Verso la fine degli anni Sessanta Jorge Luis Borges rilasciò un’intervista alla televisione francese e se ne uscì con una serie di affermazioni che, lette con senno di poi, molto probabilmente potremmo immaginare connesse con la sua fantasiosa produzione artistica: “Ho paura di una sola cosa: l’eventualità di non morire. Il calcolo delle probabilità ci dice naturalmente che siamo destinati a morire. Ma potrebbe anche essere che nella nostra epoca sia nata una generazione di immortali. Noi quindi potremmo essere non so se dire degli eletti o dei dannati […] anch’io ho un tesoro nascosto, la morte. Se qui le cose non vanno troppo bene, andranno meglio altrove. O forse sarebbe anche meglio che altrove non ci fosse proprio nulla. Mi ritroverei annientato. Il che sarebbe perfetto”.
A distanza di tanti anni possiamo leggere ancora della “paura di non morire” – in effetti argomento insolito – tra le pagine dell’enigmatico romanzo di Cristò Chiapparino, “La carne”. Ma, mentre le parole di Borges viaggiavano dritte dritte sull’onda di un paradosso dietro l’altro, come ha affermato lo stesso Cristò, intervistato dal Mattino, alla domanda su quale fosse il messaggio del suo romanzo: “non credo che i libri debbano avere un messaggio o una morale. Io tendo a raccontare delle storie, poi sono le storie a portare un significato che, però, non è preconfezionato da me. Io stesso quando scrivo non so bene cosa voglio esprimere e, mano mano che scrivo, la trama si stende da sé. “La carne” è un libro che parla della discriminazione e della diversità, ma anche delle uniche due cose che ci interessano della vita: l’amore e la morte”. Insomma, proprio sfuggendo ad una qualsivoglia classificazione, si parla di un racconto che non potrà venire catalogato sic et simpliciter nemmeno nel seno delle opere dell’assurdo. E nemmeno come vero e proprio horror “esistenziale”, malgrado proprio “la paura di non morire”, resa evidente dai protagonisti del romanzo, sia determinata dalla presenza di una nuova specie di uomini non-uomini, forse morti, forse solo malati: degli “zombi” mangiacarne, silenziosi e famelici, fisicamente uguali alle persone che ancora sembrano vivere normalmente, ma che non muoiono mai e che soprattutto sembrano rassegnati, forse pericolosi perché contagiosi. Una mandria di apatici che si affolla ovunque, diligentemente in fila presso i depositi di carne.
Chi narra, in prima persona, è un ottantenne che racconta il mondo com’era fino ai suoi otto anni, quando gli capitò una disgrazia – più precisamente: una mutilazione – che presto il lettore comprenderà essere stato il momento in cui tutto è iniziato. La vita dell’ottuagenario scorre nell’apatia, un po’ come per prepararsi ad un mondo totalmente colonizzato da questi strani esseri ancor più apatici, abituato a frequentare cinema porno giusto per il piacere di fumare in tutta libertà; ma soprattutto preda dei ricordi, a partire da quel giorno all’acquapark: “sono state le ultime cose nuove che ho visto. Naturalmente sono ancora lì, identici a quel giorno di settanta anni fa perché il mondo si è fermato due anni dopo, inesorabilmente” (pp.26). Ricordi che si intrecciano, fin dalla prima pagina, con la vicenda del dottor Tancredi – questa volta con narrazione in terza persona – il quale un giorno “riceve un paziente molto preoccupato” che gli mostra un foglietto scritto a mano: “L’ho scritto io, dice, ma non me lo ricordo e non capisco neanche cosa voglia dire quello che ho scritto” (pp.7). Da quel momento anche per il dottore le cose si complicano visto che lo strano fenomeno sembra pian piano appropriarsi di sua moglie. Cosa tutto questo possa avere a che fare con i mangiatori di carne (del futuro? Contemporanei?), lo si scoprirà, o quanto meno lo si potrà intuire, percorrendo un viaggio fatto di parziali rivelazioni, o meglio di allusioni, di esperienze di scrittura automatica e di sogni condivisi dove ricorre la figura di Averroè, proprio il filosofo del XII secolo “che aveva teorizzato un intelletto pubblico, una specie di cervello dei cervelli, un collegamento tra tutti gli intelletti della terra” (pp.95). Un collegamento di cervelli che emerge in tutta evidenza, nella sua forma più orrorifica, quando l’ottuagenario scopre l’autentico lavoro di Monica e di chi, come lei, è addetto a nutrire gli zombi, sostanzialmente trasformati in riciclatori di carne. In questo mondo dove tutto è fermo, dove tutto si ripete per inerzia, alla fine – ammesso e non concesso che di fine si possa parlare in un contesto del genere – si potrà cogliere il legame tra il dottor Tancredi, gli strani fenomeni a cui ha assistito, e la figura dell’ottuagenario, ormai rassegnato, vada come vada, ad ammalarsi, a “far parte del tutto”, oppure semplicemente a morire, “che in fondo è la stessa cosa” (pp.160).
Giustamente la critica ha immediatamente rilevato il valore del romanzo: vuoi per i dialoghi felicemente scarni e quindi perfetti nel rappresentare una società immobile e nel contempo totalmente stravolta; vuoi per la costruzione di possibili allegorie, come ammesso dallo stesso Cristò, tipo sulla discriminazione e la diversità nel mondo contemporaneo; oppure per la maestria nella costruzione del romanzo, dove i cosiddetti flash back sono presenti ma, di fatto, agli occhi del lettore diventano del tutto evidenti soltanto quando il sopravvissuto ottantenne constata di essere davvero solo, e quindi pronto ad una probabile ed ulteriore trasformazione dopo l’incidente subito a otto anni. Piuttosto, volendo tornare alle considerazioni iniziali, probabilmente l’autentica forza dell’opera, quella che ci fa affermare che è un romanzo bellissimo senza se e senza ma, sta proprio nella sua assoluta mancanza di reali e solide affinità con qualsiasi genere letterario predefinito; dove Cristò interpreta il suo mestiere di narratore, proprio come scrive Paolo Zardi nella postfazione, con la “capacità di uscire dai luoghi comuni, infrangere certezze”.
Edizione esaminata e brevi note
Cristò Chiapparino, vive a Bari, libraio, suona il pianoforte e ha pubblicato cinque romanzi: Come pescare, cucinare e suonare la trota (Florestano, 2007), L’orizzonte degli eventi (il Grillo, 2011), That’s (im)possible (Intermezzi, 2015), Restiamo così quando ve ne andate (2017) e La meravigliosa lampada di Paolo Lunare (2019) per TerraRossa. Suoi contributi sono apparsi su “La Repubblica”, su “alfabeta2” e, online, su “Artribune” e “minima&moralia”.
Cristò, “La carne”, Neo edizioni (collana “Iena”), Castel di Sangro 2020, pp. 168. Postfazione di Paolo Zardi
Altri libri di Cristò in Lankenauta.
Luca Menichetti. Lankenauta, dicembre 2020
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