pop-rock, spesso dimostra di non essere tale; ovvero di limitarsi a compitucci di mera cronaca gossippara.
Quindi ben vengano libri come “Plettri nelle mani di Dio”, dove gli autori, che pure non hanno fatto della musica la loro professione ufficiale, hanno dimostrato più capacità e rigore dei cosiddetti professionisti.
La passione di Barghi e Grasso per il quartetto di Liverpool è tale – in questo sta il valore aggiunto del libro – da non far perdere quel senso critico altrove assente.
C’è una pagina che vale l’intero libro, goduriosa per tutti coloro che per anni hanno letto bestialità senza che fosse replicato alcunché.
Leggiamo: “nei primi anni settanta circolavano in Italia alcuni critici (per esempio Bertoncelli) che tacciavano i Beatles di fenomeno puramente commerciale e perbenista, una specie di bibita dolciastra buona solo per generazioni passeggere di teen agers urlanti, oppure (Massarini) che consideravano insostenibile il paragone tra i sorpassati Beatles e i meravigliosi Traffic” (pag. 119).
Soprattutto Massarini “Mister Fantasy” lo conosciamo da tempo, recidivo con giudizi a dir poco avventati (forse molto “fantasy”) nel dissimulare la sua ignoranza e pregiudizio in modernità e capacità critica. Al di là dei gusti personali era giusto ricordare qualche perla dei nostri cronisti musicali (ecco, una definizione migliore rispetto a “critici”).
Deve comunque essere chiaro che queste digressioni nella polemica, che – ripeto – ritengo anche doverosa, sono solo alcuni degli elementi caratterizzanti il libro di Barghi e Grasso: per il resto, come già rilevato da coloro che hanno letto e commentato “Plettri nelle mani di Dio”, l’opera evita quel rischio sempre presente quando si affrontano in poche pagine i cosiddetti “miti”, ovvero un freddo e sbrigativo riassunto biografico; oppure una semplice e dolciastra sequenza di luoghi comuni.
Di freddezza non c’è alcuna traccia perché, se pure Barghi e Grasso dimostrano di possedere dei validi strumenti critici e conoscenze tali da renderli di altra razza rispetto i normali fans che vivono di sole canzoni, la loro devozione al verbo beatlesiano è evidente.
Come in una religione ci possono essere i mistici e i razionalisti, i due autori mi pare riescano a trovare un virtuoso equilibrio tra entusiasmo “mistico” (si vedano lo stile, le iperboli) e analisi “razionale” (l’aver dato conto dell’impatto dei Beatles nella società e nel mondo musicale).
Proprio perché “Plettri nelle mani di Dio” non è una semplice biografia o stitica sintesi della vita e opere del quartetto, possiamo leggerlo iniziando da qualsiasi capitolo più ispiri al momento.
Il filo logico che tiene insieme le pagine del libro non è tanto quello cronologico, evidentemente non molto importante quando il suo valore aggiunto si scopre essere la notizia poco nota o la riflessione polemica, quanto appunto “l’imprinting musicale e sociale” indotto dai Fab Four: in altri termini la “spigolatura” tra le pagine non farà perdere nulla al lettore che voglia interpretare “Plettri” come un piccolo dizionario ad uso di fan raziocinanti e di mentalità aperta.
Tanti brevi capitoli tematici che giustificano percorsi di lettura diversi e futuri approfondimenti, tra ricordi personali, argomenti noti, meno noti e controversi (Quando erano i Bitols, Cosa resta dei favolosi Sixties, La democrazia dei Beatles, Un’anima di gomma, Quante cose nel 1964-1965, Il fascino discreto del passato, Uomini senza rivalità, Il coraggio del talento, Beatlemania, L’altopiano della musica, Il brutto anatroccolo, Piccoli album crescono, Tutti-per-uno, Meglio tardi che mai, Il basso dei Beatles, Otto anni che cambiarono la musica, Le voci dei Beatles, Two for Us, Te lo giuro sui Beatles, All You Need Is Music, Verità e(è) fatica, Troppo grande per essere vero, Le chitarre dei Beatles, Il ridicolo della serietà, Canzoni di pietra, L’Unione fa l’arte, Per John Winston, Il Mito nell’epoca della sua irriproducibilità, Insegnami la strada, Una e-mail dal cosmo).
Oltre al già ricordato significato dei Fab Four sulla società del tempo, inevitabilmente la maggior parte pagine sono dedicate alla musica in quanto tale, alle chitarre di Lennon, Harrison, al basso di McCartney, alla figura forse sottovalutata (ma non da Barghi e Grasso) di Ringo Starr, all’influenza malefica di Yoko Ono, alla qualità delle diverse voci soliste, alla progressiva e rapida evoluzione artistica dei quattro Beatles. O meglio cinque se vogliamo considerare George Martin che, pur privo di autentica genialità, come loro produttore e grazie alla sua formazione classica, ha saputo supportare e tradurre le idee dei quattro musicisti autodidatti.
Un tema spesso sottovalutato (“ci si scontra con una reciproca ignoranza, con poche eccezioni che confermano la regola generale: i musicisti colti sanno poco dei Beatles e i beatlesiani – non sempre – sanno poco di musica classica”) nei testi scritti dai critici e cronisti di musica rock pop ma che in “Plettri” troviamo esposto, magari più da lato polemico (vengono citati Karlheinz Stockhausen ed altri compositori d’avanguardia come simboli di una musica complessa, cervellotica, lontana dalla loro immediatezza), è proprio quello del rapporto tra i Beatles e la cosiddetta musica “accademica”, dalla loro iniziale repulsione alla scoperta e frequentazione.
Nel libro non vengono citati Leonard Bernstein, loro grande estimatore, ma semmai Berio; e parimenti si ricorda l’interesse di Lennon per Bach, per alcuni contemporanei e poi McCartney con le sue incursioni solistiche nel classico: “la straordinaria attitudine della musica dei Beatles (anche postuma) a farsi erudizzare” (pag. 54).
Potrei continuare a lungo, vista la grande quantità di spunti offerti dai due “dilettanti” Grasso e Barghi, ma mi piace terminare con una frase presente nella premessa e che riassume bene lo spirito “devoto” dei due autori: “Difficilmente il futuro ci riserverà artisti in grado di toccare il cuore della gente, di tutta la gente, come hanno fatto loro”.
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INTERVISTA AD ANDREA BARGHI
– L.M.: Nel leggere il libro si coglie molto bene la passione degli autori per i Beatles: c’è ben poca timidezza nel rivendicare la loro grandezza di musicisti, pur senza abbandonare un doveroso senso critico. Almeno questa la mia impressione ad una prima lettura.
Ma proprio in virtù di questa passione, che potrebbe rendere il fan una specie di fiume in piena, mi sono chiesto come siete riusciti ad organizzare il vostro lavoro a quattro mani.
Avevate un metodo di lavoro particolare, magari con tanto di litigate chiarificatrici, oppure tutto è si è svolto con maggiore libertà?
E poi: qualche argomento controverso su cui avete dovuto discutere prima della stesura definitiva?
– A. Barghi : Maurizio Grasso l’ho conosciuto nel 1998 per motivi professionali. Mi trovavo a casa sua con mio figlio Nicola che da un anno aveva intrapreso l’attività di musicista. Ci mettiamo a parlare di molte cose e quando si è fatta l’ora si andare via, senza aver accettato la sua proposta, Maurizio fa una domanda a Nicola: Cosa fai nella vita? Nicola: il musicista…ed io: siccome a me piacciono molto i Beatles e da piccolo Nicola li ascoltava dico che il merito è mio. Da quella domanda casuale è nata la nostra collaborazione: Maurizio ci dice che anche lui ha una passione viscerale per i Fab Four, suona con la chitarra, le loro canzoni. Iniziai a raccontagli cosa sapevo su di loro e…facemmo le due del mattino. Lui mi disse che voleva fare un libro sui Beatles e che dovevamo farlo assieme: “anche se non sei uno scrittore a me basta tu scriva quello che mi hai detto questa sera”. E il libro iniziò. Dopo alcuni giorni avevo scritto più di 90 pagine tutte di getto. Gliele mandai e lui mi mandò le sue. Poi estrapolò il titolo da una mia frase, e il libro dopo sei mesi era pronto. Ma a chi proporlo? Nell’attesa di questi 10 anni ognuno di noi separatamente rileggeva e smussava qualcosa; ed infine Maurizio ha fatto il montaggio del tutto mischiando i nostri contributi. Nessuna litigata. Soltanto molte idee che ci hanno stimolato a migliorarlo giorno per giorno: avevamo la stessa lunghezza d’onda.
– L.M.: Le prime pagine del libro raccontano – in prima persona – dei primi ascolti giovanili dei Beatles e di come poi la passione negli anni si sia sempre più approfondita. Immagino che quanto scritto, chiunque di voi due l’abbia fatto, sia comunque esperienza comune.
Lo dico perché nel leggere “Plettri nelle mani di Dio” si capisce come alla base di questo grande amore per la musica del quartetto vi sia anche una buona dose di erudizione, non solo tanti ascolti delle loro canzoni.
Mi chiedevo: prima di dedicarsi in prima persona nelle vesti di scrittore quali sono stati i testi e le biografie che trattavano dei Beatles e che in qualche modo hanno realmente aiutato a capire il fenomeno Beatles?
Una bibliografia ragionata (e apprezzata da Andrea Barghi) tra l’altro potrebbe essere utile anche a noi lettori.
– A. Barghi: La passione per i Beatles a mano a mano che gli anni passavano si è sempre più approfondita, e parlo a nome di tutti e due, perché le loro canzoni crescevano d’importanza, di impegno, di cultura; e noi con loro..
Ho sempre preferito le biografie originali, e tutti i libri di Mark Lewison (peraltro loro biografo ufficiale, il solo e l’unico autorizzato da tutti e quattro. Anzi, diciamo tutti e tre, poiché prima del 1980, l’anno della morte di John, Mark Lewison stava iniziando a comporre la loro biografia e ancora non era stato pubblicato nulla), che cito anche nel libro. E poi la loro monumentale biografia, ma quella è uscita dopo che avevamo scritto il libro nel 2001. Naturalmente mi è capitato di leggere altri libri su i Mitici, ma sono state solo grandi delusioni. Ricordo un libro, molto pubblicizzato che stavo per acquistare anni fa, quando mi venne di girarlo per leggere le note del retro copertina. La frase terminava così: le stupende gesta dei quattro ragazzi di Manchester??!!! ma lo sanno anche i gatti che i Beatles sono tutti di Liverpool e che giocavano da ragazzini in Penny Lane. ( i Rolling Stones sono di Manchester).
Consiglio assolutamente la loro biografia dal titolo “The Beatles Anthology”, edita in 8 lingue. Poi il cofanetto di cinque DVD dal titolo appunto The Beatles Anthology.
Una precisazione: Maurizio Grasso è scrittore. Io no. Se poi ho scritto questo libro non l’ho fatto per vanità o per soldi ( e neanche Maurizio) ma perché oltre ad essere spronato da mio figlio (che – ci tengo a dirlo – è un musicista di talento), avevo voglia di mettere un punto fermo sulle idee che mi ero fatto su di loro e su quello che mi avevano trasmesso le loro liriche. Peraltro se sono approdato alla musica classica è grazie ai Beatles, soprattutto grazie all’album Rubber Soul, dove in canzoni rock vengono utilizzati e con sapienza strumenti classici. Un esempio per tutti: i violini in Yesterday, che si trova sull’album Help! uscito nel maggio del 1965, 5 mesi prima di Rubber Soul, . l’album della svolta e, che cito anche nel libro dicendo che da allora i Beatles producevano “Dipinti Sonori”. Ed oggi si assiste a trionfanti violini, trombe esuberanti, tromboni ecc ecc. Ma poi come? Su Eleanor Rigby sorretta da violoncelli ne avevo contati almeno 4 ma poi sono accorto, anche ascoltando molti anni fa un’ intervista a George Harrison su una televisione americana, che in realtà i famosi 4 violoncelli di Eleonor Rigby erano uno solo!!!!
L.M.: “Plettri nelle mani di Dio”, come del resto si evince dal titolo “improvvisi a quattro mani” , rappresenta una sequenza di competenti riflessioni sul tema Beatles ed anche una proposta di argomenti che una persona curiosa ed appassionata magari potrà poi approfondire.
Un esempio tra i tanti: anche la questione del rapporto tra i quattro e la musica “accademica” che sapevo aver avuto negli anni un’evoluzione, mi pare che nel libro, seppur accennati, si arricchisca di elementi poco noti e degni di essere sviluppati, quanto meno nel considerare non solo l’influenza ricevuta ma anche la considerazione e l’effetto indotto dal quartetto nei cosiddetti “accademici”.
In altri termini mi pare che questo approccio fatto di “scorci inusuali” (leggo spudoratamente dalla quarta di copertina) sia fecondo di ulteriori sviluppi e proposte editoriali.
A parte le pubblicazioni di argomento natura, fotografia, su periodici e che vanno avanti da anni, avete già fatto un pensierino per fare un bis nelle vesti di scrittore di libri musicali oppure per il momento questa rappresenta una felice eccezione?
– A. Barghi: Io e Grasso siamo comunque due appassionati di musica ma i Beatles ci hanno “strappato” da qualsiasi altro genere perché nelle loro canzoni, se non tutta, c’è abbondanza di stili – un altro punto di forza dei quattro ragazzi di Liverpool….non ce li vedo mentre sono in studio a cercare di elaborare qualche nuovo brano dire: idea? inventiamo l’hard Rock…ed ecco che subito si sente Helter Skelter… oppure inventiamo l’havy metal e subito ecco le note di Tiket to ride…. no, lo avevano dentro!!! Sono precursori anche in questo.
Non credo che scriverò altri libri musicali, ma Plettri non è un libro musicale. Per me è un libro di uomini con note sulla musica. Quindi l’esperienza libro-musicale termina qui! Sugli accademici siamo stati gentili. Potevamo essere più rabbiosi, ma poiché i Beatles nelle loro canzoni hanno inneggiato a Pace e Amore, abbiamo voluto esser buoni!
– L.M.: L’attività di Andrea Barghi, fotografo naturalista, mi risulta che già prima della pubblicazione del libro a quattro mani con Murizio Grasso abbia incrociato il quartetto di Liverpool non negli usuali termini di ascolto musicale. Non mi riferisco perciò a quello che la musica può offrire in termini di gratificazione e formazione personale.
Mi riferisco semmai al fatto che le loro canzoni possano essere state il completamento di iniziative professionali o il leit motiv dell’attività di suo figlio Nicola, compositore e cantante che sappiamo essere devoto beatlesiano.
Ce ne vuole parlare?
– A. Barghi: Prima una precisazione: Non sono fotografo naturalista! Odio le etichette. Mi occupo di fotografia ad ampio raggio e fotografo solo ciò che mi fa battere il cuore. In parole povere, se ne ho voglia e il soggetto mi piace… scatto. Punto. Lavoro con tutti i formati fotografici esistenti e anche in digitale. Mi sono autodefinito “Fotografo di emozioni” (n.d.r. titolo di una pubblicazione – 2005 – di Barghi) e questa è la sola “etichetta” che mi piace.
Ma veniamo ai Beatles. Si, sin dai miei primi audiovisi ho utilizzato spesso musiche dei Beatles e in particolar modo con mio figlio Nicola e la mia compagna Veronica 5-6 anni fa, inventammo la NoOneBand. In Svezia nel giugno del 2006 mio figlio fece una serie di concerti con cover dei Beatles in occasione dell’ampliamento della strada europea E45!
Poi nei concerti di Verona e di Milano, davanti a circa 3000 persone, abbiamo utilizzato prima di ogni canzone una piccola lettura con mie intuizioni personali e con proiezioni di fotografie del quartetto di Liverpool ad opera di Veronica. Insomma fin dal quel maggio del 1965 mi sono dedicato volontariamente alla divulgazione del “verbo” Beatles. Ed alla luce dei fatti avevo visto giusto
Edizione esaminata e brevi note
Andrea Barghi è nato in Toscana nel 1953 ed è un fotografo affermato in Italia e all’estero.
Ha collaborato con riviste di cultura e fotografia (“Airone”, “Oasis”, “I Viaggi di Repubblica”, “Fotografia Reflex”, ecc.) e curato numerosi libri fotografici e pubblicazioni multimediali(come Io Fotografo e Video per E-ducation ed RCS).
Da una decina di anni ha fondato l’agenzia di progetti creativi “Everland” insieme alla compagna, art-director e copy-writer, con la quale ha realizzato reportages, mostre e pubblicazioni tra le quali: Andrea Barghi – Fotografo di Emozioni (Everland, 2005), Luci e Silenzi (Everland, 2006), Il Rinascimento del Paesaggio (Pacini, 2009).
È attualmente impegnato in progetti di comunicazione in collaborazione con soggetti pubblici e privati per la valorizzazione del patrimonio internazionale di natura, arte e cultura.
Vive tra la Toscana e la Svezia.
Maurizio Grasso è nato a Roma nel 1956 ed è un ex manager aziendale. In campo letterario, dopo un paio di prove narrative giovanili (L’uomo che piange lacrime d’ambra, Edicias, Roma 1985; La bestia, Solfanelli, Chieti 1992), nel 2009 ha pubblicato la raccolta di racconti Luci di costiera (Aracne, Roma). Dagli anni Novanta ha iniziato a tradurre dal francese per conto di diverse case editrici (Newton Compton, Mondadori, Editori Riuniti, Lucarini ecc.), curando una quarantina di volumi, soprattutto classici della letteratura francese, tra i quali: Flaubert, Stendhal, Maupassant, Proust, Gautier, Hugo, Mérimée, Sade, Voltaire, Verne, Zola. Ha collaborato con racconti e articoli alle riviste “Foreste sommerse”, “Idea”, “Inonija”, “Nuovo Confronto” e “Lettera internazionale”.
Andrea Barghi e Maurizio Grasso, Plettri nelle mani di Dio. Improvvisi a quattro mani sul tema The Beatles – prefazione di Italo Inglese – Edizioni Tabula Fati, pag. 168, € 12,00
Articolo già pubblicato su ciao.it il 15 gennaio 2011 e qui parzialmente modificato.
Luca Menichetti. Lankelot, febbraio 2011.
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